l’analisi

Il futuro dello smart working: in cerca del giusto equilibrio fra libertà e controllo



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Lo smart working presenta senza dubbio numerosi vantaggi, anche in termini ambientali, ma non mancano le sfide e i rischi sia per i lavoratori che per le aziende. Lo stato dell’arte, in attesa di ulteriori auspicabili adeguamenti legislativi

Pubblicato il 8 set 2023

Giovanni Modafferi

Tecnologo ENEA



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Il dibattito sullo smart working è stato rilanciato dalla proposta di Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) che lo Stato italiano ha recentemente inviato a Bruxelles. Tra gli strumenti previsti per ridurre il consumo di energia e l’inquinamento figura, infatti, anche lo smart working.

Ciò che seguirà porterà a una consacrazione del lavoro da remoto o prevarranno i dubbi insiti in questo tipo di scelta? L’analisi dei rischi fra autonomia, dignità, sicurezza e controllo.

Smart working, un inquadramento normativo

L’istituto del lavoro agile altrimenti detto smart working trova la propria disciplina nella Legge n. 81/2017. L’art. 18 in particolare definisce il lavoro agile come una “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato”. Non si tratta dunque di un nuovo tipo di prestazione ma di una differente declinazione del lavoro subordinato[1].

L’art. 19 attribuisce un peso rilevante all’accordo tra le parti, che rappresenta attualmente la fonte di regolamentazione primaria di tale prestazione lavorativa. Attraverso l’accordo è possibile stabilire le modalità di esecuzione e gli strumenti da utilizzare, regolare il potere direzionale e garantire il diritto alla disconnessione[2].

In merito a questo ultimo punto, il Parlamento europeo ha presentato una serie di raccomandazioni alla Commissione per permettere ai lavoratori di disconnettersi al di fuori dell’orario lavorativo[3]. A livello nazionale invece sempre in merito al diritto alla disconnessione, va certamente segnalato il Protocollo nazionale sul lavoro in modalità agile nel settore privato (art. 3). Ciò che rileva evidentemente è non considerare il lavoratore agile come un lavoratore sempre disponibile e connesso[4].

Lo smart working è dunque finalizzato a conseguire il miglioramento dei servizi e l’innovazione organizzativa così da garantire, al contempo, l’equilibrio tra tempi di vita e di lavoro, stimolare l’autonomia e la responsabilità dei lavoratori, incrementando contemporaneamente la loro produttività.

Lo smart working inteso come strumento può inoltre influire sulla riduzione finale dell’inquinamento e sul consumo di energia. In questo senso si è chiaramente espressa la proposta di Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) recentemente inviata dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica a Bruxelles[5].

Per lavoro da remoto al contrario si intende ogni altra forma di espletamento della prestazione lavorativa in luogo idoneo e diverso dalla sede dell’ufficio al quale il dipendente è assegnato, realizzabile con l’ausilio di dispositivi tecnologici messi a disposizione dall’amministrazione, con vincolo di tempo e nel rispetto dei conseguenti obblighi di presenza derivanti dalle disposizioni in materia di orario di lavoro, attraverso una modificazione del luogo di adempimento della prestazione lavorativa (es. telelavoro, coworking, altre forme di lavoro a distanza)[6].

In questo contesto il paradigma delle responsabilità in capo al datore di lavoro, che rimane pur sempre il garante primario della salute e della sicurezza del lavoratore, deve essere riconsiderato. Questi si dovrà premurare in primis di spiegare al lavoratore quali caratteristiche debba avere l’ambiente di lavoro e quali modalità andranno seguite per rispettare e tutelare la propria salute – come richiesto dall’art. 22 co. 1 della L. 81/2017 – e successivamente garantire – ai sensi del D. Lgs. n. 81/2008 – la salute e la sicurezza del lavoratore in coerenza con l’esercizio flessibile dell’attività lavorativa [7].

Il lavoro agile impone dunque al datore di lavoro nuove sfide. La disciplina normativa non è ancora matura e certamente sostenuti dalla ripresa del dibattito, vi saranno ulteriori auspicabili adeguamenti legislativi.

Il controllo delle informazioni sul lavoro

Lo smart working e le forme di lavoro ibrido hanno generato una “frammentazione” delle informazioni in una moltitudine di direzioni tale da rendere difficile il pieno controllo dei documenti che circolano all’interno dello spazio di lavoro (workplace). Allo stesso tempo, l’ingrediente non scritto che caratterizza il lavoro agile è la fiducia. Come è possibile dunque conciliare all’interno dello stesso istituto, necessità di controllo ed esigenza di fiducia?

Da una parte, per gestire bene il “patrimonio informativo” – sia pubblico che privato – è necessario procedere con decisione verso la digitalizzazione della Pubblica amministrazione, considerando norme vigenti, cambiamenti di ruoli e responsabilità dei lavoratori che si succedono nel tempo, connessioni tra dati e monitoraggio dei flussi informativi.

Per riuscirci occorre certamente implementare soluzioni tecnologiche che permettano di automatizzare i processi, evitando replicazione e dispersione dei dati, oltre che condividere file e informazioni in modo sicuro e controllato. E fin qui tutto bene. Come spesso avviene però l’uso eccessivo può divenire abuso e produrre distorsioni da diversi punti di vista.

D’altra parte, lo smart working rappresenta una sfida intimamente connessa con la fiducia, perché il rapporto tra datore e lavoratore con modalità da remoto, senza presenza fisica e senza controllo delle effettive ore di servizio, si fonda soprattutto sui risultati ottenuti. Un rapporto che si solidifica e si costruisce sulla libertà e sull’autonomia, in contrasto con la cultura del controllo fisico, della presenza e del controllo elettronico su ore e attività.

Le sfide all’orizzonte

In attesa di vedere quali saranno gli strumenti legislativi per regolare ulteriormente tale materia, occorre riconoscere tale preminenza e porsi il problema di come conciliare smart working, privacy, riservatezza e verifica dell’effettivo adempimento degli obblighi contrattuali. Il bilanciamento tra questi opposti interessi rappresenta una delle sfide più importanti del mondo del lavoro per i prossimi anni.

Ogni nuova tecnologia che agevola le comunicazioni può nascondere rilevanti problemi applicativi che nascono dall’applicazione dell’art. 4 Statuto dei lavoratori (L. n. 300/1970 e s.m.i) e dal divieto generale di controllo a distanza dell’attività, a garanzia della personalità, della la libertà morale e della dignità sul posto di lavoro.

Un ulteriore limite alle funzioni di controllo è previsto dall’art. 115 del D. Lgs. n. 196/2003 cd. Codice per la protezione dei dati personali il quale in materia di telelavoro, lavoro agile e lavoro domestico, stabilisce che il datore di lavoro è tenuto a garantire al lavoratore il rispetto della sua personalità e libertà morale[8].

Sempre ai sensi dello Statuto dei lavoratori è fondamentale accertarsi, che il datore di lavoro non possa utilizzare misure e metodi meno invasivi per raggiungere l’obiettivo del controllo e che le modalità scelte non comportino la possibilità di verifica a distanza delle opinioni e della vita personale del lavoratore (art. 8).

A parere di chi scrive gli elementi della fiducia e del controllo devono essere chiaramente intesi considerando non tanto il potere direzionale, quanto gli obiettivi strategici preordinati a qualsiasi unità con a capo un responsabile, sia essa pubblica o privata.

In ogni caso costituirebbe una patologia dell’istituto elidere in qualsivoglia maniera l’elemento della fiducia, perché significherebbe privare lo smart working non solo della sua forza dirompente ma della sua causa, della sua stessa essenza («ουσία») che, aristotelicamente intesa, rappresenta «ciò per cui una certa cosa è quello che è, e non un’altra cosa»[9].

Una conquista non da poco che modifica in profondità il rapporto tra datore e prestatore di lavoro riducendo al minimo lo spazio del controllo “per affidarsi a una fairness, correttezza di comportamento, capace di incidere positivamente sull’umore personale e la conseguente produttività di aziende e pubbliche amministrazioni”[10].

Solo così si potranno porre realmente le basi per un corretto “sfruttamento” del capitale intellettuale, con un ossimoro, materiale immateriale (sapere, informazione, proprietà intellettuale, esperienza, ecc.) che può essere messo a frutto per creare ricchezza[11].

Su questo punto viene certamente in aiuto la recente monografia “Lo smart working tra la libertà degli antichi e quella dei moderni” che mette in relazione smart working e i diversi concetti di libertà, degli antichi e dei moderni, curata da Francesco Maria Spanò, Direttore di People & Culture presso l’Università Luiss Guido Carli.

Nella pubblicazione sullo smart working, inedita per la complessità degli argomenti, resi semplici e trattati con assoluta leggerezza, diremmo “calviniana”, per lo spessore di chi li tratta, rifacendosi a Benjamin Constant, si riporta la distinzione introdotta da Montesquieu fra repubbliche militari e repubbliche commerciali. Dunque, fra Atene e Sparta e quindi, fra libertà degli antichi e libertà dei moderni, ricomprendendo fra questi ultimi anche Atene, unica fra le repubbliche a beneficiare della libertà intesa in senso “personale” ossia come scelta individuale: “Abbandonare la libertà degli antichi per abbracciare la libertà dei moderni equivale a entrare in un contrapposto universo culturale. E ciò cambia il significato che attribuiamo al lavoro. Esso è oggi il prevalente risultato di una scelta professionale, uno strumento di autorealizzazione. Ecco perché lo smart working è un’opportunità da cui trarre vantaggio”[12].

I vantaggi dello smart working

Come già detto, molti studiosi, anche in sede europea, hanno evidenziato la possibilità che lo smart working possa aumentare i rischi psico-sociali, la disoccupazione o che possa acuire le differenze sociali. In risposta a tali considerazione diviene assolutamente necessario implementare il quadro normativo, come suggerito anche dal Parlamento europeo in materia di diritto alla disconnessione, che allo stato potrebbe non contemplare i giusti contrappesi (art. 3 Cost.).

Bisogna fare in fretta visto che il crescente sviluppo tecnologico sostituirà nel tempo un numero sempre maggiore di mansioni umane, mentre lo smart working rappresenta oggi uno strumento che può realmente innovare il mondo del lavoro migliorando la qualità della vita, con un’eco di più ampia portata.

Certamente per il lavoratore, vi è una nuova definizione del tempo libero e la riduzione dei costi di spostamento, traducibili in un sorta di compensazione del mancato adeguamento dei salari al costo della vita. Per il datore di lavoro i vantaggi, oltre alla sensibile riduzione dei costi di gestione, sono quelli derivanti dalla diminuzione delle forme di assenteismo. Dal punto di vista ambientale inoltre, lo smart working come detto precedentemente, è in grado di influire direttamente sulla riduzione finale dell’inquinamento e sul consumo di energia (PNIEC).

Il vantaggio più grande è però quello di mettere alla base del rapporto di lavoro i concetti di dignità (art. 3 Cost.) e – soprattutto per il lavoro pubblico – di responsabilità e fiducia che derivano dall’adempiere con onore le proprie funzioni (artt. 28 e 54 Cost.).

In ogni caso è fondamentale che nel dibattito attuale il concetto di libertà dell’essere umano sia ricondotto al binomio lavoro-dignità della persona e al ruolo che gioca l’autonomia in tutto questo[13].

Conclusioni

Per ultimo, ma non per importanza, l’adozione piena dello smart working potrebbe avere effetti benefici nel riequilibrio abitativo tra città e periferia, favorendo il ripopolamento dei meravigliosi Borghi italiani. Nel corso della XVIII legislatura è stato presentato un disegno di legge (DDL S. 2316) assolutamente innovativo in tal senso. Iniziativa fuori dubbio auspicabile, recentemente rilanciata ma sotto un diverso aspetto da parte del governo che sta cercando di attrarre gli smart worker stranieri in Italia.

La portata del cambiamento che si potrebbe verificare non è stata ancora compiutamente esplorata. Il cambiamento è comunque in atto e diverrà inevitabile concorrere alla sua realizzazione. Scegliere di viverlo vuol dire darsi un’opportunità[14].


Note

[1] Legge n. 81/2017 “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”. In dottrina, cfr. CORTI M. – SARTORI A., La legge sul lavoro autonomo e lo smart working, Riv. It. Dir. Lav., 2017; RICCI G., Il lavoro a distanza di terza generazione: la nuova disciplina del “lavoro agile”, Le nuove Leggi Civili Commentate, n. 3, 2018.

[2] In tema di sicurezza e salute sul lavoro le prime indicazioni sono rinvenibili nel comma 2 dell’art. 18 e nell’art. 22 ma è evidente che le sintetiche previsioni previste nella L. 81/2017 non esauriscono tutti gli aspetti rilevanti in materia. Di certo il concetto di lavoratore di cui all’art. 2 co. 1 lett. a) del D. Lgs. 81/08 è riferibile anche al lavoratore agile e pertanto anche le disposizioni previste nel D. Lgs. 81/08 devono trovare applicazione.

[3] Cfr. Risoluzione del 21 gennaio 2021 del Parlamento europeo e la proposta di direttiva sul “diritto alla disconnessione” (2019/2181(INL), p. 10: “Il diritto alla disconnessione consiste nel diritto dei lavoratori di non svolgere mansioni o comunicazioni lavorative al di fuori dell’orario di lavoro per mezzo di strumenti digitali, come telefonate, email o altri messaggi. Il diritto alla disconnessione dovrebbe consentire ai lavoratori di scollegarsi dagli strumenti lavorativi e di non rispondere alle richieste del datore di lavoro al di fuori dell’orario di lavoro, senza correre il rischio di subire conseguenze negative, come il licenziamento e altre misure di ritorsione. Dall’altro lato i datori di lavoro non dovrebbero imporre ai lavoratori di lavorare al di fuori dell’orario di lavoro. I datori di lavoro non dovrebbero promuovere una cultura del lavoro del “sempre connessi” nella quale i lavoratori che rinunciano al diritto alla disconnessione sono chiaramente favoriti rispetto a quelli che esercitano tale diritto. I lavoratori che segnalano casi di mancato rispetto del diritto alla disconnessione sul luogo di lavoro non dovrebbero essere penalizzati”.

[4] Per tali motivi, tra gli elementi necessari dell’accordo individuale di cui all’art. 19 figura certamente l’indicazione delle fasce di contattabilità e inoperabilità individuate coerentemente con le mansioni attribuite al dipendente e con le attività da svolgere, entro i limiti di durata del lavoro giornaliero e settimanale, e dei tempi di riposo del lavoratore (CCNL).

[5] Il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) è lo strumento con cui gli Stati membri dell’UE identificano politiche e misure per il raggiungimento degli obiettivi in materia di energia e clima al 2030. Uno strumento fondamentale per cambiare la politica energetica e ambientale del nostro Paese. La proposta è stata predisposta dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica con il supporto operativo del GSE, di RSE per la parte energetica, dell’ISPRA per la parte ambientale e dell’ENEA, del Politecnico di Torino e del Politecnico di Milano per la parte ricerca e innovazione, oltre agli altri Ministeri a vario titolo competenti (Economia, Trasporti, Imprese, Università e Agricoltura) e sottoposta a consultazione pubblica ai sensi dell’art. 10 del Regolamento UE 2018/1999. Il testo conclusivo, secondo quanto previsto agli artt. 9 e 14 del Regolamento, arriverà a giugno del prossimo anno (2024) a valle di un ulteriore confronto a livello nazionale, oltre che con le istituzioni europee.

[6] Sulle diverse interpretazioni delle differenze con il telelavoro, cfr. TIRABOSCHI M., Il lavoro agile tra legge e contrattazione collettiva: la tortuosa via italiana verso la modernizzazione del diritto del lavoro, in Dir. Rel. Ind., 2017.

[7] Il datore di lavoro potrà procedere agli obblighi informativi previsti dagli articoli 18 e seguenti inserendo in calce a ciascun accordo individuale copia dell’Informativa sulla salute e sicurezza nel lavoro agile predisposta dall’INAIL.

[8] L’art. 4 vieta l’uso di ogni strumento che consenta il controllo a distanza dei lavoratori, facendo limitate eccezioni per gli “strumenti di lavoro”, nozione introdotta dal cd. Jobs Act e molto controversa, e le apparecchiature il cui utilizzo serva allo svolgimento dell’attività lavorativa oppure sia stato autorizzato da un accordo sindacale o, in mancanza, da un provvedimento dell’Ispettorato del Lavoro; cfr. Corte di Cassazione, sez. lavoro, sent. 9 ottobre 2020, n. 21888, secondo cui fuori dall’art. 4 deve collocarsi il potere dell’imprenditore di controllare, in base agli artt. artt. 2086 e 2104 c.c., direttamente o mediante personale che a lui fa capo gerarchicamente ed è conosciuto dai dipendenti, l’adempimento delle prestazioni dei lavoratori e cosi accertare, anche in modo occulto, eventuali mancanze specifiche dei dipendenti.

[9] Aristotele, Metafisica, VII, 3, 1028 b 34.

[10] Si veda, Dalla fairness alla produttività, Economy, RUFFO A., 2023.

[11] Cfr. Il capitale intellettuale. La nuova ricchezza, STEWART A. T., Ponte delle Grazie, 1999. Sul punto vedi, Knowledge Societies, STEHR N., Sage Publications Ltd., London, 1994.

[12]Lo smart working tra la libertà degli antichi e quella dei moderni” a cura di F.M. SPANO’, Rubettino Editore, 2023

[13] Tale passaggio fondamentale per inquadrare correttamente il fenomeno dello smart working, è tratto dalla monografia “Lo smart working tra la libertà degli antichi e quella dei moderni”, op. cit. Il testo esplora con grande sensibilità e approfondimento dei risvolti etici, filosofici e giuslavoristici le opportunità dello smart working facendosi promotore di una nuova modernità nel rapporto fiduciario tra lavoratori e datori di lavoro.

[14]Lo smart working tra la libertà degli antichi e quella dei moderni”, op.cit.

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