Il recente caso GameStop ha calamitato l’interesse non solamente degli investitori ma più in generale dell’opinione pubblica, che si è mostrata subito pronta a cavalcare la vicenda, travalicandone gli immediati effetti economico-finanziari per connotarla di risvolti anche sociali e di costume.
Il caso GameStop rappresenta però anche, al pari di quanto accaduto in passato nel contesto di situazioni di inasprimento della crisi finanziaria, un formidabile ed irripetibile banco di prova su cui misurare l’efficienza e l’efficacia della gamma di strumenti di vigilanza protettiva in capo ai market regulators dei principali Paesi.
Il caso GameStop
Vale la pena riassumere brevemente i termini di quanto accaduto.
Com’è noto, GameStop, catena texana di negozi di videogame, accessori e console, è recentemente balzata agli onori delle cronache per il fatto che nelle ultime cinque sedute di borsa della settimana compresa tra il 25 ed il 29 gennaio il titolo ha registrato il +400% dei guadagni. Per farsi una idea, il 12 gennaio un’azione GameStop veniva scambiata a 19,95 dollari, venerdì 29 gennaio valeva 325 dollari.
Il titolo è esploso dopo che un’orda inferocita di trader online, coordinati attraverso il forum WallStreetBets su Reddit (piattaforma di trading da 2,7 milioni di utenti), ha preso di mira alcuni hedge fund che avevano scommesso contro la società di videogame, vendendone le azioni allo scoperto. Gli utenti di Reddit, attraverso la piattaforma Robinhood (nome omen), hanno fatto fronte comune per “spremere” (squeeze) i fondi che avevano assunto posizioni corte sul titolo GameStop. Un nutrito gruppo di investitori retail ha quindi concordato sul forum Reddit di acquistare le azioni di alcune tra le società più “shortate” della borsa americana, tra cui GameStop. La quotazione dei titoli della società di videogame è letteralmente schizzata, creando enormi difficoltà agli “short sellers” o “venditori allo scoperto”, vale a dire gli investitori ribassisti, i quali avevano scommesso su un calo dei prezzi. Costretti forzosamente a rientrare per far fronte alle posizioni corte assunte, importanti nomi dell’industria degli hedge fund ci hanno lasciato le penne: Melvin Capital, Citron sono solo alcuni dei nomi degli investitori professionali che hanno registrato perdite nell’ordine di miliardi di dollari.
Si è davvero trattato di Davide contro Golia?
Si è parlato immediatamente da parte dei media e dell’opinione pubblica di “rivolta” dei piccoli trader contro la finanza tradizionale, di Davide contro Golia, di pesci piccoli contro gli “squali”. Si tratta sicuramente di una narrazione suggestiva, a tratti addirittura romantica di accadimenti di borsa, ma che rischia di essere parziale e che, soprattutto, impedisce ogni tentativo di misurazione dell’efficienza dell’insieme di strumenti a disposizione delle autorità regolamentari per garantire la trasparenza dei mercati e la tutela degli investitori.
Il tentativo da parte delle autorità di vigilanza di intraprendere, soprattutto nel contesto di cicli economici caratterizzati da andamenti negativi, misure protettive, sia di carattere emergenziale che strutturale, nel duplice tentativo di arrestare l’erosione di fiducia degli investitori e di irrobustire i meccanismi di controllo, non è nuovo.
Caratteristiche dello short selling
Ciò vale a maggior ragione nel contesto di operazioni di “vendita allo scoperto” di titoli (short selling), cioè di vendita di titoli presi a prestito ovvero di cui non si ha la proprietà. Le ragioni sono da ricercarsi nel fatto che lo short selling, accentuando le tendenze ribassiste, esaspera problemi di liquidità e scarsità di credito, creando fenomeni potenzialmente distorsivi, soprattutto nei casi in cui le vendite allo scoperto sono effettuate da grandi investitori quali i fondi speculativi.
In realtà una più attenta disamina dello short selling volta a mettere in evidenza gli aspetti caratteristici di tale operazione, porta a concludere che lo short selling possa essere scomposto in più aspetti dimensionali, a volte tra loro confliggenti.
Operazioni di natura “etica”
Una prima connotazione del fenomeno, che risponde a considerazioni che potremmo impropriamente definire di natura etica, tende a mettere in evidenza le finalità speculative dello short selling. Con le operazioni di short selling aumentano i rischi di integrità del mercato poiché con il diffondersi di tali prassi operativa aumenta la difficoltà di procurarsi in tempo utile i titoli venduti allo scoperto e con essa, conseguentemente, anche la probabilità di una mancata consegna dei titoli alla data di regolamento.
Strategie manipolative
Ma le tecniche di short selling sono anche potenzialmente idonee ad incentivare strategie manipolative volte ad indurre trend ribassisti nel corso dei titoli. Si pensi semplicemente alla diffusione ad opera degli short sellers di notizie ed informazioni fuorvianti sulla giusta valutazione dei titoli oggetto di vendita, al fine di incentivare altri operatori a vendere, con conseguente emergere di evidenti rischi di abuso di mercato.
Gestione del portafogli d’invesimento
Una visione più rigorosamente operativa del fenomeno consente tuttavia di inquadrare lo short selling come efficiente strumento nella gestione dei portafogli di investimento, potendosi configurare da un lato come un’operazione di copertura dai rischi (laddove ad una posizione corta si accompagni una posizione lunga, con generazione di risultati opposti derivanti dalle due posizioni) e dall’altro come operazione di mero arbitraggio (si pensi alla conclusione di acquisti e vendite contestuali di uno stesso titolo, per sfruttare ad esempio eventuali disallineamenti di prezzo).
Le visioni sopra sintetizzate sono la testimonianza più evidente di quanto la tecnica dello short selling sia controversa e, a volte, anche oggetto di molteplici critiche; ciò non toglie che la dottrina economica sul tema abbia da sempre prevalentemente effettuato una valutazione positiva del fenomeno, soprattutto in termini di miglioramento dell’efficienza informativa dei prezzi e di incremento del livello di liquidità del mercato. Basti pensare al fatto che se è vero che una vendita massiccia di titoli può causarne il crollo, è vero anche che la pratica dello short selling può rappresentare lo strumento ideale con cui esprimere nel prezzo dei titoli il riflesso di notizie negative che si affacciano sul mercato o, similarmente, fungere da elemento di contrapposizione a fenomeni di formazione di bolle speculative.
La posizione delle autorità di vigilanza sullo short selling
Di fronte al diffondersi di tecniche di short selling le Autorità di vigilanza hanno spesso ondeggiato assumendo posizioni diverse. In alcuni casi sono stati imposti dei veri e propri divieti “totali” di qualsiasi operazione di short selling, in altri i divieti imposti sono stati di natura “parziale” in quanto di natura temporanea e/o limitati solo ad alcuni titoli. A livello statistico, va segnalato che quasi tutte le Autorità di vigilanza hanno vietato le vendite allo scoperto in via provvisoria, evitando di introdurre restrizioni permanenti.
L’alternativa adottata dalle Autorità di vigilanza rispetto all’introduzione di divieti (con le differenziazioni sopra esposte) è consistita nell’introduzione di obblighi di reporting alle medesime Autorità e di trasparenza mediante la comunicazione al mercato delle posizioni corte assunte. Questa soluzione presenta tuttavia l’inconveniente della non facile determinazione della soglia di significatività al raggiungimento della quale scatta l’obbligo di comunicazione. Se infatti la determinazione di una soglia troppo alta rischierebbe di vanificare lo scopo della comunicazione, al contrario la fissazione di una soglia troppo bassa determinerebbe l’afflusso sul mercato di un numero particolarmente elevato di comunicazioni, vanificando l’effetto di segnalazione al mercato di tale comunicazione, senza tralasciare di ricordare che l’imposizione di una soglia bassa potrebbe indurre gli operatori a limitare le operazioni di short selling per evitare i costi di compliance connessi.
I provvedimenti Consob
Anche Consob sulla scia di queste prese di posizioni ha nel corso degli anni adottato una serie di provvedimenti in materia di divieto di vendita allo scoperto, sottoponendo in alcuni casi i titoli (soprattutto bancari e assicurativi) quotati in Italia ad un divieto assoluto di short selling per determinati periodi di tempo. Tali provvedimenti non hanno spesso prodotto gli effetti desiderati, tanto che successivamente gli unici limiti imposti dalle autorità di vigilanza alle operazioni di short selling hanno riguardato i titoli delle società quotate oggetto di aumento di capitale, sulla scorta della considerazione che in corrispondenza di operazioni di aumento di capitale, le tecniche di short selling potrebbero essere utilizzate a fini manipolativi, ovverosia per ridurre il prezzo dei titoli e rendere quindi meno conveniente l’adesione all’offerta.
Anche in questo caso i risultati sono stati poco confortanti. Introdotto con la finalità di limitare la speculazione, il divieto di vendite allo scoperto nel contesto di operazioni di aumento di capitale si è tradotto in un completo blocco degli arbitraggi, con la conseguenza che il prezzo delle azioni non si è allineato al valore teorico dei diritti di opzione per sottoscrivere l’aumento.
La mancanza di una regolazione armonizzata
Le considerazioni sopra esposte sembrerebbero dunque confermare i dubbi sollevati da coloro che da sempre si sono mostrati contrari all’adozione di politiche e misure restrittive in relazione alle tecniche di short selling. Tali perplessità sono anche acuite dal fatto che la mancanza di una regolamentazione armonizzata a livello europeo in tema di short selling consente indirettamente di porre in essere compartimenti elusivi sfruttando veri e propri arbitraggi regolamentari.
L’esito finale della partita GameStop è ancora da scrivere. Le richieste di intervento a livello bipartisan delle forze politiche americane, con democratici e repubblicani per una volta schierati sullo stesso fronte, rendono incerta ogni previsione. La conclusione a cui forse si può giungere è che lo short selling di per sé è una pratica neutra, che necessita di essere regolamentata e controllata ma non demonizzata.
Il vero problema della vicenda GameStop
Ma quello che semmai sembra essere più preoccupante, è la costante incapacità dei regolatori – nel mercato finanziario così come in molti altri settori – di stare al passo con il nuovo ruolo rivestito dai social media e di cogliere le ormai inscindibili relazioni e legami esistenti tra le nuove tecnologie ed il funzionamento dei mercati. Crowdfunding, blockchain, modelli di finanziamento digitale “dal basso”, forme di contaminazione tra finanza e tecnologia tipiche del fintech e modelli di business sviluppati sull’intelligenza artificiale, sono solo alcuni degli strumenti utilizzati dagli investitori anche con la finalità di esprimere la presa di posizione di una finanza “minore” nei confronti di investitori istituzionali sofisticati.
Alla base di questo fenomeno c’è la considerazione che il settore dei servizi finanziari sta subendo una trasformazione significativa riguardo le modalità di richiesta e fornitura dei servizi di consulenza e gestione finanziaria. Questa evoluzione è dovuta ad una varietà di fattori: nuovi parametri regolamentari, evoluzione demografica della clientela e, soprattutto, progressi tecnologici.
Si tratta di un nuovo trend che pare inesorabilmente destinato a consolidarsi, basti pensare all’importanza che tematiche di ESG stanno assumendo. Focalizzare la propria attenzione esclusivamente sui rendimenti finanziari e i fondamentali di un determinato settore o azienda è ormai diventato un esercizio riduttivo e gli investitori nel campo del risparmio gestito anche in Italia, prestano sempre maggiore attenzione ai fattori ESG.
In conclusione
Siamo in sostanza di fronte al manifestarsi di fenomeni nuovi che tuttavia si riallacciano al tradizionale dibattito relativo alla funzione sociale di finanza e imprese.
Pur nella difficoltà di individuare un set di regole in grado di assicurare un adeguato livello di tutela dell’integrità del mercato e di contemporanea protezioni degli investitori, i requisiti necessari per una regolamentazione efficiente e funzionale di fenomeni come lo short selling, tuttavia, appaiono ben delineati: alle nuove esigenze sollevate da casi come quello di GameStop non sembra potersi rispondere se non adottando politiche e legislazioni comuni concordate tra regolatori.