oltre l'emergenza

Il covid ci farà amare l’intelligenza artificiale? Ecco le prospettive

Il Covid-19 ha “sdoganato” l’uso dell’IA in ospedali, supermercati e contesti in cui può permettere all’uomo di evitare il contagio. Superata, quindi, la diffidenza, permarrà una benevolenza nei confronti dell’automazione che ne faciliterà la diffusione. Ecco come limitare i contraccolpi, anche sull’occupazione

Pubblicato il 18 Giu 2020

Alessio Plebe

Università degli Studi di Messina

Photo by Andy Kelly on Unsplash

La pandemia da coronavirus sta producendo cambiamenti significativi su vari aspetti del modo di pensare delle persone, inclusa l’attitudine nei confronti dell’Intelligenza Artificiale (IA). Tendenzialmente verso il meglio, spingendo il pubblico a mettere da parte alcune storiche resistenze verso quest’innovazione.

Intelligenza artificiale, i motivi della diffidenza

Ed è una svolta, potenzialmente. Da quando, grazie alla famiglia di algoritmi nota come deep learning, l’IA ha collezionato in pochi anni un numero impressionante di risultati del tutto inattesi, e catturato l’interesse del mondo imprenditoriale, istituzionale, accademico, è stata via via oggetto anche di una serie di critiche, a diversi livelli. Quello più sofisticato, che comprende diatribe classiche come quanto l’IA approssimi genuinamente l’intelligenza dell’uomo, fa presa soprattutto tra filosofi e cognitivisti. Vi sono altre preoccupazioni, quali gli eventuali pericoli per i diritti umani e la democrazia, che animano soprattutto gli strati culturali più intellettuali e con maggior impegno politico.

Un timore, quest’ultimo, che non si spegnerà domani, beninteso: proprio mentre scriviamo le proteste americane per la morte di George Floyd hanno convinto molti sulla pericolosità della tecnologia di AI più pericolosa, quella del riconoscimento facciale. Molti esperti notano che questa alimenta le discriminazioni sociali, a danno dei neri (e non solo). Di conseguenza, nei giorni scorsi, Ibm e Amazon hanno sospeso l’offerta di questa tecnologia alla polizia.

Ma probabilmente è economica la motivazione principale che porta la porzione più consistente della società alla diffidenza e anche all’ostilità verso l’IA. Come ha sapientemente analizzato l’economista Carl Benedikt Frey, direttore del progetto “Future of Work” presso l’università di Oxford, nel suo ultimo libro “The Technology Trap: Capital, Labor, and Power in the Age of Automation”, questo sentimento deriva dai timori di perdere il proprio lavoro, ricorrente in tutte le fasi di innovazione tecnologica.

A partire dal vapore, e la sua minaccia di sostituire gli operai nelle aziende tessili, che trovò fiera resistenza nei cosiddetti Luddisti tra il 1811 al 1817. Il nome del movimento era ispirato dalla figura di Ned Ludham, un apprendista che per primo prese a martellate un telaio, presto diventato eroico come “generale Ludd”. Nonostante il governo inglese avesse introdotto addirittura la pena di morte per chi danneggiasse macchine a vapore, i Luddisti godevano di un diffuso appoggio della popolazione, e nell’area tra Nottingham, Leicester, e Lancashire riuscirono a distruggere un migliaio di nuovi telai a vapore.

Pure l’innovazione dell’elettricità fu un progresso per molti ma anche l’incubo della disoccupazione per diverse categorie di lavoratori. Tra questi i seicento “accenditori” di New York, il cui unico ma fondamentale compito era di accendere uno per uno i venticinquemila lampioni ad olio distribuiti nelle strade di questa città. Contro l’arrivo di elettricità e lampadine, nel 1907 questi operai scesero in sciopero lasciando la città al buio, ma sappiamo bene come andò a finire, pochi sanno che un tempo era esistito quel mestiere.

Negli anni ’70 del secolo scorso fu il turno del computer a ridimensionare drasticamente, se non eliminare, diversi mestieri, dalla gestione di ufficio alla tipografie. Ora è il turno dell’IA, il già citato Frey insieme a Michael Osborne hanno effettuato uno studio analitico delle professioni negli Stati Uniti giungendo alla conclusione che il 47% di queste è suscettibile di essere interamente automatizzata. I settori più vistosi riguardano tutti mestieri connessi al trasporto in generale, e alla distribuzione di merci: camionisti, tassisti, macchinisti, ferrotranvieri, consegnatari, e varie figure operanti nei magazzini.

Pur se l’elemento scatenante l’avversione al progresso tecnologico rimane comune: il timore di perdere il lavoro, vi sono profonde differenze tra la portata della rivoluzione dell’IA e delle altre tre tecnologie, così come sono ben differenti i contesti economici e sociali attuali rispetto ai primi dell’800 e anche del 900. Tuttavia è opinione diffusa tra gli osservatori esperti che anche stavolta i benefici principali da IA e automazione sono da attendere nel lungo termine, mentre il breve termine potrà includere perdite economiche per certe categorie di lavoratori. Siccome il breve termine è il campo d’azione privilegiato di molta politica, anche l’apprensione verso l’IA è finita nell’elenco delle paure sociali su cui fanno leva i partiti populisti nel mondo. Anche in Italia l’ostruzione all’IA ha trovato supporto politico dal versante populista, ne è testimonianza un libro radicalmente neo-luddita come il “Fermate le macchine! Come ci stanno rubando il lavoro, la salute e perfino l’anima” di Francesco Borgonovo.

La pandemia e le inattese virtù dell’IA

Poi è arrivata la pandemia, ed è emersa un’inattesa virtù dell’IA. Nelle precedenti controversie pro e contro l’IA era stata utilizzata una gran varietà di argomentazioni da ambo le parti. Alcune di queste argomentazioni facevano leva sulla natura biologica degli esseri umani. I fautori dell’IA hanno spesso tentato di promuoverla raccontando che i modelli deep learning, chiave del successo dell’attuale IA, funzionano imitando le cellule neurali del cervello umano, e pertanto robot e algoritmi condividono realmente un fondo comune con la nostra intelligenza. I denigratori dell’IA hanno invece sottolineato le profonde differenze tra congegni meccanici ed elettronica al silicio, rispetto alla materia biologica, modellata dalla storia evolutiva, capace di emozioni, coscienza e tutti quegli attributi che competono solo agli organismi viventi.

A nessuno è venuto in mente che proprio nella differenza fisica tra il materiale con cui sono fatti computer e robot, e quello con cui sono fatti gli esseri viventi, si sarebbe potuto individuare un vantaggio schiacciante dell’IA sull’uomo.

Quello di non essere contagiabile dai virus. Se non più tardi di novembre dello scorso anno qualcuno avesse declamato questa prerogativa dell’IA, essa sarebbe stata accolta con sufficienza, come una ovvietà insignificante, simile a dire che uno dei vantaggi di un robot rispetto all’uomo sarebbe il non dover periodicamente usufruire di un gabinetto. Oggi invece, quella prerogativa dell’IA è diventata una virtù, e una virtù talmente preziosa da offuscare tutti gli argomenti contrari, le diffidenze, le resistenze contro l’IA.

Il settore dove l’IA rischia di passare non solamente per virtuosa, ma persino eroica, è quello direttamente investito dalle forme più estreme dell’epidemia, la cura dei malati gravi negli ospedali. E’ oramai ben noto come gli ospedali siano stati luoghi elettivi di contagio, per il sovraffollamento di pazienti nella fase acuta dell’infezione e un alto prezzo è stato pagato proprio dal personale sanitario. In Italia il numero di medici morti a seguito della loro attività di frontiera contro il virus è di oltre cento, in Inghilterra si stima sia intorno ai duecento. Li Wenliang, l’oculista dell’ospedale di Wuhan che per primo si rese conto del virus già a fine dicembre 2019, ne è stato anche la prima vittima tra i medici. Ma Wuhan è stato pure teatro dell’attuazione di ospedale interamente robotizzato senza precedenti. La realizzazione è opera della CloudMinds, azienda di punta della robotica cinese ad alto contenuto tecnologico, i cui prodotti si avvalgono di deep learning per tutta la percezione dell’ambiente esterno. Sei diversi allestimenti di robot hanno gestito interamente il reparto COVID-19 allestito a Wuhan, provvedendo alla distribuzione individuale degli alimenti e dei farmaci, al monitoraggio dei dati vitali dei pazienti, e alla pulizia. Il personale sanitario supervisionava i robot da un’area remota isolata dal reparto. Era escluso dalla robotizzazione il solo reparto di cura intensiva, che comunque come numero di postazioni rappresenta una porzione piccola rispetto ai ricoveri per il virus. Purtroppo anche l’ideatore del progetto, Liu Zhiming, direttore dell’ospedale Wuhan Wuchang, non è stato risparmiato dal virus, ed è deceduto prima di poterlo vedere interamente realizzato.

I robot (cinesi) negli ospedali italiani

La tecnologia robotica cinese si sta timidamente affacciando anche negli ospedali italiani. Dagli inizi di aprile presso l’ospedale di Circolo di Varese sono operativi alcuni robot Sanbot Elf, della Qihan Technology di Shenzhen. Si tratta di un robot piuttosto sofisticato, dotato di oltre 60 sensori, che grazie ad algoritmi deep learning possiede capacità di muoversi in spazi occupati da ostacoli di vario genere, di riconoscere facce, voci, e anche di intrattenere semplici dialoghi. Sono robot creati per servizi sociali generici, programmabili per specializzarsi nel loro impiego finale, che può andare dall’accoglienza o la sicurezza negli aeroporti all’ausilio educativo e infine, all’ambito sanitario, come il reparto Covid-19 dell’ospedale di Circolo di Varese. Qui i robot possono monitorare i malati nei reparti di isolamento, effettuare alcune misurazioni di parametri fisiologici, intrattenerli in semplici conversazioni, o fungere da intermediari per richieste ai medici. Questo stesso modello di robot si sta diffondendo in altri ospedali d’Europa, come in Romania per iniziativa dalla Bucharest Promo Robots.

Con il perdurare dei blocchi precauzionali della cittadinanza, l’automazione è andata oltre l’ambito ospedaliero, iniziando ad offrire soluzioni, anche se parziali, alla difficile o impossibile operatività di esseri umani. Da anni, in molte delle grandi città nel mondo, lo smaltimento dei rifiuti urbani è progredito notevolmente, grazie all’adozione di procedure di riciclaggio. Nella complessa catena del riciclaggio, vi sono dei passaggi che richiedono l’intervento umano, in misura minore o maggiore a seconda della modernità degli impianti. sono operazioni che vanno dall’ispezione di controllo dei rifiuti, lo smistamento della porzione non idonea per una certa categoria, fino alla cernita e selezione manuale. Di fronte al rischio di contagiarsi degli operatori, in un gran numero di città gli impianti hanno dovuto sospendere il riciclaggio, con la conseguente impennata del quantitativo di rifiuti finiti in discariche indifferenziate. Alcuni impianti invece hanno adottato l’automazione completa, che garantisce la continuità della catena di riciclaggio con un numero minimo di addetti, e senza problemi di distanziamento. Negli Stati Uniti una delle aziende leader nel settore è la AMP Robotics, che integra raffinate capacità di percezione visiva, permesse dal deep learning, in robot per lo smaltimento intelligente di rifiuti solidi di vario genere. In una intervista al New York Times l’amministratore delegato della AMP Robotics, Matanya Horowitz, ha dichiarato di aver ricevuto un’impennata di ordinativi da poco dopo il periodo dell’emergenza da Covid-19.

Gli ausili robotici nei supermercati

Tra le attività diventate di vitale importanza nelle società alle prese con la pandemia spiccano i supermercati, i pochi posti pubblici che non hanno mai potuto smettere di funzionare, per assicurare i generi di prima necessità alle persone. Un impegno difficile, in cui alle incombenze abituali come rimpiazzare la merce negli scaffali via via che manca, servizio di cassa in uscita, si sommano i compiti di controllo dei clienti: ingressi contingentati, distanziamento in ogni reparto, uso di protezioni. Tutto questo unitamente alla preoccupazione di dover salvaguardare la propria incolumità in giornate piene a costante contatto con il pubblico. Di fronte a questo drammatico appesantimento del carico di lavoro, vengono in aiuto ausili robotici che possano dispensare il personale dei supermercati da alcuni compiti.

Uno di questi è la pulizia dei pavimenti, superfici tipicamente molto estese nei grandi supermercati. Eugene Izhikevich è stato un autorevole neuroscienziato computazionale all’istituto di Neuroscienza di San Diego, in California, che ha lasciato qualche anno fa per fondare un’azienda, la Brain Corp. L’idea principale coltivata da Izhikevich è stata di sfruttare i potenti algoritmi di deep learning sviluppati per le auto a guida autonoma, per una varietà di piccoli veicoli robotici. Vi sono diversi vantaggi, anzitutto la maggior facilità e sicurezza nel controllare veicoli che si muovono a velocità contenute, non gli oltre duecento all’ora di una Tesla, e poi i robot mentre si muovono a loro agio in ambienti di ogni genere, possono continuare a fare quel qualcosa di utile per cui sono stati progettati. Come pulire i pavimenti dei supermercati. Così anche per la Brain Corp l’emergenza COVID-19 è occasione unica di espansione, con moltiplicarsi di ordinativi delle grandi catene di supermercati, come le americane Walmart e Giant Eagle. Per riuscire a far fronte a questo inatteso volume di richieste la Brain Corp a fine aprile ha raccolto nuovi finanziamenti privati per 36 milioni di dollari.

Una volta sdoganata l’automazione intelligente, grazie alla sua speciale virtù di essere indifferente al contagio, gli ambiti di applicazione si sono diversificati, includendo anche alcuni che non sono certo di stretta necessità. Ne citiamo un caso che, per la sua stravaganza, fornisce una buona idea di quanto siano svariati ed inimmaginabili i campi dove robot e IA possono risultare utili. Lo sport che eguaglia la popolarità del calcio per gli europei in paesi come Giappone, Stati Uniti, Corea, è il baseball. Per i suoi appassionati è un gran dispiacere la cancellazione degli incontri in tutto il mondo. O quasi, perché già da aprile il Taoyuan International Baseball Stadium di Taiwan ha osato ospitare incontri tra le grandi squadre, trasmesse e commentate in lingua inglese in tutto il mondo, per la gioia degli adepti di questo sport. Una particolarità di questi incontri è il poderoso contorno sonoro, corroborato da vere e proprie bande musicali che creano un voluminoso sottofondo a cori ed incitamenti ritmati. La mancanza di pubblico, e del suo chiasso, avrebbe reso un po’ irreale la partita. In piena linea con la tradizione tecnologica di qual paese, gli organizzatori sono ricorsi a dei robot umanoidi, posizionati sugli spalti e dotati di batterie e tamburi, con cui accompagnavano rumorosamente le fasi della partita, che in questo modo recuperava un po’ della sua componente sociale.

Uno sguardo al futuro

Proviamo ora a dare uno sguardo al futuro. Le cronache della terribile influenza spagnola del 1918-19 raccontano quanto la paura rimase a lungo, e per più di un anno dalla fine della pandemia molte persone erano riluttanti ai contatti ravvicinati con estranei. Lo stesso succederà probabilmente per il Covid-19, di conseguenza perdurerà una benevolenza nei confronti di automazione e AI, che faciliterà il consolidamento della sua diffusione. Diffusione che sarà sempre meno giustificata dalla virtù di immunità. Quando non ci saranno più malati di coronavirus, gli ospedali difficilmente si sbarazzeranno dei loro robot, li impiegheranno in altri reparti, e diventerà sempre più abituale vedere nelle corsie convivere operatori umani e artificiali. Più un ospedale sarà affollato di robot rispetto a personale umano, e meglio sarà per il suo bilancio. Lo stesso avverrà nei supermercati, nei centri di smaltimento rifiuti, nelle industrie, dove probabilmente poco del personale che aveva dovuto essere rimpiazzato dall’automazione per scongiurare i contagi, otterrà nuovamente i proprio lavoro.

Inevitabilmente col tempo la paura del Covid-19 diventerà un ricordo sempre più sbiadito, mentre più concreto e vivido sarà il dramma di chi vede il proprio lavoro rimpiazzato dall’IA. Vi saranno probabilmente forze politiche pronte a cavalcare questo malcontento nel modo più facile e reazionario: tentando di opporsi al progresso. Per non rischiare di perdere, o comunque dilazionare in un tempo indefinito, gli indubbi benefici che l’umanità potrebbe avere dall’IA, sarà il momento di valutare seriamente strategie come il reddito di base universale, che da anni sono state individuate come la miglior compensazione sociale dell’impatto dell’automazione. Diversi paesi, tra cui l’Italia, hanno già iniziato ad adottare azioni che in embrione preludono al reddito di base, ma sarà necessario che queste strategie siano studiate in modo organico all’analisi dei cambiamenti nel mondo del lavoro prodotta dall’IA.

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