La cooperazione tra uomo e macchina è una realtà in continua evoluzione ma le sfide che essa pone sembrano riproporsi simili a se stesse nel tempo. Sin dalla prima rivoluzione industriale si è sempre temuto che la macchina sostituisse l’uomo, derubandolo di lavoro e, di conseguenza, sostentamento.
E se gran parte dell’identità dell’uomo risiede nella sua occupazione lavorativa, allora l’uomo si sente derubato di molto più che di uno stipendio: si sente derubato della ragione per cui è al mondo, della sua capacità di dare un proprio contributo alla società, quindi almeno in parte della sua stessa umanità.
Carey Morewedge della Boston University ha formalizzato questo pensiero in una teoria che chiama “preferenza per l’umano” (Morewedge 2022) in contrapposizione alla teoria per cui il timore verso le macchine si manifesta come “avversione all’algoritmo.” Di fatto, si tratta di due modi diversi di dire la stessa cosa: quando una tecnologia, sia essa una macchina (hardware) o un algoritmo (software), minaccia l’identità umana nel profondo, l’uomo non riesce ad accoglierla come strumento per aumentare la propria efficienza e produttività perché si concentra sui suoi potenziali effetti negativi, finendo così per rigettarla e per preferirle una controparte umana, indipendentemente da quanto e come quest’ultima contribuisca al risultato finale. E la tecnologia che ad oggi probabilmente più minaccia l’identità umana è qualcosa che di umano ha poco o nulla ma che eccelle nell’emulazione dell’umano: l’intelligenza artificiale (IA).
L’IA generativa e la creatività: un confronto inevitabile
In particolare, l’IA generativa, vale a dire quella complessa tecnologia in grado di creare contenuti multimediali – da testo ad immagini, da video a musica – sembra davvero minacciare l’identità umana nel profondo perché finora l’uomo è sempre stato l’unico essere in grado di esprimere creatività. Solo gli uomini finora si sono cimentati nell’arte creativa, in tutte le sue varie forme. La creatività è sempre stata una dote solo nostra. All’improvviso poi, nell’autunno 2022, irrompe sulla rete una realtà nuova, accessibile al grande pubblico, in grado di rispondere in modo (quasi magicamente) creativo alle domande che ad essa vengono poste. ChatGPT e prodotti simili all’inizio sono piuttosto rozzi ed il timore più grande è forse rappresentato dall’impatto che essi possono avere nel mondo dell’istruzione, con studenti “curiosi” o “svegli” che scoprono nuovi modi per ottenere buoni voti senza sforzo alcuno. Ma il potenziale di questi strumenti è visibile a tutti ed è evidente che si tratti solo di tempo prima che si affinino. Ed in effetti, in meno di due anni, ecco apparire GPT-4o, un avanzatissimo modello di IA generativa multimodale, cioè che “vede,” “sente” e “parla” come un umano, producendo ogni forma di contenuto più o meno creativo venga ad esso richiesto.
Panico! L’IA ci sta davvero sostituendo: non serviranno più scrittori, poeti, insegnanti, musicisti, registi, medici, avvocati… ci estingueremo!
La creatività umana contro quella dell’IA: chi vince?
O forse no.
Da diverso tempo, Erik Brynjolfsson ed i suoi colleghi, prima al Massachussetts Institute of Technology poi a Stanford, fanno ricerca per convincere gli scettici del progresso tecnologico che non ha molto senso parlare di IA che sostituisce l’uomo (McAfee & Brynjolfsson 2017). Per quanto sofisticata, l’IA commette spesso errori grossolani, viene facilmente presa in giro da un adolescente che aggira la sua logica, e soprattutto non si pone autonomamente degli obiettivi, perché semplicemente esegue quelli per essa stabiliti dall’uomo. Sì, forse alcune occupazioni facilmente automatizzabili smetteranno di essere assegnate all’uomo, ma questa potrebbe e dovrebbe essere percepita come un’opportunità più che una minaccia, perché consentirà all’uomo di velocizzare drasticamente le parti ripetitive e noiose del lavoro e quindi di dedicarsi ad attività più interessanti e soddisfacenti.
Uno scenario ben più realistico di quello sostitutivo è, piuttosto, quello collaborativo, cioè quello in cui l’uomo che si specializza nell’utilizzo dell’IA come ausilio al proprio lavoro rimpiazzerà in fretta (e forse l’ha già fatto) l’uomo che verso l’IA mostra quell’avversione a priori di cui si scriveva sopra.
Il medico che si rifiuta di usare l’IA per diagnosticare un tumore a partire da un’immagine, il manager che non sa come sfruttare il potenziale di un’IA generativa per scegliere insieme al suo team la strategia di mercato, l’esperto di finanza che non utilizza l’IA per fare previsioni sui trend speculativi, lo scrittore che non sfrutta i modelli generativi di linguaggio per fare brainstorming e scrivere la prima bozza di un articolo, il ricercatore che non utilizza l’IA per cercare e riassumere la letteratura pubblicata su questo o quell’argomento, il chimico che non si lascia aiutare da un’IA per combinare molecole in maniera innovativa e creare nuove sostanze… tutte queste professionalità e molte altre ancora verranno presto rimpiazzate da quelle di chi, al contrario, ha imparato come rendere il proprio lavoro estremamente più creativo e produttivo grazie alla collaborazione con un’IA potente come quella generativa.
IA e scrittura creativa: uno studio empirico
Per capire se l’uomo si senta più minacciato o sollevato dall’avvento dell’IA generativa, stiamo conducendo una serie di studi empirici nel campo specifico della scrittura creativa. In un primo studio, abbiamo condotto un’indagine esplorativa per capire se ci sia qualcosa che contraddistingue la natura della creatività umana, rendendola intrinsecamente diversa rispetto a quella dell’IA generativa.
Finora l’IA generativa è stata presentata come in grado di scrivere testi indistinguibili da quelli scritti da un essere umano. In effetti, la ricerca recente ci dice che l’uomo ha, per lo meno per adesso, pessime capacità di riconoscere testo generato da un’IA. Peggio ancora: gli algoritmi disponibili sul mercato per individuare testi scritti da un’IA generativa (ad esempio, GPTZero) sono terribilmente discriminatori nei confronti di chi scrive in una lingua diversa da quella nativa (Liang et al. 2023); quindi, se l’uomo si fa aiutare dall’algoritmo per classificare un testo come proveniente da un uomo o da un’IA, risulterà inefficace e per di più ingiusto nei confronti delle minoranze.
La classificazione dell’origine dei testi (umano o IA?): la scoperta che conferma l’unicità della creatività umana
Tuttavia, il nostro studio ha individuato una caratteristica nella struttura del testo che, insieme a quelle usate da GPTZero e simili, rende significativamente più affidabile la classificazione dell’origine di quel testo. Si tratta di una misura di somiglianza semantica tra coppie di frasi in un testo, una sorta di indice oggettivo della sua ridondanza, ispirato a misure sintattiche simili già note nella letteratura esistente (Olson et al. 2021), che risulta essere in media più alto negli scritti dell’IA che in quelli dell’uomo. Partendo dalla classificazione di GPTZero ed aggiungendo quest’indice come variabile predittiva si ottiene un modello in grado di distinguere testi generati dall’IA con maggiore accuratezza.
La scoperta è importante per vari motivi: dall’individuazione dello studente che non mette nel compito farina del proprio sacco agli articoli, scientifici o divulgativi, scritti da fonti non verificate e poco attendibili. Grazie a questi nuovi modelli possiamo avere maggiori certezze sulla provenienza dei testi scritti.
Sembra quindi esserci qualcosa di unico nella creatività umana, qualcosa che anche i più sofisticati modelli di IA generativa non sembrano ancora essere in grado di replicare.
In effetti, ciò non stupisce chi comprende a fondo la natura dell’IA generativa, la quale non è nient’altro che uno strumento predittivo: quando si fa una richiesta a ChatGPT, l’IA risponde con una previsione, cioè con la serie di parole che calcola essere più probabili. I calcoli probabilistici possono essere molto complessi ma restano pur sempre calcoli probabilistici: in base a tutti i milioni o, chissà, miliardi di testi utilizzati per l’apprendimento automatico dell’algoritmo, quali sono le parole che si trovano più spesso dopo quelle usate nel prompt, cioè nella richiesta fatta dall’umano? È normale che l’IA risponda con testi poco sorprendenti, nel senso che il suo compito è proprio rispondere con testi visti più comunemente, certo riarrangiandoli in modo da generare testi “nuovi,” ma si tratta comunque di testi “probabili.”
L’uomo non scrive così, prevedendo quale serie di parole abbia più senso riportare date le parole di partenza. La creatività umana è strutturalmente diversa da quella dell’IA: non è capacità predittiva ma espressione intimamente innovativa, che mira a distinguersi da ciò che ha usato per il proprio apprendimento invece che ad allinearsi ad esso.
Il ruolo della randomness nella scrittura assistita dall’IA
Ecco dunque che quando si è consapevoli dei meccanismi utilizzati dall’IA generativa si sanno cogliere meglio sia i suoi limiti sia i suoi notevoli benefici, rispondendovi perciò con apertura mentale invece che avversione: l’IA generativa di testo non può sostituire lo scrittore, ma senz’altro lo scrittore che la usa, specialmente nella sua modalità più casuale (o random, dove randomness è uno dei parametri dei grandi modelli generativi di linguaggio che l’utente può scegliere, rendendo il testo prodotto più sorprendente o inatteso; Lee et al. 2022), facilmente sostituisce chi la rifiuta, in quanto mostra una produttività ed una creatività superiore.
È quello che abbiamo trovato in un secondo studio nel quale abbiamo chiesto sia a scrittori che a lettori di valutare la creatività e la qualità generale di testi scritti con più o meno aiuto di un’IA generativa. Gli scrittori che hanno maggiore familiarità con la tecnologia la usano di più, nel senso che accettano un maggior numero di parole generate dall’IA, e la usano in maniera più efficiente, nel senso che hanno bisogno di meno richieste per ottenere un testo per loro soddisfacente rispetto a chi ha minor comprensione della tecnologia stessa.
Inoltre, gli scrittori con maggiore familiarità con lo strumento ritengono che la creatività e la qualità generale del risultato sia superiore rispetto a quella che avrebbero ottenuto non collaborando con l’IA. Essenziale in questo l’utilizzo però di un’IA ad alto livello di randomness. Un risultato simile si trova con le valutazioni dei lettori: la collaborazione con un’IA sofisticata, in grado di generare testo con alto livello di randomness, rende i testi letti più creativi e nel complesso più piacevoli.
Conclusioni
Che ci crediate o no, l’autrice di questo articolo ha deciso di ignorare i risultati della sua stessa ricerca rinunciando a consultare un’IA generativa per parlare di creatività e collaborazione uomo-macchina. La motivazione non risiede tanto nella sfida con se stessa nel voler dimostrare di riuscire a comunicare temi complessi come quelli della collaborazione tra l’intelligenza umana e quella artificiale con il grande pubblico senza l’aiuto da casa.
Piuttosto, si è trattato di un tentativo di mettere in pratica i princìpi di una tecnologia sostenibile di cui ci si riserva di parlare in un’altra occasione ma che si possono sinteticamente riassumere in un’analisi di costi-benefici: visto l’impatto sociale ed ambientale dell’IA generativa, ha senso utilizzarla per risparmiare tempo nello scrivere di ricerca scientifica sulla creatività (attività di cui, tra l’altro, chi scrive è molto appassionata)? Si è optato per il no. Speriamo il lettore non ritenga che la qualità del risultato ne abbia sofferto!
Bibliografia
Lee, M., Liang, P., & Yang, Q. (2022, April). Coauthor: Designing a human-ai collaborative writing dataset for exploring language model capabilities. In Proceedings of the 2022 CHI Conference on Human Factors in Computing Systems (pp. 1-19).
Liang, W., Yuksekgonul, M., Mao, Y., Wu, E., & Zou, J. (2023). GPT detectors are biased against non-native English writers. Patterns, 4(7).
McAfee, A., & Brynjolfsson, E. (2017). Machine, Platform, Crowd: Harnessing our digital future. WW Norton & Company.
Morewedge, C. K. (2022). Preference for human, not algorithm aversion. Trends in Cognitive Sciences, 26(10), 824-826.
Olson, J. A., Nahas, J., Chmoulevitch, D., Cropper, S. J., & Webb, M. E. (2021). Naming unrelated words predicts creativity. Proceedings of the National Academy of Sciences, 118(25), e2022340118.