la riflessione

Il digitale ci sta snaturando? Perché dobbiamo tutelare i legami umani dalla logica degli algoritmi

Il nostro tragitto storico-sociale volge inevitabilmente al “virtuale”. Dobbiamo però essere consapevoli che questo processo deve giungere a compimento salvaguardando tutti gli “spazi antropologici”. Ecco cosa rischiamo

Pubblicato il 19 Mag 2022

Giovanni Dursi

docente di Filosofia e Scienze umane - Formatore

Photo by Yeshi Kangrang on Unsplash

La cosiddetta “digital transformation” è stata studiata in via quasi esclusiva dal punto di vista economico, nella prospettiva dell’agire delle imprese, delle dinamiche finanziario-commerciali del “mercato”; viceversa, è quasi assente la considerazione scientifica del portato antropologico inerente alle sempre più evidenti mutazioni intervenute con l’acquisizione umana di protesi tecniche e dei correlati comportamenti necessariamente introdotti nella dimensione comunicativo-sociale determinando caratteristiche completamente anomale e eccezionali di lessico, espressione e conversazione, nonché di stringenti competenze che sembrano bandire percorsi originali pur atti al raggiungimento della padronanza.

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L’impatto del digitale sulle relazioni sociali

Si vive in una realtà sociale in cui gli strumenti ad alto tasso tecnico – tutti i sistemi integrati di telecomunicazione (linee di comunicazione cablate e senza fili), i computer, i mezzi di generazione riproduzione audio-video e relativi software, che permettono di creare, immagazzinare e scambiare informazioni, anche nell’ambito della rete telematica policentrica – hanno modificato irreversibilmente per di più le forme della comunicazione interpersonale alterando la pregressa qualità delle relazioni sociali.

È fuori dubbio che ciascun individuo o gruppo sociale realizza proficuamente specifiche attività lavorative e sociali grazie alla partecipazione a una rete di legami che hanno luogo e si sviluppano fra molteplici individui basati su principi di reciprocità e mutuo riconoscimento. Tale rete si è indefinitivamente ampliata grazie all’innesto dell’ICT in tutti i contesti di vita costituendone un inedito habitat, congeniale alle disparate proprie inclinazioni o ad indotti stili comportamentali.

Da un versante, di siffatta fenomenologia se ne apprezza l’incremento della quantità e della qualità di informazioni che, ad imponenti distanze e con il coinvolgimento potenziale simultaneo di un numero esteso di gruppi interagenti tra loro, vengono codificate, veicolate e decodificate, dall’altro, s’assiste altresì all’omologazione dei linguaggi, alla configurazione algoritmica delle stesse opportunità temporali di scambi comunicativi ed alla conseguente massificazione della forma mentis, distante dalla ricchezza e polifonia dei rapporti espressivo-comunicativi face to face.

L’innesto della logica algoritmica sull’antropologia

Questa discrasia si è resa palese, ad esempio, in occasione dell’introduzione della cosiddetta “didattica digitale integratanell’erogazione dell’offerta formativa scolastica e universitaria nel lungo periodo di “ritiro sociale”, il coatto confinamento subito a causa della gestione politico-amministrativo-sanitaria del contagio dovuto alla SARS-CoV-2.

Obiettivamente, la spersonalizzazione degli individui coinvolti, perseguita dall’introduzione dell’insieme dei metodi e delle tecniche utilizzate nella trasmissione, ricezione ed elaborazione di dati e informazioni, oppure come diretta conseguenza della “civiltà dei consumi tecnologici”, tende all’annichilimento delle distanze socio-culturali, tra “periferie sociali” e i centri d’elaborazione delle variegate conoscenze [[1]]. Il prototipo, in questo ambito, sono i cosiddetti “competence center”, ovvero organizzazioni dedite all’innovazione che danno vita a partenariati pubblico-privato, con coinvolgimento delle imprese interessate, per la ricerca applicata (ad esempio: Politecnico di Torino, Politecnico di Milano, Alma Mater Studiorum Bologna, Istituti CNR, Università degli studi di Padova, Università di Napoli Federico II, Università La Sapienza di Roma). La missione dei “competence center” è di assecondare la propensione e la strutturazione delle aziende e la realizzazione di progetti di innovazione e ricerca industriale, secondo i parametri Industria 4.0.

Al contempo, la sudditanza della società civile al modello organizzativo scientifico-aziendale succintamente descritto evidenzia ulteriormente un macroscopico limite:

1) la diseguale dotazione di dispositivi tecnici con conseguente emersione dell’analfabetizzazione digitale, sempre più dilatata, di larghe fasce di popolazione;

2) il contraltare di codici comunicativi condivisi ed assimilabili solo in quanto provenienti da un unicuum concettuale e lessicale altrove prodotto.

La dinamica delle masse così eterodirette da scopi estrinseci, non va dimenticato, è esempio di “sistema complesso”, del tutto “artificioso” ed “elitario” come è la stessa rete Internet. Quest’ultima è un aggregato numericamente cospicuo di sottosistemi interrelati; mostra peculiarità affioranti, in altri termini habitus organizzati che scaturiscono da reciprocità fra i sottosistemi quando essi o i loro raccordi oltrepassano una determinata capacità; è intensamente articolata; offre congegni di prevedibile feedback; è contrassegnata da una successione lineare e suscettibile alle circostanze preparatorie ed è predisposta all’evitamento del χάος. Con la comunicazione mediata da Internet si è giunti all’innesto della logica algoritmica sull’antropologia, del linguaggio informatico e della logica di calcolo nella programmazione ed elaborazione dei dati sulla dimensione extragenetica, culturale del genere umano.

La metamorfosi della comunicazione interpersonale

Non pare sussista totale e generale consapevolezza riguardante i nuovi paradigmi comunicativi che integrano le forme abituali del far conoscere, del rendere noto variegati contenuti nello spazio-tempo reale; essi non sempre si adattano alla comprensione effettiva dei messaggi da parte di tutti, essendo non debellato il “divario digitale” che non riguarda solo la disponibilità strumentale; inoltre, la comunicazione mediata dall’ICT tende in modo impattante a proporsi come un’alternativa impoverita rispetto alla relazione “in presenza”, a sostituirla, anche quando evitabile, perdendo la sua configurazione di “potenziamento”, di aspetto “altro” strutturalmente integrabile in un continuum in cui la fusione tra cyberspazio e dialogicità è oramai fisiologicamente necessaria. Tali evenienze rendendo sempre più permeabili alla “mediazione tecnica” le attività comunicative umane allo scopo di promuovere e rinsaldare un insieme di rapporti sociali inclusivi appropriati, secondo il classico assunto di Marshall McLuhan – una sorta di profezia che si autocompie -: “The Medium is the message” (rif. “Understanding Media: The Extensions of Man”, 1964).

L’abituale elaborazione e la correlata creazione della cosiddetta “identità comunicativa digitale” riservata di ciascun “internetnauta”, mediante il ricorrere ad appositi ipertesti sincretici multiformi permettendo accessi diversificati alle informazioni, a seconda delle banche-dati dalle quali ci si approvvigiona, stabilendo connessione pervasive e ricorrenti, è la rappresentazione – seppure inevitabilmente semplificata di un rinnovato non agit sed agitur – di quanto avviene nei rapporti interindividuali, promuovendo una sorta di curriculum vitae che va gradatamente, ma irreversibilmente a sostituire l’identità biografica antropologicamente data con un’inedita standardizzata configurazione senza alternative. Tale scenario implica l’assunzione psicologico-sociale della “grammatica tecnico-digitale” in modo tale da generare una realtà comunicativa contemporanea di fatto estrinseca globalmente sia alla “fonte” che ai “destinatari”, anziché corrispondere dettagliatamente alla operatività linguistico-relazionale umana, in modo tale da adattare i “contenuti” al “contenitore” ed inibendo la possibilità di gestione in modo altrettanto articolato (articolazione che sfugge alla competenza tecnica dei più) i “contenuti” che si intende condividere.

Si tratta di una metamorfosi, non solo nell’ampia fruibilità di strumenti, accettata e originata dalla disponibilità dei media, dalla loro immanente pervasività che non può essere contenuta nel delineare un auspicabile potenziamento della dinamica tipica di rinnovamento e crescita tecnica, ma che determina inusuali modalità che soppiantano nettamente e rapidamente ogni precedente assetto della comunicazione interpersonale, in tutti i luoghi della vita sociale.

L’evoluzione di internet e la nostra evoluzione sociale e culturale

Se è pur vero quanto afferma Maria Bettetitini, nella prefazione del libro “Il virtuale” di Pierre Lévy (Raffaello Cortina Editore, 1997) [[2]], sostenendo che esso “è intorno a noi, dentro di noi, che siamo già immersi nel virtuale semplicemente perché il virtuale era già […] Cosa è virtuale? Trasformazione da una modalità dell’essere a un’altra. Niente a che vedere con il falso, l’illusorio, l’immaginario, piuttosto uno dei possibili modi di essere, contrapponibile non alla realtà ma alla attualità”, la Psicologia e la Sociologia contemporanee non smettono di allertare sulle ripercussioni effettive della pervasività dei mass media e del world wide web («ragnatela intorno al mondo») sulle condotte e/o sulla mente degli individui. L’infrastruttura di InterNET ha “infrastrutturato” i rapporti interpersonali, li ha implementati, trasformandoli condizionando tecnologicamente l’intera esperienza umana del mondo.

La rete telematica policentrica, progettata al termine degli anni sessanta del Novecento per scopi eminentemente militari di difesa antinucleare e concepita all’inizio come un congegno per supportare la trasmissione a distanza di dati tra computer, è, gradualmente nel tempo, cambiata; da essenziale sostegno tecnico a sempre più invasivo mezzo di comunicazione e relazione tra le persone, passando altresì da strumento di un’èlite molto limitata numericamente ad una utilizzazione di massa, nel breve volgere di pochi decenni nei quali si sono attuati cambiamenti irreversibili dell’organizzazione strutturale e sovrastrutturale della società mondiale. Internet è un nuovo modello di organizzazione sociale con ricadute che plasmano i settori dell’economia, della politica e della cultura ai quali vanno correlate delle variazioni specificamente psicologiche e comportamentali. È un rivolgimento complessivo in itinere che va compreso; necessario, pertanto, poter disporre delle conoscenze adeguate ad affrontarlo; è un processo senza ritorno perché concerne consistenti e, spesso, contrastanti interessi (prevalentemente, delle imprese che operano sul mercato e delle Pubbliche Amministrazione, anche ai fini del “controllo sociale”), che va però guidato integrando le diverse motivazioni all’innovazione, auspicabilmente rappresentate non più esclusivamente da soggettività “chiuse” nel particulare di prassi lobbistiche che abusano della facoltà di intervenire, in forma confidenziale a loro esclusivo beneficio.

Guardare, dunque, all’evoluzione sociale e culturale mediante una chiave di lettura che faccia emergere le plurime esigenze dei diversi “spazi antropologici”, intesi come sistemi di prossimità esclusivamente umani che, pur implicando alti livelli tecnici, non enfatizzino solo “rappresentazioni transumane”. Con Lévy, s’intende illustrare come il tragitto storico-sociale volga inesorabilmente lo sguardo verso il “virtuale” e, tuttavia, essere al contempo consapevoli che il processo di virtualizzazione debba giungere a compimento salvaguardando tutti gli “spazi antropologici”, compreso quello incorporato da saperi elaborati, produttivi di “senso” e di una comune “intellettualità critica”.

Note

  1. Interessante acquisire l’analisi del 2° Rapporto Auditel-Censis “Tra anziani digitali e stranieri iperconnessi, l’Italia in marcia verso la smart tv” (2019), con particolare riguardo al Capitolo “Dotazioni e utilizzi: che cosa è successo nell’ultimo anno”, disponibile al seguente link: https://www.censis.it/comunicazione/2%C2%B0-rapporto-auditel-censis/dotazioni-e-utilizzi-che-cosa-%C3%A8-successo-nell%E2%80%99ultimo-anno.
  2. Dell’autore, filosofo, allievo di Michel Serres e Cornelius Castoriadis alla Sorbona, specializzatosi a Montreal, studioso delle implicazioni culturali dell’informatizzazione, del mondo degli ipertesti, e degli effetti della globalizzazione, che attualmente insegna presso il dipartimento Hypermédia dell’Università di Parigi VIII a Saint-Denis, per meglio apprezzare la tematica, leggere anche: Le tecnologie dell’intelligenza. L’avvenire del pensiero nell’era informatica (Synergon, 1992), L’intelligenza collettiva. Per un’antropologia del cyberspazio (Feltrinelli, 1996, 2002), Cybercultura. Gli usi sociali delle nuove tecnologie (Feltrinelli, 1998) e, con Michel Authier, Gli alberi di conoscenze. Educazione e gestione dinamica delle competenze (Feltrinelli, 2000).

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