Il brand journalism, o giornalismo d’impresa, è informazione proposta da un’azienda sui temi di cui essa si occupa, e per il pubblico che raggiunge con i propri prodotti o servizi.
Il web, come oggi lo conosciamo, ha permesso ai marchi di diventare entità mediatiche, in grado di aggredire il mercato dell’informazione con decisione, grazie a modelli di business completamente differenti rispetto a quelli dei comuni giornali. Intendiamoci: anche i grandi quotidiani hanno alle spalle aziende con ingenti capitali, dove spesso l’informazione è un contorno costoso, mantenuto più per il potere politico che ne deriva piuttosto che per amore della notizia. I brand che puntano sul brand journalism hanno invece la possibilità di offrire solo contenuti in target, con gestioni snelle e costi decisamente più bassi, ottenendo un valido strumento di comunicazione.
Ne consegue un maggiore interesse da parte di giornalisti freelance, che hanno la possibilità di scrivere dietro a compensi maggiori (spesso con uno “0” in più) rispetto a quelli percepiti dai giornali. E, anche in Italia, non sono mancati casi di giornalisti che hanno abbandonato le redazioni per lavorare per grandi brand. Un esempio su tutti: Marco Bardazzi, ex giornalista di punta de La Stampa, passato poi in Eni per occuparsi di comunicazione – e creando la rivista Eniday -, lasciando l’azienda a fine 2020 per aprire una sua agenzia, il cui obiettivo è proprio quello di far diventare i brand delle media company.
In un ormai datato pezzo del Financial Times, il giornalista Thomas Kellner, ex di Forbes e ora Chief Storyteller per General Electric, ha affermato: «Alla gente, di questi tempi, non interessa poi molto dove leggono una notizia; l’importante è che dica loro qualcosa». Era il 2014: 7 anni dopo possiamo affermare che la realtà non si discosta di molto da quella forte asserzione.
I casi eccellenti in Italia
Tra gli esempi rilevanti nel nostro Paese troviamo l’agenzia Effecinque, che collabora con aziende e media tradizionali, poi Agi Factory, parte dell’Agenzia Giornalistica Italia, un laboratorio di brand journalism al servizio delle imprese. La chiave è intercettare ciò che è rilevante per il pubblico di un dato brand, e confezionare informazioni di qualità.
Tra le aziende italiane, spicca banca Mediolanum e il suo magazine Centodieci, nato da un’idea dell’istituto di formazione Mediolanum Corporate University: i contenuti variano tra articoli, video e podcast.
Ci sono anche testate editoriali dove il brand journalism è di casa, come Freeda Media, il magazine al femminile che continua a crescere ed espandersi (oggi anche in Spagna e Gran Bretagna): ci sono spesso contenuti creati in collaborazione con multinazionali, come ad esempio Red Bull, che tra l’altro ha una sezione di informazione estremamente nutrita.
L’Osservatorio Brand Reporter Lab nel 2019 ha condotto una ricerca sulle 150 aziende più importanti in Italia, di differenti settori, rilevando come il 64% di esse ha almeno un canale editoriale a scopo informativo, e quasi la metà di queste con un sito dedicato, mentre circa il 40% con un blog o magazine interno.
E poi per il settore tecnologico b2b è naturale segnalare Digital360, editore di Agendadigitale.eu.
Quali canali usare per il brand journalism
Lo scopo è comprendere quali sono le esigenze di informazione, le curiosità, i bisogni di approfondimento. È necessario strutturare una redazione, con output su un sito web di proprietà, e sfruttando i social media. Il brand journalism non serve per vendere prodotti o servizi, ma per rispondere alle domande che il pubblico si pone su di essi. Insomma, è una presa di responsabilità da parte delle aziende all’interno della comunità in cui operano.
A seconda del budget a disposizione, e del topic che si prende in esame, la strategia da adottare cambia. Ad esempio, con un budget basso, la soluzione migliore è affidarsi al cosiddetto mobile brand journalism, utilizzando i social media (presidiando quelli più utilizzati dal pubblico di riferimento) e offrire live di eventi, contenuti visuali (foto e video brevi), e saltuari articoli di approfondimento. Questo tipo di lavoro può essere fatto da una sola figura, senza la necessità di una redazione strutturata.
Quando la capacità di spesa aumenta, il formato migliore da sfruttare oggi è il podcast. Oggi, nel mondo, gli ascoltatori mensili sono circa 125 milioni, e gli investimenti in pubblicità hanno raggiunto il miliardo di dollari. Con questo mezzo è possibile andare in profondità e avere la totale attenzione da parte dell’utente, che si lascerà immergere all’interno della storia proposta. L’ideale è scegliere un punto di vista sulla tematica e costruirci sopra una “stagione”: per creare un contenuto accattivante, in questo caso servono più figure, tra cui il giornalista che scriva gli episodi, un narratore se necessario, e sound designer per la post produzione.
Una buona strategia di giornalismo d’impresa non può non prendere in considerazione i social media. Come abbiamo detto, è utile conoscere su quali piattaforme si trova il pubblico che si vuole raggiungere, ma è bene tenere a mente che oggi gli unici social media che offrono la possibilità di una crescita organica, ossia senza spendere in pubblicità, sono LinkedIn, YouTube e TikTok.
Facebook? Meglio lasciar perdere.
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