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Cos’è il digital divide, nuova discriminazione sociale (e culturale)

Il digital divide è il divario che c’è tra chi ha accesso (adeguato) a internet e chi non ce l’ha (per scelta o no). Ne deriva una esclusione dai vantaggi della società digitale. Con danni socio-economici e culturali per chi ne è colpito. Vediamo i dati, le norme e le dinamiche del fenomeno, con un focus sull’Italia

Pubblicato il 13 Mar 2020

Angelo Alù

studioso di processi di innovazione tecnologica e digitale

Alessandro Longo

Direttore agendadigitale.eu

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Il digital divide ha tante forme. Tutte hanno il volto di un’esclusione dai benefici del progresso tecnologico e dell’innovazione. Digital divide, divario digitale. Comunque lo si chiami, il suo effetto è negativo per chi lo subisce. E lo è sempre di più man mano che il digitale assume un’importanza crescente per la società.

Chi è escluso dal digitale – per scelta o per caso fortuito – ne perde i vantaggi. Con un danno socio-economico e culturale. E poiché chi è in digital divide – secondo gli studi, come Istat – è spesso di un ceto sociale già svantaggiato, entra in un circolo vizioso. Di crescente povertà ed esclusione. Cerchiamo di tracciarne i confini, per trovare anche le strade giuste per combattere il fenomeno.

Digital divide: una definizione “enciclopedica” del fenomeno

Digital divide significa “divario digitale”, com’è noto. Cioè una situazione che divide la popolazione nell’accesso a internet. Una divisione tra chi ha accesso a internet e chi no.

Questo parametro ha una valenza importante, perché evidenzia una sempre più grave disuguaglianza nell’accesso e nell’uso delle tecnologie.

L’effetto è che questa divisione in risalto la frattura che si frappone tra la parte della popolazione in grado di utilizzare queste tecnologie e la parte della popolazione che ne rimane esclusa Ne deriva una grave discriminazione per l’uguaglianza dei diritti esercitabili online con l’avvento della società digitale. Il divario digitale quindi è sempre più causa di un divario di altra natura: socio-economico e culturale.

Tra le categorie più minacciate dall’esclusione digitale vi sono i soggetti anziani (cd. “digital divide intergenerazionale”), le donne non occupate o in particolari condizioni (cd. “digital divide di genere”), gli immigrati (cd. “digital divide linguistico-culturale”), le persone con disabilità, le persone detenute e in generale coloro che, essendo in possesso di bassi livelli di scolarizzazione e di istruzione, non sono in grado di utilizzare gli strumenti informatici.

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L’origine delle nuove diseguaglianze sociali (e digitali)

A partire dalla metà degli anni Novanta del secolo scorso, comincia a diffondersi la tesi secondo cui il mancato utilizzo di Internet possa dare luogo a una nuova forma di disuguaglianza sociale che si manifesta nel gap esistente fra gli information haves e gli havenots e che, pertanto, richiede l’elaborazione di specifiche politiche pubbliche volte a garantire effettive condizioni di accesso ad Internet.

Il 29 maggio 1996, l’allora Vice-Presidente Al Gore dell’amministrazione Clinton utilizzò l’espressione “digital divide” per indicare il gap esistente fra gli information haves e gli havenots nell’ambito del programma K-12 education (“Kindergarten through 12th grade”).

L’evoluzione del divario digitale può essere descritta utilizzando due differenti approcci che consentono di analizzare specifici aspetti di tale fenomeno, in presenza di numerose variabili che influenzano, a livello micro (variabili socio demografiche) e macro (fattori economici e istituzionali), l’accesso ad Internet.

In particolare, la tesi della “normalizzazione” sostiene la progressiva eliminazione del divario informatico, che andrà gradualmente a normalizzarsi sino ad esaurirsi totalmente, nella prospettiva di un progressivo livellamento delle competenze digitali, mentre la tesi della “stratificazione” opta per un crescente incremento delle disuguaglianze virtuali nate con la Rete, le quali, piuttosto che diminuire, sono destinate a protrarsi nel tempo con effetti sempre più discriminatori tra gli inclusi e gli esclusi digitali.

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I tre tipi di divario sociale (digital divide)

Secondo la classificazione maggiormente accreditata in materia è possibile distinguere tre tipi di divario digitale: globale, sociale e democratico. Il primo si riferisce alle differenze esistenti tra paesi più o meno sviluppati; il secondo riguarda le disuguaglianze esistenti all’interno di un singolo paese; il terzo focalizza le condizioni di partecipazione alla vita politica e sociale in base all’uso o meno efficace e consapevole delle nuove tecnologie.

Quando si analizza il fenomeno del divario digitale, è necessario evidenziare una dimensione cognitiva che presuppone l’assenza di conoscenze informatiche minime da parte di un individuo, il quale, pertanto, non è in grado di svolgere le più semplici attività virtuali configurabili nel cyberspazio; e una dimensione infrastrutturale che focalizza l’esistenza di carenze nella disponibilità di dotazioni infrastrutturali e di strumenti telematici necessari a consentire un’efficace navigazione.

In considerazione delle rilevanti implicazioni del divario digitale, una parte della più recente giurisprudenza di merito ha riconosciuto l’esistenza di un vero e proprio “danno da digital divide”, provocato dalla violazione del diritto di accesso, che impedisce all’individuo il regolare esercizio  dei propri diritti online, configurando una peculiare tipologia di pregiudizio, qualificabile come danno alla persona sottoforma di perdita di chances di “inclusione”.

Senza copertura banda larga e senza internet per scelta: digital divide infrastrutturale e culturale

Scendendo a un livello più concreto, possiamo dividere tra due casi:

  • italiani non coperti da una connessione internet adeguata (anche “digital divide infrastrutturale”)
  • italiani che scelgono di non avere un abbonamento a internet (anche “digital divide culturale”)

Nonostante le apparenti differenze – la prima è una situazione fortuita, la scelta una scelta – sono due facce di una stessa situazione di svantaggio. Dati gli indubbi vantaggi della connessione a internet e i costi ormai risibili, scegliere di non usufruirne ha sempre più il sapore di una “non scelta”. Ossia una scelta dettata da condizioni oggettive pre-determinate di deficit socio-culturale.

A chi manca internet in Italia: i dati di copertura

In Europa il digital divide di primo livello, secondo la Commissione europea, è la mancata copertura di banda larga fissa ad almeno 2 Megabit (Adsl, cavo coassiale – che in Italia manca – o fixed wireless). In Italia questo dato di digital divide riguarda una popolazione di pochi punti percentuali. Meno dell’1 per cento secondo quanto riportano gli operatori (dati Desi 2018), ma ultime rilevazioni Agcom (più dettagliate, basate su 360mila sezioni censuarie) tendono a rivedere al rialzo questo dato: è il 5,6 per cento della popolazione circa a non avere copertura Adsl (dato che potrebbe dimezzarsi se includiamo la copertura fixed wireless access, di cui però non ci sono mappe ufficiali).

Più interessante il digital divide di secondo livello, ossia la mancata copertura banda ultralarga, sempre più necessaria per una connessione “adeguata” ai servizi internet.

Anche qui i dati di copertura oscillano, per il 2018: quelli senza banda ultra larga sono tra il 20 e il 40 per cento della popolazione (dati degli operatori/EY, Mise e Agcom, che ha di nuovo le stime peggiori); perché cambia il sistema di calcolo e l’elaborazione delle mappe. In futuro si parlerà anche di digital divide di terzo livello, mancata copertura con fibra ottica nelle case, che in Italia riguarda meno del 20 per cento della popolazione (anche qui, le stime oscillano).

Grafici copertura banda ultralarga ottobre 2019 (Agcom)

I dati sugli utenti banda larga

Quanto alla scelta di non avere una connessione internet, si vedano i dati Desi 2018 della Commissione. Secondo il Desi 2018, gli utenti di Internet sono il 69 per cento della popolazione (più 2 per cento rispetto all’anno prima), rispetto all’attuale media europea del 81% (in Danimarca si raggiunge il 95%). Sono stati registrati lievi aumenti nello shopping online (dal 41% degli utilizzatori di internet al 44%, contro una media europea del 68%), nell’utilizzo di eBanking (dal 42% al 43%, contro una media europea del 61%). Queste due applicazioni (ecommerce ed ebanking) sono prese dalla Commissione come cartina tornasole di un uso “evoluto” di internet, che pure in Italia è carente.

Si segnala anche un dato bassissimo dell’Italia per abbonati a banda larga fissa (22 per cento).

Come a indicare che ci potrebbe essere un digital divide di secondo livello anche per quello “volontario”. Se il primo è la scelta di non navigare, il secondo è la scelta di non navigare in modo completo ed evoluto, ossia non usare le applicazioni che più incidono sulla vita e l’economia della famiglia, con banda larga fissa (la sola che è “flat”).

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Normative e legislazione in merito al digital divide

Al momento, le norme europee ed italiane non garantiscono la copertura banda larga, ma solo la connessione base dial – up (che è collegata alla semplice presenza della linea telefonica, questa sì garantita). Agcom sta da tempo rivedendo il concetto di diritto universale in questa materia, valutando di inserire anche la connessione banda larga. Ne verrebbe un obbligo di copertura da parte dell’operatore dominante (da noi Tim), sovvenzionato da un fondo comune tra gli operatori (ora usato per assicurare la copertura della linea telefonica universale).

Diritto di accesso a internet: enormi differenze tra Paesi

Per la giurisprudenza, in particolare, merita di essere menzionata un’innovativa decisione del Giudice di Pace di Trieste (Giudice di Pace di Trieste del 30 luglio 2012, n. 587) che, chiamato a valutare il caso di una famiglia rimasta senza collegamento ADSL per 4 mesi, qualifica espressamente Internet alla stregua di un bene fondamentale per ogni aspetto della vita quotidiana, affermando che “Ormai da tempo la giurisprudenza è orientata nel ritenere che il distacco o il mancato allaccio della linea telefonica e internet costituiscano un danno patrimoniale e esistenziale per il titolare del contratto e della sua famiglia, danno considerato particolarmente grave in un’epoca in cui la comunicazione è fondamentale in ogni aspetto della vita quotidiana”.

Ad avviso del GdP, “l’inadempimento del gestore nella fornitura del servizio telefonico e di accesso alla rete Internet (cosiddetta linea Adsl) configura a carico dell’utente, oltre che un danno di natura patrimoniale per l’indebita mancata fruizione, anche un pregiudizio di natura non patrimoniale, in particolare di natura morale, quale categoria di danno autonomamente valutabile rispetto a diritti inviolabili della persona, riconducibile alla prostrazione dell’animo dovuta al mancato utilizzo di strumenti telematici diffusi, specialmente dai giovani, per attività di studio e interazione sociale con la conseguenza di dover liquidare in via equitativa detto danno da disuguaglianza digitale” (cd. digital divide).

Pertanto, oltre al danno patrimoniale, valutabile ai sensi dell’art. 1226 c.c., il GdP riconosce anche una voce di danno non patrimoniale, in quanto l’inadempienza contrattuale pur non incidendo sulla salute, intesa in senso stretto, ha determinato un difficoltoso svolgimento delle quotidiane attività, in presenza di “difficoltà costituenti presupposto per concedere alla parte attrice il risarcimento del danno esistenziale subito a causa dell’inadempimento del gestore telefonico, da cui è derivata un’apprensione angosciosa, tale da concretizzare il danno esistenziale e morale che ha inciso direttamente nella sfera emotiva e relazionale dell’interessata”.

In tale prospettiva, considerate le rilevanti implicazioni del digital divide, emerge la questione attuale relativa alla configurazione del diritto di accesso alla Rete, quale aspetto prioritario da considerare nella concreta regolamentazione dell’Internet Governance.

Definizione di “sviluppo” e importanza di ridurre il divario digitale

Secondo una definizione formulata nell’ambito del Working Group on Internet Governance (WGIG), istituito dal Segretario Generale delle Nazioni, l’Internet Governance è “lo sviluppo e l’applicazione da parte dei governi, del settore privato e della società civile, nei loro rispettivi ruoli, di principi, norme, regole, procedure decisionali e programmi condivisi che determinano l’evoluzione e l’uso di Internet”.

Alla luce di tale definizione si evince la necessità di garantire un accesso libero e gratuito ad Internet in considerazione delle sue enormi e straordinarie potenzialità applicative, attraverso l’adozione di apposite politiche pubbliche volte a regolamentare la Rete.

Non a caso, il Consiglio sui diritti umani delle Nazioni Unite, con l’approvazione della risoluzione A/HCR/20/L.13, ha considerato espressamente Internet alla stregua di un diritto fondamentale dell’uomo, ricompreso nell’art. 19 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo e del cittadino.

Nel documento si attribuisce alla Rete “una forza nell’accelerazione del progresso verso lo sviluppo nelle sue varie forme” e si chiede a tutti gli Stati “di promuovere e facilitare l’accesso a Internet”.

Sempre L’Onu, nel Rapporto sulla promozione e la protezione del diritto di opinione ed espressione (dell’agosto 2011) ha affermato che “gli Stati hanno un obbligo positivo a promuovere o facilitare il godimento del diritto alla libertà di espressione e dei mezzi di espressione necessari per esercitare questo diritto, compreso Internet”, considerando “l’accesso ad Internet un mezzo indispensabile per la realizzazione di una serie di diritti umani, combattendo l’ineguaglianza e accelerando lo sviluppo e il progresso dei popoli”, con la conseguenza che “l’accesso ad Internet è uno degli strumenti più importanti di questo secolo per aumentare la trasparenza, per accedere alle informazioni e per facilitare la partecipazione attiva dei cittadini nella costruzione delle società democratiche”.

Accesso e uguaglianza digitale: utopia o realtà?

In tale prospettiva, i temi dell’accesso e dell’uguaglianza digitale assumono una notevole rilevanza nella società attuale, evidenziandosi la questione concernente la necessità o meno di formalizzare il riconoscimento del diritto di accesso ad Internet nell’ambito dei valori universali e inderogabili di un ordinamento giuridico evoluto e moderno, prendendo atto degli straordinari benefici derivanti dall’uso generalizzo e consapevole della nuove tecnologie digitali.

Infatti, con l’avvento della Società dell’Informazione, se da un lato grazie alla disponibilità di servizi ICT, aumentano le opportunità di sviluppo offerte dalle tecnologie digitali per coloro che sono nelle condizioni di fruire di tali risorse, al contempo, dall’altro lato, si corre il rischio di limitare tali opportunità soltanto in favore di pochi privilegiati (i cd. “inclusi digitali”) che sono ingrado di sfruttare i vantaggi della Società dell’Informazione, a discapito dei cd. “esclusi digitali”, ossia per coloro che non hanno la possibilità di sfruttare i vantaggi derivanti dall’uso di Internet.

Emerge, dunque, una nuova forma di diseguaglianza sociale strettamente connessa all’assenza dieffettive condizione di accessibilità alle nuove tecnologie, configurandosi un grave fattore didiscriminazione riconducibile al fenomeno dell’esclusione digitale, che impedisce ad un’ampia percentuale della popolazione mondiale di accedere alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.

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