Agli occhi di alcuni, l’Intelligenza Artificiale si presenta come uno specchio capace di riflettere i valori, i comportamenti e le decisioni umane. Tuttavia, questa riflessione porta con sé rischi significativi per la nostra identità. Partendo dalle teorie evolutive di Konrad Lorenz e arrivando alle riflessioni contemporanee di Shannon Vallor, esploriamo allora le implicazioni etiche e filosofiche di un rispecchiamento tecnologico che potrebbe minare la nostra creatività e capacità di innovazione.
In un’epoca dominata dal pensiero automatico e dai modelli linguistici avanzati, è cruciale interrogarsi su come l’IA influenzi e, talvolta, distorca la nostra comprensione di noi stessi e del mondo che ci circonda.
Konrad Lorenz e la teoria dell’evoluzione comportamentale
Konrad Lorenz, grande studioso di quella forma molto sofisticata di intelligenza artificiale autogenerativa che dalle propulsioni comportamentali degli organismi primordiali lungo le ere conduce all’umanità come la conosciamo, ribadisce che mutazione e selezione sono i due grandi costruttori dell’evoluzione.
Registrato un cambiamento di successo, la specie lo seleziona come vincente dotandone alcuni individui e relegando all’estinzione i non “aggiornati”. Darwiniano convinto, l’etologo austriaco è stato un faro nella comparazione di impulsi, istinti, rituali e atteggiamenti animali con quelli umani, rilevando elementi costanti capaci di rispecchiare nella nostra specie fenomeni comunemente osservabili in altre.
Considerando l’umanità un risultato dell’evoluzione delle specie che l’hanno preceduta, Lorenz non lesina indicazioni su cause animali risultanti in effetti anche umani nel rispecchiamento continuo dall’una all’altra dimensione con un sotteso biasimo per la ricercatezza con cui l’umanità sa per superbia rivelarsi meno “umana” delle specie a cui si crede superiore. «Più conosco gli uomini e più amo gli animali», cita l’etologo nel suo libro sull’aggressione intitolato Il cosiddetto male, nel 1963.
Confronto tra impulsi umani e meccanismi dell’IA
«Più conosco l’Intelligenza Artificiale e più amo quella umana», potremmo dichiarare riferendoci al libro del 2024 AI Mirror – Lo specchio dell’Intelligenza Artificiale: come rivendicare la nostra umanità in un’era di pensiero automatico, il secondo della filosofa della tecnologia Shannon Vallor che dall’Università di Santa Clara nella Silicon Valley è approdata all’Università di Edimburgo. Una pubblicazione che reagisce agli allarmi suscitati dal lancio del chatbot di OpenAI nel 2022, con la tesi riumanizzante che ChatGPT e tecnologie simili sostenute dai cosiddetti Large Language Models (LLM) siano semplicemente «specchi giganti fatti di codice, costruiti per consumare le nostre parole, le nostre decisioni, la nostra arte e poi rifletterle di nuovo a noi”.
Secondo Vallor, per quanto reali possano sembrare, scambiarli per gli inizi di un’Intelligenza Artificiale Generale – AGI, cioè di una macchina senziente, è fuorviante perché «questi specchi non conoscono l’esperienza vissuta del pensiero e del sentimento più di quanto gli specchi della nostra camera da letto conoscano i nostri dolori e sofferenze interiori».
La desolante assenza d’idee dell’intelligenza artificiale
Potremmo aggiungere che, mentre sappiamo di chi gli specchi di casa nostra rimandano l’immagine, non sappiamo invece a chi appartenga l’immagine riflessa dal sistema talora inesatto fino all’ottusità di ChatGPT. Se qualcuno ha dubbi in merito, provi a farsi scrivere dal chatbot su cui tanti studenti ripongono speranze per evitare fatiche scolastiche una storia qualsiasi che abbia implicazioni etiche controverse e risvolti imbarazzanti: la banalità delle soluzioni offerte da ChatGPT dimostrerà la più desolante assenza d’idee mescolata a un puritanesimo da Padri Fondatori indegno di una serie tivù americana degli anni Cinquanta.
È dell’etologo e psicologo Robert Yerkes, grande studioso e torturatore di primati, la massima adorata da Lorenz: «Uno scimpanzé non è affatto uno scimpanzé». La sentenza reclama alla specie animale un’individualità che comunque non prescinde dalle leggi generali entro le quali tale specie è tenuta a muoversi. Si potrebbe parafrasare la sentenza di Yerkes sul modello del più famoso incipit tolstoiano, quello di Anna Karenina: «Gli scimpanzé si assomigliano un po’ tutti, ma ciascun scimpanzé è scimpanzé a modo suo». Se è vero per gli scimpanzé, figuriamoci per la creatura da Aristotele chiamata “animale razionale”. «Un uomo non è affatto un uomo», non solo perché include impropriamente nel suo neutro universale la donna e tutte le nuove sfumature venute alla luce nel Terzo millennio destinate ad allungare le sigle da LGBT+ verso differenziazioni infinite, ma pure perché la divergenza dai parametri generali della specie varia da individuo a individuo nella percezione identitaria e culturale come nelle mille varianti di gusto in merito al sorbirsi caffè e cappuccino.
Credendo al riflesso incompleto e generico offertoci dall’IA, conosciamo sempre meno l’oggetto del rispecchiamento fornito dalla “macchina pensante” nell’atto di riferirsi alle «nostre parole, le nostre decisioni, la nostra arte». Il conosci te stesso non può cadere nell’errore di Narciso, che comunque era uno e non una moltitudine ed è morto a forza di specchiarsi.
Di chi sarebbe specchio l’IA? Chi tra gli umani che interagiscono con essa e/o la programmano più o meno volontariamente è delineato dalle sue risposte e dalla sua presunta creatività ipercombinatoria? Se il mare magnum in cui ChatGPT pesca è quello dell’Internet, e se l’Internet già è guidata da algoritmi che influenzano e regolano il “ritratto” dei suoi frequentatori in base a limitazioni e insinuazioni predeterminate, spionaggio più o meno palese e nozioni raffazzonate inserite da mitomani disinformati, ragguagli tendenziosamente pubblicitari governati da numeri laddove le grandi cifre sono tutto e le individualità pressoché nulla, sarà difficile che lo specchio già impreciso renda fedelmente il quadro profondo anche di una sola opera dell’ingegno umano.
Impatto delle IA sulla creatività e individualità umane
Sia chiaro, l’utilità del “calcolatore” è benedetta, lo è meno la sua riproposizione di una creatività umana ancora inesplorata nelle sue radici e lo scimmiottamento di attività dismesse dagli individui per pigrizia. Un’IA specchio nostro e della nostra medietà rifletterà anche l’individuo nell’atto di servirsi dell’IA. Fiaccati da un gioco di specchi all’infinito che ripropone noi stessi di volta in volta più sminuiti e incapaci di rinnovamento, replicati negli errori la cui correzione stancamente deleghiamo allo stesso sistema riflettente, rischiamo l’involuzione di una Selezione e un Mutamento giocata al continuo ribasso.
Perché l’IA mette a repentaglio il nostro futuro
Tornando a Vallor, il nostro futuro sarà messo a repentaglio non tanto perché le macchine senzienti soggiogheranno gli esseri umani e imporranno un valore alieno e un sistema ostile nei confronti delle generazioni future, ma perché l’Intelligenza Artificiale è fatta a nostra immagine e riflette il sistema di valori dominante di oggi «impedendoci di sapere come creare un futuro». Quanto più potere cediamo ai “giganteschi specchi del codice”, tanto meno usiamo la nostra creatività logica.
Dibattiti etici: l’IA può realmente “conoscere” l’umanità?
Detto tra noi, applicando l’idea di morale con cui qualche programmatore ha annacquato il pensiero artificiale secondo uno stringente modello politicamente corretto nel contenitore di ChatGPT, che immagine si vede? Come può l’IA rispecchiare una complessità di cui non afferra le sfumature, di cui non abbraccia la quadridimensionalità? È impossibile restituire la ricchezza creativa del potenziale filosofico insito nella semplice giornata di una persona media che si distingue dalla medietà altrui se non quando vi si uniforma in qualche algoritmo social, quando insomma smette di essere “uno scimpanzé a parte”. Il suo spessore sfugge al rilevamento dell’Intelligenza Artificiale e lascia posto a una sommatoria grossolana di informazioni pappagallate dall’insieme dei fruitori le cui vette intellettuali si perdono nel livellamento massificato dei dati. Un emoji non potrà mai sostituire un’emozione, neanche significarla lontanamente. Serve solo a sbrigarsela in fretta.
Esempi dalla narrativa e dal cinema sull’IA come specchio
Questo ci riporta a Shannon Vallor secondo cui la chiave per la “fioritura umana e planetaria” è riconoscere che noi, gli esseri umani, siamo quelli “con la capacità creativa di reindirizzare il corso della tecnologia”. E il suo messaggio virtuoso ci porta ironicamente a un film polacco di fantascienza uscito nel 2023, The Last Spark of Hope di Piotr Biedron.
Dopo la fine delle guerre climatiche, è probabilmente rimasta una sola persona sulla Terra: Ewa. Vive assieme al robot Arthur, il cui compito è sorvegliare i confini del campo. Arthur è dotato di armi e di un’Intelligenza Artificiale che si rivela infallibile nell’applicazione idiota delle disposizioni del suo creatore, l’ormai defunto padre della ragazza. Programmato per proteggerla, deve attenersi prima di tutto a impedire l’accesso al campo a chiunque non sia provvisto della password, sostituita periodicamente. Un giorno Ewa esce dai confini dimenticando di consultare la nuova password e al suo ritorno non sa fornirla. Nonostante il robot conosca Ewa, non la fa entrare, lasciandola confinata in una minuscola zona del campo dove, dopo inutili tentativi di superare l’impasse, morirà di sete. I ragionamenti con cui la ragazza cerca di convincere il robot a farla entrare, in linea con le leggi della robotica che impediscono alla macchina di nuocere a un umano, si scontrano con la scarsa intelligenza dell’automa provvisto di una logica semplice e “rigorosa”, impermeabile a ogni sfumatura evolutiva del pensiero. Gli ordini sono ordini, se Ewa non conosce la password vuol dire che non è Ewa giacché al campo può entrare solo lei e solo Ewa può conoscere la password. Ogni altra evidenza resiste al basilare intelletto del robot. Il programmatore non aveva pensato a tale eventualità, e lo specchio ha riprodotto il modello incompleto del programmatore in un momento di sua défaillance.
Verso il futuro: evoluzione dell’IA e implicazioni per l’identità umana
Il vero problema sarebbe, dopo aver creato nell’IA un’immagine di noi quantomeno insufficiente, rispecchiarci in lei cercando di sfruttarne le scorciatoie. Di riduzione in riduzione, la bidimensionalità psicosensoriale dell’IA minaccerebbe di lasciarci morire fuori del perimetro del nostro universo, isolandoci dalla meravigliosa e confusa complessità di noi stessi.