umore globale

Il contagio emotivo sui social: dinamiche e pericoli

Attraverso i social, sfruttando l’aspetto emotivo dei post, è possibile creare vere e proprie onde virali di paura, sdegno, sorpresa o altre emozioni: un “umore globale” che può avere molti possibili effetti, ad esempio diventare un’arma d’attacco in un conflitto. Ecco gli aspetti etici e i rischi del contagio emotivo

Pubblicato il 11 Set 2018

Alessandro Sinibaldi

esperto di sicurezza cibernetica presso il CERT-PA AgID

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Oltre agli aspetti più propriamente diffusivi dell’informazione in un social network è utile conoscere in ambito SOCMINT (Social Media Intelligence) come sfruttare l’aspetto emotivo dei post stessi e quindi creare, ad esempio, vere e proprie onde virali di paura, sdegno, sorpresa o altre emozioni ancora. Oltre a questo, recenti studi hanno mostrato come sia possibile incidere sull’umore di un utente facendo uso di post appropriati. D’altro canto, ci interessa anche capire, attraverso i post dell’utente, quale sia il suo umore.

Cosa dicono di noi i dati che produciamo

Di fatto, ognuno di noi produce dati più o meno involontariamente e questi possono essere analizzati per estrarre informazioni su di noi, il nostro stile di vita e i nostri interessi e per poi sottoporci contenuti appropriati che possano influenzare le nostre scelte di vita.

Il caso Cambridge Analytica ha di recente mostrato quanto sia importante, e possibile, il controllo delle emozioni di intere popolazioni grazie a un social network. In figura, possiamo vedere una statistica, aggiornata ad aprile 2018, del numero di account attivi per social network. In particolare, saltano agli occhi gli oltre due miliardi di utenti di Facebook che testimoniano la sua enorme capacità di penetrazione, assolutamente transnazionale.

social network

Numero di account attivi (in milioni) per social network

Come si pilota lo stato emotivo degli utenti, i test

Come mostrato in un esperimento svolto su Facebook, è possibile pilotare lo stato emotivo degli utenti. In particolare i ricercatori hanno mostrato che post positivi tendono a generare altri post positivi, dando luogo a una vera e propria “epidemia di benessere”, e analogamente con i post negativi, fino addirittura a dar nascita a un vero e proprio “umore globale”, che può, tra i vari possibili effetti, anche avere effetti sulla volatilità dei governi.

L’esperimento veniva condotto in tal modo. Su Facebook gli utenti sfruttano lo strumento denominato News Feed per condividere aggiornamenti di stato con gli utenti a loro collegati. Dato il numero elevato di post così generato News Feed filtra i post, omettendo o mostrando contenuti, tramite un algoritmo di ranking che Facebook aggiorna continuamente con lo scopo di fornire agli utenti i migliori contenuti possibili compatibili con il profilo dell’utente stesso. L’esperimento citato è stato condotto come parte di questi test nel corso di una settimana (11–18 gennaio 2012) su un campione di 689.003 utenti parlanti inglese. Questi ultimi sjono stati divisi in due gruppi. Al primo gruppo veniva mostrato un numero maggiore di post positivi provenienti dai proprio contatti.

Al secondo un numero maggiore di post negativi. L’obiettivo era di verificare se questo avesse una ripercussione sul contenuto emotivo dei post dell’utente. Per verificarlo, si è fatto uso del Linguistic Inquiry and Word Count software (LIWC2007) che effettua la ricerca in un testo di determinate parole da un dizionario per capire lo stato d’animo dello scrivente. Un’applicazione web che può essere utilizzata per questo scopo è sentistrength.uk. Per “verificare” l’umore mondiale tramite l’analisi linguistica di molti blog è possibile usare questo servizio.

In un altro esperimento, condotto nel periodo gennaio 2009-marzo 2012, si è studiato invece se l’impatto negativo delle condizioni atmosferiche sfavorevoli (pioggia) sull’umore degli utenti residenti in una città si poteva propagare a distanza avendo effetto sull’umore di contatti che vivevano in un’altra città, in cui però ci fosse il sole. Anche in questo caso la risposta è stata positiva.

Il risultato di entrambi questi esperimenti è che, tra i molteplici fattori che hanno impatto sull’umore di una persona, ci sono anche le espressioni delle emozioni dei partecipanti al social network dell’individuo.

In un ulteriore test, condotto stavolta sulla piattaforma Weibo in Cina per sei mesi nel 2010 su 200000 utenti, si è voluto andare nello specifico del tipo di emozione trasmessa. In particolare, i ricercatori hanno analizzato circa 70 milioni di messaggi, catalogandoli in base all’emozione principale contenuta tra gioia, tristezza, disgusto e rabbia. Il risultato ha mostrato che la rabbia è l’emozione che si propaga più rapidamente, coinvolgendo anche il maggior numero di utenti. La gioia, d’altra parte, è un sentimento che viene più condiviso all’interno della cerchia degli intimi, mentre tristezza e disgusto sono emozioni anche più private. In tutti i casi, già dopo tre salti (contatti), allontanandosi dalla sorgente dell’emozione, si riduce considerevolmente l’effetto.

A social network (left) and that same network colored by emotions: Anger (red), joy (green), sadness (blue) and disgust (black.)

Figura: l’esperimento su Weibo descritto nel testo. A sinistra un social network. A destra lo stesso recante l’indicazione delle emozioni contenute nei messaggi tra rabbia (rosso), gioia (verde), tristezza (blu) e disgusto (nero)

Post virali e contagio emotivo

Questi risultati indicano la possibilità di fare un vero e proprio contagio emotivo su vasta scala ed hanno, ovviamente, enormi ripercussioni sul piano etico.

Un aspetto che tutti i post virali hanno è la capacità di provocare e catturare le emozioni delle persone. Gli esseri umani sono creature altamente emotive e quando raggiungiamo un livello di coinvolgimento elevato siamo portati a desiderare di condividerlo. In particolare, le emozioni di base sono sei: felicità, rabbia, sorpresa, paura, tristezza e disgusto (secondo qualche studio addirittura riducibili a 4).

Contenuti che suscitano un alto livello emotivo hanno maggiori probabilità di diventare virali. In un lavoro del 2017, inoltre, sono stati evidenziati alcuni elementi che aiutano un post a diventare virale:

  • Contenuti in forma lunga hanno più probabilità di essere condivisi di contenuti brevi
  • Usare immagini aiuta, sia su Facebook che su Twitter
  • Emozioni positive vengono condivise di più di emozioni negative
  • Liste e infografiche aiutano la condivisione
  • 10 è il numero magico di elementi in una lista
  • Un articolo autorevole, che ispiri fiducia, è condiviso con maggiore probabilità
  • Coinvolgere un influencer aiuta (e questo ci è già chiaro dal nostro precedente articolo sulla topologia dei social network)
  • Conviene scrivere post “sempreverdi”, cioè con contenuti sempre validi al passare del tempo, e promuoverli regolarmente dopo la pubblicazione
  • Il giorno della settimana migliore per pubblicare e promuovere contenuti è il martedì, con leggere variazioni da un social network all’altro (ad esempio per Linkedin e Pinterest il giorno migliore è il lunedì)
Best-Day-to-Publish-Social-Content-is-Tuesday

Giorni migliori per pubblicare contenuti 

Altri studi mettono anche in guardia da un possibile effetto assuefazione: pubblicità e social network ci stanno esponendo sempre di più a un vero e proprio bombardamento emotivo e questo fa sì che sia sempre più difficile per un post, col passare del tempo, diventare virale.

Social network e moderna warfare

Concludendo, la capacità di agire sullo stato emotivo di un gruppo di persone, comunque vasto, influisce anche sul loro stato di benessere fisico e può diventare, in un futuro nemmeno troppo lontano, un ulteriore modalità di attacco da usare in caso di guerra e che può influire pesantemente sul risultato della stessa, in maniera molto simile a quanto avveniva con il lancio di volantini sulle truppe durante la seconda querra mondiale ma con in più il vantaggio di essere molto più subdolo e capillare.

Un social network può diventare facilmente strumento di repressione, di attacco e offesa sia nei confronti di singoli che di gruppi o di intere popolazioni soprattutto da parte di quei governi che hanno la possibilità di utilizzare questi strumenti. Anche in questo l’Europa, che non riesce a imporsi in maniera incisiva con prodotti propri sul mercato informatico globale corre un grosso rischio in uno scenario di moderna warfare.

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