Da qualche mese è entrata in vigore anche in Italia la Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne. Si tratta di un insieme di principi e di norme indirizzate a creare le condizioni per combattere, con azioni di prevenzione e controllo, i fenomeni di violenza che hanno portato tra l’altro i cosiddetti “femminicidi” ad una media (calcolata per difetto) di un caso ogni tre giorni. Principi e norme a cui dovrà seguire un piano di azione e quindi anche la definizione di servizi per rafforzare l’efficacia della prevenzione e del controllo.
Il problema, naturalmente, è prima di tutto culturale e sociale, in misura ancora maggiore che di sicurezza, se dai dati del 2013 risulta che circa il 70% dei casi di violenza si origina in ambito familiare o comunque di vicinato e conoscenti. Ma anche il 30% non è poco. Soprattutto se agli omicidi si sommano i casi di violenza, non tutti denunciati.
Problemi culturali, sociali, di sicurezza: come potrebbe cambiare l’approccio in una smart city? Non ho voluto fare “whatif” su casi reali, troppo terribili per poter essere trattati in questo nostro ambito di riflessione, ma la valutazione generale può essere allo stesso modo molto concreta.
La forza della rete sociale nelle comunità intelligenti
Innanzitutto, quando si parla di smart city sappiamo che non ci si sta riferendo solo alle condizioni tecnologiche di base, ma anche e soprattutto a un diverso approccio alla costruzione delle comunità, secondo le tre parole chiave dell’apertura (openness), della collaborazione e della condivisione. In altri termini, la “smart city” non esiste se non ci sono le “smart people” e le persone diventano “smart” nella rete sociale, in una consapevolezza digitale che riesce a rendere la collaborazione e la condivisione anche in rete un modo di approcciare le attività lavorative e quelle private, intrecciandole e contaminandole.
La cultura delle comunità intelligenti è quindi elemento fondamentale per lo sviluppo digitale (includendo in questo anche la sensibilità alle differenze di genere, come sottolineato dall’iniziativa della rete Wister) e, insieme, sua parte integrante, e la forza di interconnessione delle reti sociali ne è uno degli indicatori principali.
Un mondo di app per la prevenzione e contro la violenza
La potenzialità delle reti sociali trova negli strumenti ICT la piena concretizzazione e realizzazione. Non è un caso che si stanno moltiplicando le app sul fronte della prevenzione e controllo contro la violenza sulle donne, anche sulla spinta di quanto hanno fatto alcuni governi (quello statunitense, ad esempio, che nel 2011 lanciò un premio per le migliori app contro le violenze e le aggressioni in genere sulle donne) e la Convenzione di Istanbul può essere certamente una spinta importante in questo senso.
App che permettono di analizzare il livello di rischio della propria situazione (vedi l’app SaveTheWoman), che informano su come comportarsi se si è vittima di aggressioni e su come intervenire nei casi di violenze e aggressioni altrui (vedi la web-app Mai sola), che consentono di geolocalizzare l’evento e di fornire informazioni in tempo reale sul tipo di aiuto necessario oltre che consentire l’invio semplice di video-foto su quanto sta avvenendo. Tutte applicazioni che funzionano se funziona la rete sociale di sostegno che consente di rendere visibile e moltiplicare il senso di appartenenza ad una comunità che è presente, oltre che “guardare le spalle” (vedi l’iniziativa USA Hollaback oggi approdata anche in Italia).
Ma come potrebbe cambiare l’approccio se entrassimo in modo virtuoso nell’era digitale? Prima di tutto agiremmo a livello preventivo, anche con la costruzione di comunità in cui ci si registra in modo esplicito sulla base della condivisione del principio anti-violenza, condividendo le informazioni a più livelli, se si vuole con gruppi di persone, coinvolgendo i centri di supporto.
Cosa potrebbe succedere nelle violenze casalinghe
Naturalmente il tema è da affrontare soprattutto sul fronte culturale, ma anche qui una rete sociale di sostegno rafforzata dal digitale può essere di utile supporto.
Ha fatto il giro del mondo la telefonata di una donna statunitense che ha chiamato il servizio di soccorso “ordinando una pizza” per uscire da una situazione di violenza. Aver caricato app specifiche anti-violenza potrebbe consentire di informare dello stato di pericolo, il tipo di richiesta e il luogo in cui ci si trova anche soltanto con un semplice gesto, meno complesso di una chiamata telefonica, come sfiorare il proprio smartphone o uno dei tanti dispositivi “intelligenti” indossabili come accessori e in grado di inviare messaggi complessi una volta preimpostati.
Cosa potrebbe succedere nelle violenze in strada
Lo stesso approccio può essere utilizzato anche in strada, ma in più si potrebbe intervenire a livello preventivo, nel caso di rischio di aggressione, potendo con un semplice click fare un upload di video o immagine della scena che si sta vivendo, geolocalizzandosi, facendo salire il livello di allarme nel caso la situazione peggiori, e condividendo queste informazioni con la propria rete, formata dai centri di supporto, ma anche dalle singole persone che partecipano alla comunità e dal sistema di ordine pubblico (che si attiverebbe sulla base della geolocalizzazione). Naturalmente l’aggredita può scegliere anche di evidenziare agli aggressori questo stato di allarme, utilizzandolo come deterrente, ma in ogni caso grazie alla capillarità della rete di sostegno e all’accuratezza delle informazioni inviate i tempi di intervento dei soccorsi risulterebbero notevolmente ridotti. E con la possibilità di un’immediata identificazione degli aggressori, oltre che una loro tracciabilità gestita con sistemi integrati di videosorveglianza.
Tutto questo è possibile da subito, ma bisogna incentivare in fretta la costruzione di iniziative che rendano questi servizi rapidamente conosciuti e disponibili. Perché la Convenzione di Istanbul ha bisogno di strumenti concreti ed efficaci. E di reti sociali intelligenti.