problemi e soluzioni

Il digitale pubblico è fatto male e imposto dall’alto: il problema nascosto che scoraggia tutti

Il caso dei medici di una ASL obbligati a attivare Spid per accedere ai servizi AIFA. E’ spesso la mancanza d coinvolgimento e comunicazione dei benefici di una innovazione a generare diffidenza. Ecco come invertire la rotta (a costo zero)

Pubblicato il 23 Mag 2019

Alessandro Lavarra

IPway - Network and Cybersecurity Provider

digitale-healthcare

E se la colpa di tanta resistenza di italiani, professionisti come medici, al digitale non fosse (solo) colpa loro – ossia dei singoli individui?

Sì, la trasformazione digitale di un ente complesso quale può essere una ASL necessita senz’altro di obiettivi e visione a lungo termine ben chiari. Ma non potrà mai essere concretizzata semplicemente calando obblighi e imposizioni dall’alto, trasformando quelli che dovrebbero essere i “beneficiari” del cambiamento in “vittime”.

Senza voler fare di tutta l’erba un fascio, voglio illustrare di seguito un esempio concreto che ci aiuti a comprendere che senza il coinvolgimento e la corretta comunicazione dei benefici di una innovazione (tra l’altro fattori a costo zero), non si va molto lontani e, di sicuro, il digitale non genererà mai buon umore (come è negli obiettivi del Team Digitale) ma solo tanta frustrazione.

Mancata adozione dei servizi digitali, non è solo ignoranza

Da operatore del settore, molto spesso, partecipo al dibattito sulla digitalizzazione dal punto di vista tecnico o normativo, insomma guardo la questione dall’alto, ma quando mi capita di confrontarmi con le persone che, da utenti, da cittadini, vivono questo tema a volte mi accorgo della distanza che c’è tra teoria, le buone pratiche e la realtà.

Troppo facilmente derubrichiamo la mancata adozione delle nuove tecnologie come “ignoranza digitale” dei nostri concittadini. Io stesso ho commentato ironicamente nel giorni di Pasqua una coda alla biglietteria di un museo di tutte persone con uno smartphone in mano che non hanno pensato di utilizzarlo per farsi il biglietto di ingresso e saltare la coda.

“Almeno due ore di fila per i biglietti al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Inizia anche a piovere, mi siedo su una panchina trovo il servizio ticket online e in due minuti, forse uno, ho il codice prenotazione sul telefono. Al desk per il cambio dei voucher non ho davanti nessuno, proprio nessuno. In 3 giorni di visite in un periodo di affluenza altissima sono sfilato di fianco a code chilometriche. Continuate a pensare al digitale come qualcosa che ha da venì, io intanto passo eh”.

Ma nelle imprese e nelle nostre amministrazioni la responsabilità di questo gap tra servizi disponibili e loro utilizzo non è da attribuire alla lentezza con cui le persone si adattano al digitale, ma ad un altro fattore molto preciso e interamente nella sfera di responsabilità di imprese ed enti, peraltro perfettamente risolto da elementi ampiamente descritti nell’impianto normativo e di indirizzo che dovrebbe guidare le scelte della nostra amministrazione. Vediamoli assieme.

Il design dei servizi

Il primo e più evidente strumento per rendere fruibili le applicazioni è la progettazione attraverso il design dei servizi. Dobbiamo usare tutti quegli strumenti e accorgimenti per costruire servizi che le persone trovino semplicemente naturale utilizzare.

Le applicazioni e le piattaforme che si sono imposte nel mercato digitale non hanno fatto leva sulla naturale predisposizione delle persone o sulla formazione dei propri utenti, ma hanno utilizzato gli strumenti del Design e hanno generato servizi supportati da applicazioni che, andando incontro ai bisogni degli utenti e presentandosi come estremamente funzionali sono stati adottati con naturalezza da milioni di persone.

Di design e dei suoi strumenti si parla molto anche per la Pubblica Amministrazione ed è uno dei due pilastri su cui si fonda il patrimonio del Team Digitale. Purtroppo è ancora un tema troppo trascurato e lontano dall’azione pratica degli enti.

Il secondo fattore è meno intuitivo ma vedremo che comunque la nostra normativa ha individuato anche per questo un possibile protagonista, il deus ex machina che può rimettere in ordine moltissime tessere del mosaico della trasformazione digitale con relativa semplicità.

Digitalizzazione, le resistenze dei medici

Vorrei provare a raccontarvi di questo secondo fattore con un esempio pratico, un caso molto concreto per il quale ho avuto l’occasione di ascoltare il punto di vista degli utenti, quelle persone che troppo rapidamente etichettiamo come non avvezzi alla tecnologia. Gli utenti in questione sono medici di una ASL alle prese con firme digitali, identità SPID e vari portali.

Il medico è storicamente per noi “digitalizzatori” uno di quegli utenti resistenti al cambiamento, ricordiamo bene i medici di base investiti dalla trasformazione della ricetta e delle impegnative elettroniche quanto abbiano contribuito a creare rallentamenti e inciampi nella trasformazione del processo, e se pensiamo, come in questo mio esempio, al medico ospedaliero, diviso tra corsia, ambulatori, pronto soccorso, sale operatorie o rianimazioni, faticheremo ancora di più a vederlo come un utente efficiente seduto di fronte ad un PC, se poi guardiamo anche l’attrezzatura informatica messa a sua disposizione, l’ideale di utente digitale si allontanerà ancora un po’.

Ma veniamo al nostro esempio.

I medici di una grossa ASL hanno ricevuto una circolare dalla propria direzione IT che indicava la necessità di dotarsi urgentemente di identità SPID perché AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) di li a breve avrebbe accettato questo metodo di autenticazione come unico metodo per l’accesso ai registri dei farmaci sottoposti a monitoraggio, uno specifico servizio online tra i tanti offerti dall’agenzia.

Da qui la frustrazione dei medici: l’ennesima accoppiata utente/password, l’ennesimo servizio online per cui affrontare procedure di registrazione, e questa volta, addirittura, è necessario, per attivarlo, andare alle poste o pagare un servizio. Altro che il digitale crea efficienza questo è un delirio! Il commento più educato.

Il perché di tanta diffidenza

Come far cambiare loro idea? Iniziamo a metterci nei loro panni e a guardare con i loro occhi la realtà con cui sono chiamati a confrontarsi in questi anni di trasformazione digitale a metà. Prendendo come utente di riferimento un medico ospedaliero di un reparto specialistico, lo scenario, senza prendere in considerazione i servizi dedicati al personale (portale dipendenti, intranet, prescrizione di presidi medici) a grandi linee è quello che riassumo qui di seguito.

  • Accesso al portale AIFA per prescrizione di farmaci sottoposti a monitoraggio (oggi solo con SPID)
  • Accesso al portale INPS per certificati di morte con password fornita da INPS
  • Accesso ad un servizio del MEF (sistema tessera sanitaria) con credenziali (codice fiscale e password fornita) per certificati malattia
  • Accesso a cartella clinica elettronica regionale specialistica con login e password forniti dalla regione
  • Accesso a portale regionale per cartella clinica elettronica ospedaliera per referti e lettere di dimissione
  • Teleconsulto tra sedi (per condivisione di immagini diagnostiche e firme sui referti): accesso con credenziali di firma associate a smart card.
  • Accesso al portale aziendale per impegnative e prenotazioni

Ora in questo elenco di servizi e portali c’è un bel mix di firme elettroniche e credenziali varie che già da solo basterebbe a giustificare un po’ di diffidenza ma se facciamo un passo in più e guardiamo anche come sono state comunicati e gestiti dall’Ente questi temi potremmo capire meglio la frustrazione.

Nel piccolo ma rappresentativo gruppo di medici con cui mi sono confrontato la situazione era che tutti sapevano di possedere una firma digitale ma nessuno era a conoscenza di tutti gli elementi per poterla utilizzare al di fuori dei servizi dell’ente. Trattandosi di firme remote sapevano di dover inserire un codice e una password ad un certo punto delle procedure ma nessuno sapeva né che aveva validità come firma personale (per esempio per attivare SPID) né come utilizzarla al di fuori delle procedure.

L’ente aveva inviato la circolare con cui si comunicava la necessità di attivare una identità SPID per il portale dell’AIFA ma non aveva aggiunto nessuna indicazione su cosa fosse, come ottenerla o quali altri usi sarebbe stato possibile farne. Anzi non molto prima aveva inviato un lungo tutorial con tanto di screenshot su come ottenere le password dell’INPS attraverso la richiesta del PIN di 16 caratteri (procedura che se ricordate richiede anche l’invio con posta ordinaria di parte del codice) oggi, ovviamente, bypassabile con l’uso di Spid.

Quando l’ente ha rinnovato i certificati di firma introducendo i più pratici sistemi di firma remota non ha tenuto conto di alcuni strumenti come quello per il teleconsulto che richiedevano invece l’uso della smartcard per i quali hanno dovuto mantenere attiva una seconda firma digitale.

Ora aggiungendo che alcune applicazioni sono presenti solo su alcuni PC, che i medici non sempre hanno una postazione fissa ma utilizzano anche PC condivisi o diversi a seconda dell’ambulatorio in cui si trovano e che convivono servizi online dell’ente, dei fornitori, della regione e di diversi enti nazionali tutti diversi e tutti con le proprie logiche di navigazione, autenticazione e gestione dei servizi possiamo capire quanta strada ci sia ancora da fare per rendere efficienti e funzionali questi sistemi e renderli trasparenti agli occhi dell’utente.

I problemi della mancanza di visione

Si può capire con questo esempio anche l’importanza del lavoro intrapreso per rendere uniforme la user experience di tutti i portali e di utilizzare un sistema di autenticazione unico, i fondamentali del lavoro del Team Digitale.

Ma a mio avviso emerge anche il limite causato dalla mancanza di visione e di conseguenza di metodo, ed è qui che individuo un fattore di miglioramento e un possibile protagonista che lo realizzi.
La mancanza di una visione si traduce con un cattivo o nullo coinvolgimento degli utenti nella trasformazione, quegli utenti che, secondo il paradigma della trasformazione digitale, dovrebbero essere, invece, al centro del processo e che purtroppo, al contrario lo subiscono come nel caso dei medici che ho raccontato.

Ma quindi, alla luce dell’esempio riassunto qui, qual è questo secondo elemento su cui poggiare la trasformazione digitale, assieme al design dei servizi, e chi è il protagonista della sua attuazione?

L’importanza della capacità di coinvolgimento e di comunicazione

Il secondo elemento lo chiamerei capacità di coinvolgimento e di comunicazione. Il coinvolgimento degli utenti e la loro centralità non vista solamente in fase di progettazione, tra l’altro spesso interpretata solamente come fredda somministrazione a gruppi di volontari più o meno rappresentativi di qualche intervista o qualche test di usabilità, ma il coinvolgimento inteso come la capacità di generare benefici e di farli percepire agli altri, di comunicare la trasformazione e motivare al cambiamento rendendo evidenti i miglioramenti che questo cambiamento apporta al lavoro delle persone. Del resto il motto dei Designers del Team Digitale, molto coerentemente con gli scopi che si prefigge, è quello di realizzare procedure che mettano il buon umore.

E che buon umore può mettere l’obbligo di utilizzare l’identità SPID? E come ottenere coinvolgimento da parte dei medici in questo esempio? La soluzione non è complessa o costosa ma richiede una buona dose di consapevolezza. E’ necessario vederne realmente gli scopi ultimi e avere la corretta visione e interpretazione del ruolo di questi passaggi nel quadro complessivo della trasformazione digitale dell’ente.

Con questa premessa l’ente, guidato da quella figura già entrata nel mito, del Responsabile della transazione al Digitale, che sappiamo capace di progettare, realizzare, motivare, finanziare e misurare la trasformazione dell’ente saprà anche comunicarla e portarne i benefici agli utenti finali, creando quell’engagement che determina il successo di una trasformazione.

Ma, iperboli a parte, con un pizzico di coordinamento e visione la ASL del nostro esempio avrebbe dovuto agire diversamente nei confronti dei propri utenti non scaricando questa novità dell’obbligo dell’identità SPID su di loro, come un elemento che complica ulteriormente il loro rapporto con la tecnologia, ma anzi, cercando di partire da qui per invertire la rotta e farne un’occasione di semplificazione e una scelta di buonsenso.

Comunicare i benefici del digitale per cambiare rotta

Tornando al caso raccontato, sarebbe stato sufficiente, approfittando dell’ultimatum di AIFA, comunicare tutti i servizi raggiungibili con SPID confortando i medici che avrebbero potuto ridurre le sette o otto credenziali oggi in loro possesso portandole addirittura, in prospettiva, ad una unica. Invece, come spesso accade quando ottemperiamo ad obblighi normativi senza capirne l’idea di fondo, o i reali obiettivi, si è reagito all’obbligo di AIFA senza spostare l’attenzione alle potenzialità e ai benefici. Avrebbero potuto raccontare i benefici di SPID anche nei rapporti da privati cittadini con l’amministrazione e spiegare i passaggi per ottenerla gratuitamente online grazie anche al fatto di essere titolari di firma digitale, rendendoli consapevoli anche di questo loro strumento.

Elementi solo di comunicazione, a costo zero, a cui avrei aggiunto qualche progetto a contorno, per introdurre l’identità SPID anche per altri servizi gestiti dall’ente.

Considerato che una ASL con quasi 7.000 dipendenti e un valore della produzione di 1 miliardo di euro potrebbe immaginare qualcosa di più ambizioso nel re-design (o nel design) dei propri sistemi in chiave trasformazione digitale. Non si dovrebbe trascurare il fatto che l’inefficienza delle procedure digitali non crea solo frustrazione negli operatori ma ha un valore economico ben preciso. In questo caso, per esempio, vengono erogate un milione e mezzo di visite specialistiche all’anno e risulta intuitiva la grandezza dei valori in gioco, provate solo a moltiplicarle il tempo che può essere perso anche solo per le possibili inefficienze legate alle autenticazioni per un milione e mezzo di transazioni.

L’esempio ovviamente non fotografa lo stato di tutti gli enti o di tutte le aziende sanitarie, ne sono ben consapevole, ma mi era utile soltanto per mettere l’accento sul bisogno ancora presente di un governo della trasformazione che non deve avere solo le ragioni e i punti di vista della tecnologia o dell’informatica, o ancora, degli indicatori di performance, ma deve muoversi anche con un’attenzione al lato più umano e pratico in merito alle nostre interazioni digitali.

L’ultimo miglio della digitalizzazione

Siamo chiamati a fare sempre più cose, ad ottemperare a sempre più incombenze, a relazionarci con sempre più procedure e, sempre più spesso, gli organici si riducono e i professionisti e i dirigenti sono chiamati a svolgere autonomamente molte fasi gestionali o burocratiche della propria attività, l’incremento di efficienza e la piacevolezza d’uso dovrebbero essere elementi guida nelle scelte per far accettare la trasformazione invece di creare barriere e rifiuto.

Il primo passo, e il mio consiglio è, fin da subito, porre l’attenzione su quei tasselli di digitalizzazione già presenti, cercando di organizzarli e comunicarli al meglio. La digitalizzazione c’è già, va sfruttata e resa accessibile, gli investimenti devono essere il più possibile coerenti con un quadro generale, e tesi a portarla dalle normative e regole tecniche, attraverso le tecnologie, sui dispositivi degli utenti finali.

L’ultimo tratto, che arriva finalmente nelle mani delle persone che dovrebbero essere destinatarie e beneficiarie di tutta questa rivoluzione, e non vittime, l’ultimo miglio della digitalizzazione, come lo chiamo io, che ha, nel Responsabile della Transazione al Digitale il suo protagonista, quel Deus ex Machina che raccorda tutti gli elementi e che, con obiettivi e visione a lungo termine ben chiari, può dare senso e coerenza ai servizi introdotti e che ha il dovere di comunicarli, renderli utili e ben accetti e mantenga la promessa di restituire il buon umore ai dipendenti pubblici e ai cittadini.

AIFA e Spid

Per dovere di cronaca, AIFA è da giugno del 2016, ben 3 anni, che ha predisposto l’accesso via SPID ai suoi servizi on line ed è dal 2017 che prova a dismettere l’accesso con le altre credenziali. Un avviso sulla maschera di autenticazione recita

“Si rappresenta che a partire dall’anno 2017, per motivi di sicurezza, sarà progressivamente dismesso l’accesso ai servizi AIFA attraverso user e password. L’utente potrà utilizzare SPID o la Carta Nazionale dei Servizi (CNS)”

Ma una nota ufficiale del 21 gennaio di quest’anno comunica con un pizzico di arrendevolezza la proroga dei termini di accesso alla piattaforma esclusivamente con SPID:

“Premesso che AIFA ribadisce l’esigenza di mettere in atto tutte le attività necessarie per garantire la sicurezza dei propri sistemi informatici e la protezione dei dati personali, in coerenza con quanto previsto dal Regolamento UE 2016/679 GDPR (sicuramente l’utilizzo di SPID e CNS va in questa direzione), si informano gli Utenti dei Registri dei farmaci sottoposti a Monitoraggio che, facendo seguito alle numerose problematiche segnalate in relazione alla nuova modalità di accesso esclusivo alla piattaforma dei registri tramite SPID o CNS, si è stabilito di prorogare i termini inizialmente previsti per il 1° febbraio a data da destinarsi.

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