Per chi si occupa di scienze sociali, la pandemia da Covid-19 è senza dubbio uno dei più importanti shock economici, sociali e culturali del XXI secolo. Il suo impatto è stato tale che non solo ha messo in dubbio istituzioni globali e infrastrutture sociali radicate dal XX secolo – capitalismo, ambiente, internet, globalizzazione eccetera – ma ha richiesto anche nuovi approcci che possano essere utili per affrontare il problema secondo la necessità di maggiore complessità tipica fenomeni del secolo che si è appena aperto.
Un nuovo bagaglio concettuale è al vaglio degli esperti e come spesso capita, questo nuovo approccio ai problemi globali porta con sé un vocabolario sostanzialmente nuovo: spillover, resilienza, emergentismo. Fra queste nuove parole con cui dovremo fare i conti – pena affrontare il XXI secolo con gli strumenti del XX secolo – si sta affacciando un nuovo concetto: quello di sindemia.
Cos’è una sindemia e perché un vaccino non basta a fermarla
Lo scorso settembre in un suo editoriale piuttosto interessante, Richard Horton direttore della celebre rivista scientifica The Lancet, afferma che non è corretto chiamare la diffusione di Covid-19 una pandemia, in quanto ha le caratteristiche di una sindemia, ovvero un processo frutto della sinergia di diverse pandemie, in cui la componente sociale non fa altro che esacerbare la situazione biomedica, in un meccanismo di sistematico peggioramento della situazione complessiva (Horton 2020). In pratica la situazione del Covid-19 è aggravata non solo dalle dinamiche – note – che la pandemia ha dal punto di vista biomedico, ma anche da specifiche condizioni economiche, sociali e culturali. È sotto gli occhi di tutti che la pandemia globale sta colpendo con particolare virulenza le classi sociali più povere o socialmente escluse come i cittadini anziani, le minoranze etniche, i lavoratori sottopagati.
In questo quadro, per affrontare il nuovo coronavirus non basta intervenire dal punto di vista biomedico, è necessario intervenire sia dal punto di vista politico – sostegno economico, rafforzamento del sistema sanitario, strategie decisionali centralizzate e coordinate – che dal punto vista sociale – norme di convivenza civile basate su distanziamento fisico, mascherine usate come sistemi di protezione, disinfezione delle mani.
Sanare le diseguaglianze sociali
Horton arriva a sostenere che il vaccino da solo non sarà capace di risolvere i problemi sollevati dal COVID-19, se i governi non interverranno a ridurre (se non sanare) le diseguaglianze sociali che sono concausa della pandemia.
Il concetto di sindemia è relativamente nuovo: è stato messo a punto dall’esperto di antropologia medica Merril Singer negli anni ’90 (Singer 2009) e recentemente è tornato in auge come concetto chiave nel rapporto The Global Syndemic of Obesity del The Lancet Obesity Commission (Swinburn et al. 2019). Emily Mendenhall, ricercatrice e collaboratrice di Merril Singer, qualche settimana dopo l’editoriale di Horton, ha fatto una serie di osservazioni piuttosto acute (Mendenhall 2020). Secondo la ricercatrice americana, non è corretto chiamare il COVID-19 una sindemia globale, perché dal punto di vista internazionale, nazioni diverse si sono mosse in maniera diversa riuscendo a intervenire anche dal punto di vista economico-sociale. In pratica, mentre il nuovo coronavirus ha avuto le caratteristiche di una sindemia negli Stati Uniti – pandemia medica, fallimento nella reazione politica al virus, situazione medica già compromessa in classi sociali subalterne – la pandemia non si è trasformata in sindemia in paesi come la nuova Zelanda o nei paesi dell’Africa sub-sahariana. La trasformazione della pandemia in sindemia risente pesantemente del contesto socio-culturale di localizzazione, diventando così una variabile che può rallentare o accelerare il processo di diffusione del coronavirus.
Il ruolo dell’infodemia nella reazione delle persone al covid
Se volessimo effettuare un’analisi di massima delle pandemie che contribuiscono a rendere il COVID-19 una sindemia, oltre all’epidemiologia del virus e al ruolo delle decisioni politiche nel rinforzare la reazione sociale e il sistema sanitario, dobbiamo prendere in considerazione un’altra importante componente della pandemia: quella infodemica.
Come oramai è diventato palese, l’infodemia – intesa come diffusione incontrollata di informazioni spesso fittizie – ha avuto un ruolo nel preparare la reazione da parte delle persone, in quanto ha modificato le strategie decisionali che ogni singolo individuo ha attivato per reagire alla pandemia. Detto altrimenti, l’infodemia non è solo circolazione di fake news che possono portare ad atteggiamenti di critica politica e di rabbia sociale, ma diventa base di specifici comportamenti – non credere nell’esistenza del COVID-19, minimizzare l’importanza di comportamenti come il distanziamento, l’uso delle mascherine e la sanificazione delle mani – che possono compromettere la sicurezza biomedica di un territorio. Utilizzando il modello della sindemia, possiamo affermare che l’infodemia non è semplicemente un fenomeno che si accompagna alla pandemia, ma diventa essa stessa una concausa destinata a interferire con il processo di ostacolo alla diffusione del coronavirus e con il processo politico-decisionale che ha lo scopo di ridurre le nefaste conseguenze del coronavirus.
La teoria cospirazionista di Qanon
La situazione potrebbe peggiorare ancora di più se l’infodemia si istituzionalizzasse, ovvero se smettesse di essere un problema passeggero, ma diventasse strutturale. Ci sono avvisaglie in questo senso: diffusione di ideologie negazioniste, complottiste, luddiste (come l’idea fittizia delle reti di telefonia 5G cause della diffusione del coronavirus). Un esempio emblematico in questo senso è la teoria cospirazionista di Qanon. Secondo questa teoria, iniziata con un tentativo di attacco terroristico interno americano noto con il nome di Pizzagate e diffusasi attraverso un mix di retoriche complottiste, diffusione in social network spregiudicati (8kun e 4chan in modo particolare) e ideologie di estrema destra, Donald Trump starebbe combattendo una battaglia segreta contro il deep state, una congiura politica ordita, tra gli altri, dal partito Democratico americano per governare segretamente il mondo e potersi così garantire la possibilità di macabri rituali di eterna giovinezza fondati su pedofilia e satanismo.
Per quanto possa sembrare assolutamente inconcepibile, questa teoria non solo sta raccogliendo moltissimi seguaci configurandosi come un culto para-religioso, ma sta diventando una vera e propria internazionale del complottismo in cui tutte le teorie cospirazioniste più celebri – dalle scie chimiche alle presunte manipolazioni di Big Pharma – stanno progressivamente convergendo. E fra queste, anche le teorie che vogliono la diffusione di COVID-19 come una finta pandemia il cui scopo è l’imposizione di una dittatura sanitaria. Se queste forze ideologiche prendessero piede, potrebbero diventare un ostacolo difficile da sormontare per intervenire nel miglior modo possibile su gli effetti reali e concreti della diffusione di una nuova malattia. Mantenendo il linguaggio epidemiologico, la diffusione dell’infodemia cospirazionista come Qanon, potrebbe creare una situazione in cui il COVID-19 diventerebbe endemico – cioè radicato in una specifica area geografica che ritorna a periodi alterni – non per motivi medici, ma soprattutto per motivi politici e sociali.
Conclusioni
La sindemia è un modello concettuale molto interessante per via della sua dimensione ecologica e sistemica. Ecologica perché considera l’ambiente non solo come costituito dalla biosfera – animali, piante e organismi viventi – ma anche dalla sociosfera, ovvero il sistema sociale, economico, politico e culturale. Sistemica perché considera questi diversi livelli come costantemente interagenti, così che la perturbazione in un livello si ripercuote su tutti gli altri in meccanismo di effetti reciproci.
In pratica il modello della sindemia è un tentativo di riappropriarsi del pensiero complesso cercando nuovi modi per intervenire in un mondo che è sempre più globale e interconnesso. E in questo quadro comincia ad avere un peso sempre maggiore la sfera della comunicazione, non più componente circostanziale, ma essa stessa ambiente che può avere un ruolo di primo piano anche per affrontare le sfide poste dal XXI secolo. Ma in quanto ambiente corre il rischio dell’inquinamento – causato provocato da cospirazioni, complotti, fake news – che possono contaminare le coscienze e provocare effetti di cui ancora non abbiamo completa consapevolezza.
Un mondo sano è un mondo in cui l’ambiente, la società, la comunicazione cooperano in maniera virtuosa, ma perché ciò accada ognuno di noi è chiamato a fare la propria parte.
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Bibliografia
Horton, R. (2020). Offline: COVID-19 is not a pandemic. The Lancet, 396 (10255), 874.
Mendenhall, E. (2020). The COVID-19 syndemic is not global: context matters. The Lancet. https://doi.org/10.1016/S0140-6736(20)32218-2
Singer, M. (2009). Introduction to syndemics : a critical systems approach to public and community health. San Francisco, CA: Jossey-Bass.
Swinburn, B. A., et alii (2019). The global syndemic of obesity, undernutrition, and climate change: the Lancet Commission report. The Lancet, 393(10173), 791-846.