oltre l'emergenza

Il Coronavirus e il salto evolutivo digitale dell’Italia: cosa possiamo imparare per il futuro

il Coronavirus sta rappresentando un’opportunità in quanto fattore di rottura per l’Italia verso una nuova consapevolezza digitale e, in generale, una organizzazione evoluta del lavoro. Vediamo come fare tesoro di questa esperienza

Pubblicato il 08 Apr 2020

Annarosa Mallozzi

Senior IT Architect for

Employee Experience

Come dimostrano vari studi, le mutazioni genetiche rappresentano un fattore chiave di selezione e di salto evolutivo per la specie umana.

Ma che cosa c’entra questo con il mondo digitale? Ve lo spieghiamo in questo articolo.

Quando una pandemia o un’epidemia si presenta ad un certo punto dell’evoluzione, la popolazione che è colpita dal virus o si adatta oppure si estingue. I virus, come mostrato da molteplici ricerche, hanno una forte influenza e impatto sui processi di adattamento e in particolare il Coronavirus, nella nostra era digitale, sta dando un forte impulso (chiamiamolo “salto evolutivo digitale”) ad una diffusione pervasiva degli strumenti di comunicazione digitale al servizio della vita lavorativa (soprattutto per i non Millenials e per quelle realtà ancora riluttanti alla tecnologia ed al lavoro da remoto).

Nel corso di poche settimane e addirittura, in alcuni casi, di pochi giorni molti enti e aziende hanno dovuto fare i conti con questo ritardo “evolutivo” e colmare il gap che li avrebbe fatti estinguere o avrebbe causato danni socio-economici maggiori rispetto a quelli che stiamo realmente sperimentando.

Smart working e telelavoro

Temi quali lo smart working e il telelavoro, che alcuni anni or sono hanno fatto una timida comparsa nella maggior parte dei settori lavorativi italiani e sono rimasti in molti casi sospesi in un limbo di incertezza sperimentale, sono diventati in questi giorni una vera e propria urgenza e un’alternativa “a senso unico” volta a limitare il contagio e a fronteggiare la situazione di diffusione del virus sul territorio.

Da un giorno all’altro, management e personale di enti e aziende sono stati obbligati ad attuare quello sforzo evolutivo necessario per iniziare ad utilizzare strumenti di lavoro collaborativo, di video comunicazione a distanza e soprattutto iniziare un cambiamento mentale legato alla concezione radicata del lavoro come qualcosa di vincolato ad un luogo fisico e al tempo trasformandola, al contrario, in una concezione legata ad obiettivi di team o aziendali svincolati dal luogo di lavoro.

Al di là dei devastanti effetti sulla salute e sulla riorganizzazione di un Paese coraggioso e sempre pronto a trovare una soluzione geniale alla difficoltà, il Coronavirus sta rappresentando un’opportunità in quanto fattore di rottura per l’Italia verso una nuova consapevolezza digitale e, in generale, una organizzazione evoluta del lavoro.

Come tutti possiamo riconoscere, l’Italia è sempre stata tra i più i Paesi più virtuosi e geniali per quanto riguarda normative e leggi, scienza, cultura, arte, tecnologia, piani di digitalizzazione ma si può anche facilmente constatare che il nostro popolo ha dimostrato in molte occasioni di essere altresì molto restio ad accettare cambiamenti nelle abitudini lavorative ed adattarsi o meglio adottare nuove tecnologie a supporto della vita lavorativa.

I recenti decreti del Presidente del Consiglio per fronteggiare l’emergenza coronavirus parlano chiaro e affermano che anche i dipendenti pubblici lavoreranno “in via ordinaria” in Smart Working con le eccezioni delle funzioni indifferibili da rendere in presenza. Lo Smart Working diventa quindi la regola e, nello stesso tempo, la modalità tradizionale diventa l’eccezione. Il coronavirus rappresenta pertanto quel “trigger” evolutivo che sta determinando tale nuova situazione de facto.

Come fare affinché questo stato diventi un punto di “equilibrio a lungo termine”

La pubblica amministrazione e in generale tutte le organizzazioni e gli enti che hanno dovuto riorganizzarsi in modo veloce e più o meno efficace attraverso il lavoro da remoto al fine di garantire la continuità nell’erogazione dei servizi, dovranno, una volta terminata l’emergenza, fare tesoro dell’esperienza vissuta ed effettuare valutazioni quantitative e qualitative che permettano di confrontare le due esperienze (ante e post attivazione del lavoro da remoto). Attraverso report comparativi, interviste ai lavoratori e agli utenti e raccogliendo a fattor comune i vantaggi e gli svantaggi di tale esperienza, gli enti e le organizzazioni dovranno adattare i propri processi lavorativi in modo tale da garantire una quota rilevante di lavoro “agile”, anche nell’ottica del perseguimento di una politica responsabile e un impegno etico, sociale e sostenibile. I dati di questi giorni parlano chiaro: il lavoro da remoto determina una rilevante riduzione delle polveri sottili nelle città nonchè un maggiore livello di benessere personale e familiare favorendo un bilanciamento tra vita personale e lavorativa e incoraggiando la creatività e lo spirito innovativo.

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