La drammatica vicenda di Antonella Sicomero ci porta, ancora una volta, a interrogarci sull’uso che bambini e adolescenti fanno di un social come TikTok, più precisamente dell’uso e dell’importanza che su queste piattaforme riveste il corpo in questa specifica fascia d’età, il suo linguaggio, la sua dinamicità.
Pare, infatti – ma questa informazione è da verificare – che la bambina di dieci anni, morta a Palermo mentre si trovava nella propria abitazione stesse partecipando a un gioco in forma di sfida estrema che viene asserito essere in voga sul social network più amato dai ragazzini.
Alcuni genitori hanno allora reagito d’impulso imponendo ai loro figli di disinstallare l’app. Si tratta di un intervento umanamente comprensibile ma della cui efficacia abbiamo motivo di dubitare: non avere più a disposizione un certo social network non impedisce affatto di frequentarne altri già fruibili sul proprio smartphone oppure di scovarne di nuovi, magari ancor meno tutelati dove ripetere le medesime modalità.
Una certa esperienza clinica con le cosiddette dipendenze digitali mi ha portato inoltre ad accorgermi di quanto gli interventi bruschi di questo tipo determinino effetti poco incisivi, dalla scarsa stabilità e di come eventuali problematiche soggettive parallele a un tempo smodato trascorso dinanzi agli schermi rischino di emergere in maniera ancor più dirompente dinanzi a tali provvedimenti autoritari se questi vengono eseguiti dai genitori.
L’unico atto, drastico e risoluto, che potrebbe avere un impatto sicuro su questo mondo che legittimamente preoccupa i genitori sarebbe sottrarre ai preadolescenti il dispositivo digitale: come farlo, però, in un momento nel quale i ragazzi se ne servono per frequentare le lezioni online in tempi di didattica a distanza in zona rossa oppure in periodi di quarantena quando qualche loro compagno di classe o qualche loro insegnante si è ammalato di Covid?
TikTok, colpevole o capro espiatorio?
Non è un mio interesse dell’ultima ora quello per il successo inedito delle stories proposte in tempi molto brevi da Snapchat prima ancora che da Alex Zhu e Luyu Yang, gli inventori del social di origine cinese. In realtà, stavo già scrivendo di questo social da prima del recentissimo dramma di Palermo.
Ivan Ferrero, un caro collega molto esperto di nuove tecnologie, firma di Agendadigitale, ne ha parlato online di recente, sottolineando i lati preziosi, di informazione e di arricchimento, offerti dai social incluso lo stesso TikTok con il rischio di farne invece un facile capro espiatorio, nemmeno fosse il luogo del male assoluto. Del tutto ingenua diverrebbe una strana operazione deresponsabilizzante imperniata sull’individuare nel web la causa degli agiti autolesionistici o suicidari.
Alberto Pellai ne ha scritto sui propri profili social e su Famiglia Cristiana sottolineando un punto rilevante e delicato: la differenza fra la percezione del limite e del rischio nel mondo offline e nel mondo online. Benché filosofi come Luciano Floridi abbiano proposto un superamento di questa distinzione e coniato il termine di mondo onlife, pare condivisibile il fatto che nel territorio chiuso e protetto della propria cameretta la dimensione imitativa di rispecchiamento si vada ad accentuare in una condivisione di esperienze con amici del mondo virtuale, ubicati in varie parti d’Italia, sempre pronti a fornire graditi riconoscimenti nella forma dei like. Come sosteneva Lacan, qualunque organizzazione umana riduce in qualche modo il godimento; nel caso specifico, il godimento del rischio e della sfida si attenua in un contesto istituzionale quale la scuola o l’oratorio mentre si amplifica trovandosi soli dinanzi a uno schermo.
La Società Italiana di Pediatria, in un proprio documento di un paio d’anni or sono, aveva già apertamente raccomandato ai genitori di limitare a pochissime ore giornaliera il tempo trascorso al cellulare dai propri bambini in tenera età. Sarebbe in effetti importante evitare di lasciare i propri figli molte ore in casa, senza contatti con il mondo se non attraverso i videogiochi e le connessioni al web. Sarebbe preferibile trovare momenti di dialogo con loro, spazi di condivisione giocosa, occasioni di iscrizione nei legami di amicizia e di apprendimento. Tutto questo potrebbe tuttavia diventare banale o moralistico o ancora semplicemente infattibile, considerando alcuni impedimenti pratici dei genitori e le restrizioni dovute al coronavirus che impongono di passare gran parte della giornata al computer.
Inoltre, imputare a TikTok uno speciale rischio di esporre i giovanissimi a contatti con situazioni potenzialmente incitanti l’autolesionismo implicherebbe il tralasciare quello che purtroppo avviene da decenni sul web. Fenomeni come quello del cyberbullismo, della diffusione dei siti pro-ana che idealizzano l’esperienza anoressica, della condivisione dell’esperienza del cutting (il tagliuzzarsi) o appunto dell’inneggiare al suicidio risultano tristemente infiltrati nel web.
Basti considerare un dato riportato sul sito di Safer Internet Centre – Generazioni connesse, progetto cofinanziato dal MIUR e dalla Commissione Europea che si prefigge l’obiettivo di rendere Internet un luogo più sicuro, soprattutto per i più giovani, promuovendone un uso consapevole. Un dato pubblicato nell’aprile del 2019 appare tanto allarmante quanto significativo: in Europa, sono venuti a contatti su Internet con informazioni potenzialmente nocive caricate da altri utenti e invoglianti al passaggio all’atto suicidario o a gesti autolesivi addirittura il 29% di coloro che hanno un’età compresa fra gli 11 e i 16 anni. Diviene improbabile circoscrivere, dunque, tale situazione esplosiva ai social network.
Perché TikTok e non un altro social?
Risulta forse di maggior interesse focalizzarci proprio su TikTok e sui motivi per i quali bambini o preadolescenti vi trovino un’area di gioco e di divertimento ben più gradita di altre realtà online.
Un social network come Facebook risulta poco frequentato persino dagli adolescenti. Mi è recentemente capitato di tenere in diretta Facebook una conferenza sulle affinità e le differenze fra l’insegnamento di Jacques Lacan e quello del suo coetaneo Erich Fromm. Avevamo intenzione di estendere questa diretta a ragazze e ragazzi dell’ultimo anno di Liceo, allievi di nostri amici, ma ci siamo trovati in un’imprevista difficoltà tecnica avendo dimenticato che molti ragazzi, peraltro interessati all’argomento relativo a filosofia e psicoanalisi, non si sono mai dotati di un profilo su questo social network. Ho più volte ascoltato in seduta giovanissimi pazienti affermare, fra il serio e il faceto, che il social inventato da Mark Zuckerberg sarebbe un dispositivo adatto a persone anziane come alcuni loro familiari e niente affatto a loro.
Questa opzione per altri social come Snapchat, Instagram, Pinterest e soprattutto TikTok risulta ancora più eclatante fra i preadolescenti che vi trovano degli spazi di desiderio e di ricerca sganciati dal timore di incontrare lo sguardo giudicante dei genitori, dei nonni, degli zii, dei fratelli e delle sorelle maggiori oppure dei professori delle scuole medie o del ginnasio.
Se Snapchat si basa proprio sul nascondere quanto viene pubblicato nelle stories – ricordiamo infatti che il tempo delle ventiquattro ore di visibilità di uno stato giunge proprio da Snapchat – TikTok sembra valorizzare in modo simpatico e divertente la creatività dei giovanissimi. Non a caso, “fare un Tik Tok” è divenuto uno dei passatempi preferiti di tantissime ragazze e di tantissimi ragazzi nei momenti del primo rigido lockdown della scorsa primavera ma anche nei periodi caratterizzati da zone rosse e zone arancioni dinanzi al perdurare della drammatica emergenza coronavirus. Preadolescenti, adolescenti e giovani, si dedicano non soltanto a trasmettere brevi spezzoni di brani musicali che li appassionano ma anche a convogliare la propria energia con tanta voglia di vivere nel progettare, organizzare e realizzare delle brevi narrazioni su TikTok. Vanno da gag scherzose e divertenti, riprodotte più volte come se si stesse girando un film, con una giocosa dose di spirito di protagonismo, a balletti aggraziati arricchiti da un ritmato sottofondo musicale.
Per incrementare le visualizzazioni, la prassi è quella di condividere le brevi opere anche su altri social come Instagram dove vanno a intersecarsi con un altro tipo di target che non usufruisce di TikTok.
Vi sono molti studenti che, dalle seconde medie all’università, dalla fine di febbraio 2020 in poi, hanno trascorso a scuola in presenza pochissime settimane. Essi sono fra coloro che si dedicano con maggior costanza alla realizzazione dei TikTok. Spesso rimangono delusi dall’assenza di legami fra i corpi, dalla carenza di contatti e di abbracci, quando non francamente intristiti, abbacchiati e depressi. Non a caso, sia come esperienza personale sia per quanto mi viene riferito da colleghi che hanno una certa consuetudine nella pratica clinica con teenager, appare ormai tutt’altro che rara la frase: “Sono contento di venire qui, alla seduta settimanale, anche perché questo è l’unico giorno in cui esco di casa”.
I fattori del successo di TikTok tra adolescenti e bambini
Fra i fattori della diffusione di TikTok fra gli adolescenti e ormai anche fra i bambini vi è dunque anzitutto indubbiamente la ricerca di un’area che potremmo definire territorialmente autonoma, sottratta all’imbarazzante invadenza dei familiari o di altri adulti.
Un secondo motivo sta negli spazi di creatività e di inventiva che Tik Tok permette. Questa creatività concerne precisamente il corpo, il linguaggio del corpo, l’avere un corpo che parla, il parlare mediante il proprio corpo, l’esprimere qualcosa di sé a livello corporeo. Quel corpo che resta chiuso in casa per gran parte della settimana, spesso ininterrottamente, senza tregua, per diverse giornate consecutive. Le scenette, le musiche, i balletti, le danze che vengono pubblicate su TikTok e rilanciate su altri social permettono di mettere in gioco anche il proprio corpo: quel corpo che risulta assolutamente al centro della vita dei preadolescenti, al termine della fase denominata da Freud di latenza pulsionale. La pubertà è un momento di cambiamento somatico, nella quale il corpo si trasforma acquisendo i caratteri sessuali secondari, nella quale la corporeità si fa sentire, si fa viva.
TikTok costituisce una delle molteplici aree del mondo digitale che permettono di utilizzare il corpo in modo dinamico e di operare una sublimazione della pulsione dalla spinta verso il soddisfacimento sessuale a mete culturalmente più elevate. Lo scrivo con un approccio realistico, senza esaltare né demonizzare TikTok.
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