Il valore educativo del patrimonio culturale – inteso nella sua accezione più ampia, e sia esso analogico, digitalizzato o creato in digitale – e le modalità per valorizzarlo anche attraverso i nuovi strumenti digitali sono stati al centro di una tre giorni organizzata da Indire insieme ad alcuni partner esterni, dedicata alla Scuola e più precisamente, alle scuole facenti parte delle due reti ‘Avanguardie Educative’ [1]e ‘Piccole Scuole’[2].
Occasione di un fruttuoso momento di raccordo tra pensiero euristico e pratica didattica, le giornate “Conversare tra le carte in un mondo digitale: percorsi possibili tra scuola, archivi, biblioteche e musei”, hanno consentito di parlare di:
- costruzione identitaria,
- educazione alla cittadinanza,
- promozione di apprendimento attivo,
- dialogo inclusivo e interculturale[3].
Si è giunti così a rafforzare la percezione di patrimonio culturale quale risorsa strategica, che deve essere, pertanto, compresa sistematicamente nei processi di costruzione della conoscenza.
Si tratta di un obiettivo complesso che prevede necessariamente l’andare verso una governance integrata, una interoperatività dei sistemi, una interdisciplinarietà e continui scambi tra territorio, scuola e sistemi museali, archivistici, bibliotecari, patrimonio immateriale e paesaggi culturali.
Il convegno “Conversare tra le carte in un mondo digitale”
Le tre giornate “Conversare tra le carte in un mondo digitale: percorsi possibili tra scuola, archivi, biblioteche e musei” (15, 16 e 17 dicembre 2021)[4], sono state organizzate da Indire insieme ad alcuni partner esterni, che con Indire hanno svolto negli anni segmenti più o meno articolati di ricerca in tal senso: Archivio Storico Domenicano della Minerva, SNS Pisa- Centro Archivistico, Museo del Novecento – M9 Venezia-Mestre, Diculther (Digital Cultural Heritage), Greccho – Dipartimento di ricerca in struttura, storia e contenuti della comunicazione – dell’Università di Siviglia.
Infine, tutte le giornate si sono svolte con il patrocinio RAI cultura[5], che ci ha sostenuti con un lavoro di comunicazione precedente i giorni del convegno relativamente ai temi in oggetto, facendo precedere l’inizio del convegno da una decina di interviste in cui esperti del settore beni culturali hanno anticipato le loro riflessioni: Il direttore degli Uffizi, Eike Smith; il direttore del Museo Archeologico di Napoli, Paolo Giulierini; il presidente di Urban Experience, Carlo Infante; Francesco Antinucci, Dirigente CNR; Paola Italia, filologa e docente Universitaria.
Le relazioni sono state aggregate per ambiti disciplinari:
- La prima giornata più centrata su archivi e biblioteche.
- La seconda su realtà “museali” estesamente intese.
- La terza su alcune esperienze, maturate nell’ambito di progetti di ricerca Indire, di pratiche laboratoriali in cui scuola e patrimonio culturale entrano fortemente in sinergia.
La Convenzione di Faro e il diritto al patrimonio culturale
La Convenzione di Faro (2005), recentemente ratificata dal nostro Parlamento, afferma il “diritto al patrimonio culturale” da parte dei cittadini e invita i paesi sottoscrittori a “promuovere azioni per migliorare l’accesso al patrimonio culturale, inteso non come insieme di oggetti, ma come complesso di risorse ereditate dal passato, riflesso ed espressione dei valori, credenze, conoscenze e tradizioni, in continua evoluzione”’. Dunque, essa ribadisce il patrimonio culturale come fattore cruciale per la crescita sostenibile, lo sviluppo umano e la qualità della vita.
Prendendo le mosse dallo snodo essenziale che sul tema è rappresentato dalla Convenzione di Faro, come Indire abbiamo stimolato questo confronto, certo già vitale, ma talvolta caratterizzato da eccessiva frammentarietà, che deve vedere il suo necessario snodo nella sinergia di sistema scolastico, università, istituzioni culturali, associazioni, singoli individui, al fine di approfondire principalmente due punti (al centro, anche, di un lungo percorso di ricerca interno al nostro istituto):
- andare verso un ruolo di natura più sistemica del patrimonio culturale nei processi educativi;
- riflettere sulle potenzialità che anche in tale ambito gioca ormai il ‘buon uso’ del digitale nei processi di apprendimento, nel suo ruolo di facies culturale dell’epoca contemporanea, anche grazie alla capacità di divulgazione dei contenuti culturali (anche i più remoti) e delle sue forze di coinvolgimento dei giovani (e dei meno giovani).
Il ruolo del digitale
Relativamente al digitale, nel corso del convegno i vari attori hanno cercato di definire alcuni punti chiave, quali:
- è proprio questo a costituire lo snodo che favorisce, oggi, ulteriori possibilità di fruizione del patrimonio culturale in modo sempre meno episodico?
- Il digitale favorisce modalità di uso di questo stesso patrimonio in modo crescentemente attivo/ partecipato, diciamo laboratoriale?
- Infine, il bene culturale può essere uno dei (non il solo, certo) punti di partenza sulla cui base costruire percorsi laboratoriali trasversali alle discipline?
Sistematizzare il suo uso significa anche rafforzare approcci metodologici che favoriscano lo sviluppo del senso di partecipazione e consapevolezza a quella che rappresenta una competenza di cittadinanza, in un paese, soprattutto, come è l’Italia in cui l’eredità culturale di quella stessa cittadinanza è particolarmente connotativa per forza di cose?
In questo quadro si sono confrontate le posizioni di specialisti del tema (provenienti dall’ambito archivistico, bibliotecario, museale, della ricerca accademica e di quella didattica) con l’obiettivo di tradurre in pratica didattica (quanto più possibile laboratoriale) saperi disciplinari diversi legati al patrimonio culturale per dare ai docenti e anche alla stessa comunità scientifica spunti di riflessione che auspichiamo siano densi di potenziali sviluppi succedanei o aiutino a rafforzare esperienze già in atto.
Gli obiettivi della didattica attiva
Del resto, questa riflessione vuole articolarsi nel quadro dell’idea, più ampia, che anima il nostro ente nel suo complesso, ovvero quella di una didattica attiva, che rompa con gli schemi tradizionali di insegnamento-apprendimento.
Ne sono emersi elementi vari e tutti fondamentali:
- Percorsi per una utilizzabilità didattica di patrimoni notoriamente ‘minori’ quali gli archivi.
- Alleanza di rete nuova tra scuola e patrimonio culturale, corpo vivo protagonista della didattica, che determina per forza di cose un ampliamento dello spazio educativo.
- Uso delle fonti come dispositivo strategico nel quadro dell’idea, più ampia, che anima il nostro ente nel suo complesso, che è quella di una didattica attiva, che rompa con gli schemi tradizionali di insegnamento-apprendimento.
Sperimentazioni sull’uso didattiche del patrimonio culturale
Una nota sull’ultima giornata[6], in cui abbiamo avuto modo di soffermarci su riflessioni sviluppate nell’ambito di ricerca-azione, in cui alcuni dei vari docenti-ricercatori che collaborano con Indire nel progetto “Il laboratorio di storia: lo studente come lo storico alla ricerca delle fonti”[7] (promosso nell’ambito della struttura n. 1 “Didattica laboratoriale ed innovazione del curricolo nell’area linguistico-umanistica”, previsto nel Piano Triennale delle Attività di Indire 2021-2023) hanno effettuato sperimentazioni sull’uso didattico del patrimonio culturale.
Si tratta di un progetto che è nato dall’esigenza di costituire un gruppo di ricerca strutturato in verticale che operasse e si confrontasse sul tema della didattica laboratoriale della storia, considerata come il fulcro di un approccio attivo e motivante alla disciplina con l’uso del patrimonio culturale (nella fattispecie in prevalenza quello archivistico, ma non solo). Il team è attivo dall’estate del 2018 e si compone di docenti di scuola primaria, secondaria di primo e di secondo grado che stanno lavorando con il coordinamento di Indire.
Il gruppo si è prefissato di indagare le modalità di approccio didattico alle fonti e il ruolo che queste pratiche possono rivestire nell’acquisizione di competenze e conoscenze disciplinari (estensibili anche oltre la storia), nella prospettiva della definizione di un modello didattico estendibile e ripetibile.
L’ingresso delle fonti storiche tra i materiali utilizzati per la didattica della storia, non è certo cosa nuova, ed è stata una risposta alla sclerotizzazione dei contenuti previsti dai programmi, quale strategia che, ricorrendo alle pratiche consolidate dell’azione dello storico, rendesse attiva la didattica della materia e più efficace il suo insegnamento.
Già dal secolo scorso le esperienze didattiche più innovative avevano già allestito pratiche “laboratoriali” sulle fonti (soprattutto nella scuola secondaria) che progressivamente hanno ricevuto un riconoscimento istituzionale venendo nominate e incluse nelle nuove redazioni dei programmi (ed allargando progressivamente le esperienze anche ai gradi iniziali del percorso scolastico).
Un lungo percorso dalla passività all’azione, dallo studio alla ricerca, dall’apprendimento del racconto del passato elaborato altrove, all’azione di costruzione in ambito didattico non si è mai interrotto, poiché la dialettica tra queste due polarità è costitutiva della dimensione didattica della disciplina.
Tale lavoro consiste in tutta una serie di operazioni – quali il reperimento e la consultazione di fonti, la formulazione di ipotesi, la selezione di dati, l’analisi di documenti anche non scritti, l’individuazione di raccordi con altri fatti contemporanei o successivi – che possono essere riprodotte a fini didattici a un livello di sperimentazione molto elementare.
Il laboratorio di storia
Nel caso specifico del laboratorio di storia: non si tende a sostituire completamente la didattica trasmissiva, che prende la forma della “narrazione” della storia generale elaborata nel manuale sulla base degli studi recenti o dello studio “per temi” selezionati e proposti dagli autori dei manuali.
A fronte di: riduzione dei quadri orari dedicati alla storia-disciplina; irrigidimento dei curricoli per materie separate; l’idea vecchia ma ancora molto radicata tra gli insegnanti di dover percorrere didatticamente tutti gli argomenti inclusi nei curricoli o nei manuali, la risposta è sovente il tralasciare ogni apertura al lavoro sulle fonti e a riproporre una didattica passiva incentrata sulla “spiegazione” e sullo studio della storia del manuale.
“Trasmettere” una conoscenza del passato coerente e canonica – preclude agli studenti l’esercizio della ricerca, cioè a contatto con fonti non preventivamente selezionate per un apprendimento già previsto. Nel nostro percorso di ricerca invece i termini del problema si sono capovolti, riaprendo il campo alla imprevedibilità della ricerca, alla curiosità che cresce dalla reazione delle fonti a contatto con la soggettività dei ricercatori e delle ricercatrici, delle studentesse e degli studenti.
Significa riattivare la motivazione e il piacere della disciplina e ridare alla didattica della storia quel carattere di imprevedibilità dei risultati, di avventura dall’esito inatteso che costituiscono – come afferma Carlo Ginzburg, una delle caratteristiche più affascinanti della disciplina (Zalc, 2019).
C’è una riflessione ulteriore, che preme sottolineare, a monte di questa scelta, relativa alle trasformazioni della società, in cui la quantità di informazioni che si riferiscono al passato storico è cresciuta esponenzialmente. Questa crescita presenta tratti contraddittori: da una parte assistiamo ad una spinta crescente a riempire il presente di una pletora di citazioni e allusioni a contenuti storici, non sempre in un discorso coerente ed intenzionale, ma sovente, invece, i frammenti di passato circolano scoordinati e carichi di contraddizioni sui mass media e sui social: un indistinto di anacronismi, approssimazioni e falsificazioni.
Dall’altra parte però nel mondo accelerato della comunicazione informatica cresce in modo esponenziale anche un’articolata e inedita ricchezza di archivi digitali che offrono una preziosa miniera di fonti documentarie potenzialmente a disposizione della ricerca e della didattica, anche se spesso non sufficientemente valorizzate e a volte difficili da reperire per i non addetti ai lavori. Questa nuova circolazione di informazioni sul passato chiede alla scuola un impegno importante: diviene cioè sempre più cruciale che i curricoli scolastici offrano le condizioni per far crescere la capacità degli studenti e delle studentesse di operare “da storici” e che l’insegnamento scolastico non si fermi alla trasmissione di una o dell’altra narrazione più o meno accreditata del passato.
La scuola allo schermo
In chiusura, l’ultima sessione del convegno si è focalizzata su un secondo progetto sviluppato da Indire con molti altri partner, ovvero “La scuola allo schermo”[8], che tenta di mettere in relazione con la fonte film (peraltro con la scelta di una tipologia di fonte atipica, come quella del cinema indipendente) per comprendere meglio il senso di ciò che viene loro comunicato attraverso le immagini dalle quali sono circondati (sui social, in televisione, per la strada, al cinema…). “La Scuola allo Schermo” è ospitata nelle pagine del Movimento delle Piccole Scuole a cui aderiscono oggi oltre 400 istituti di montagna, delle isole o delle aree interne e periferiche del paese. Il lavoro è stato sviluppato in sinergia tra Indire e Pesaro Film Festival e vede la collaborazione di molti altri partner, tra cui: Festival dei Popoli – Istituto italiano per i film di documentazione sociale; Lanterne Magiche – Fondazione Sistema Toscana; Associazione internazionale Diculther.
Hanno chiuso il convegno le relazioni relative a due progetti virtuosi di uso del patrimonio culturale: delle fonti ‘al femminile’ per la didattica della storia ‘I secoli delle donne’ ci ha parlato la professoressa Franca Bellucci e, in ultimo, è stato toccato un tema imprescindibile: l’uso trasversale del patrimonio storico culturale, nel caso specifico per l’apprendimento delle lingue, con un dialogo tra Letizia Cinganotto (Indire) e Isabel Crespo (Europeana).
Ognuno dei tre pomeriggi è stato poi cesellato in finale dalle riflessioni di un accademico: Franco Cambi (UniFi), Ramon Reig (UniSevilla) e Paola Italia (UniBo).
- Coordinato dalla dr.ssa Elisabetta Mughini (Indire), il movimento comprende una rete di oltre 1200 scuole, per maggiori dati è consultabile la pagina web Avanguardie Educative – Home (indire.it) (ultima visita 10/02/21) ↑
- Coordinata dalla dr.ssa Giuseppina Jose Mangione (Indire), la rete delle Piccole scuole comprende plessi sparsi nelle aree interne di tutto il territorio nazionale, per maggiori dati è consultabile la pagina web Home – Piccole Scuole (indire.it) (ultima visita 10/02/21) ↑
- D. Piraina e M. Vanni, La nuova museologia: le opportunità nell’incertezza. Verso uno sviluppo sostenibile, Torino, Celid, 2020 ↑
- Conversare tra le carte in un mondo digitale. Legami possibili tra scuola, archivi, biblioteche, musei. – Indire (ultima visita 10/02/21) ↑
- Speciale Conversare tra le carte in un mondo digitale – Rai Cultura (ultima visita 10/02/21) ↑
- Conversare tra le carte in un mondo digitale. Terza giornata: 17 dicembre 2020 – Bing video (ultima visita 10/02/21) ↑
- P. Giorgi et al., Il laboratorio di storia: lo studente come lo storico alla ricerca delle fonti, in Didattica della storia – Università di Bologna (n.1S / 2020), pp. 716-734P. Giorgi e I. Zoppi, Didattica della storia ai tempi del COVID-19. Distanza, digitale e uso laboratoriale delle fonti, in EAS (marzo 2020), p. 39 ↑
- La Scuola allo schermo – Piccole Scuole (indire.it) (ultima visita 10/02/21)Il portale di RAI dedicato alla scuola (ultima visita 10/02/21) ↑