Esiste attualmente un territorio, nella vita delle persone, in cui la tecnologia unisce l’analogico e il digitale e in cui il mondo dal vivo, prima scollegato, e offline si fonde ora con il mondo dell’online, interconnettendosi. Anche se non possiamo sapere esattamente come, tutti siamo coscienti di lasciare durante le nostre azioni quotidiane tracce di natura digitale, generando scie continue di bit al nostro passaggio sui social, nei servizi, nei portali web. Così come ne lasciamo nel monto fisico, quello di tutti i giorni. Questa modalità fonde tutto ciò che accade dal vivo (live) con quello che accade in rete, on-line.
L’utente da lei chiamato, risulta on-life
Nasce quindi il neologismo live+online = “onlife” ed è lo spazio dell’ecosistema in cui viviamo e in cui vivono e vivranno i nostri discendenti: lo spazio fisico-digitale, “physical + digital”, brevemente “phygital” o in italiano “figitale”. La continua introduzione di metodi innovativi in tutte le discipline che attingono alla tecnologia: la medicina, l’ingegneria, ma anche la sociologia, le scienze umane, ha dato vita a questo nuovo Rinascimento digitale, che integra e sfuma prodotti in servizi e viceversa, fino a non riuscire più a poter distinguere l’uno dall’altro.
Oggi il digitale esiste a prescindere dalla manifestazione fisica. Si possono lasciare fiumi di dati digitali, senza aver mai commesso alcunché nel mondo reale: bitcoin transati con pochi gesti da un conto ad un altro, brani musicali acquistati insieme a interi LP senza mai aver ascoltato altro che la nostra playlist preferita…in alcuni casi i dati cominciano a fluire prima ancora che si originino nel mondo fisico, acquistando online i biglietti del teatro, del cinema, della squadra del cuore prima dello spettacolo o del match.
Il digitale non sarà mai più una alternativa
La rinnovata attenzione agli aspetti cyber e alla privacy consente la connessione sicura di persone e organizzazioni e consente di farlo risparmiando risorse preziose almeno quanto il denaro: tempo ed energie. L’esperienza d’uso sarà sempre più semplice, nello sforzo non più tecnologico, ma di etica e responsabilità sociale cercando di offrire, insieme alle innovazioni servizi/prodotti che delineeranno il futuro nostro e dei nostri figli. Il digitale non è più una alternativa al fare, ma è connesso, fuso, nell’atto creativo, per realizzare ciò che serve.
Il processo di progressiva cancellazione del confine reale/digitale
Dapprima se ne assottigliò il confine, e le tracce digitali cominciarono a diventare relative non solo a transazioni, ma anche a semplici gesti. Il cambio di canale davanti alla tv diventava oggetto di studio con complicate apparecchiature statistiche e famiglie-campione, in termini di audience, di share, etc, al gesto sul telecomando nel mondo reale del nostro salotto insieme alla nostra famiglia, veniva associato un calcolo statistico.
Negli algoritmi che governano l’attuale offerta di entertainment e tv on-demand, interagendo con la nostra serie preferita o con un genere di film, lasciamo una scia di bit che identifica l’ora il luogo e il canale tv che abbiamo preferito. Ora questa scia di dati è sempre più fluida e continua e attraverso i gesti quotidiani della nostra vita si lasciano tracce ogniqualvolta si passa fisicamente in banca, alla stazione di servizio, ma anche semplicemente al supermercato, o dando un esame all’università, o scorrendo un sito di prenotazioni online per il prossimo volo aereo.
Le interazioni forniscono più dati, che agevolano più interazioni
L’integrazione fisico-virtuale, riscriverà i paradigmi dell’interazione tra le aziende. Il motore di questa intenzione è la determinazione da parte di chi offre servizi a trasformare un potenziale acquirente in un cliente. Nel supermercato fisico ma automatizzato di Amazon si fa la spesa senza passare tornelli, casse e commesse. Azioni di acquisto che racchiudono in un unicum l’esperienza di shopping e pagamento e in definitiva di qualità e percezione della vita.
Ma non si interagisce soltanto “acquistando”, si interagisce con la bilancia collegata in wifi, con lo smart-watch, con il braccialetto per il fitness che rimpalla sul nostro smartphone e dunque in cloud i dati della nostra sessione di aerobica. “Tecnologie indossabili” ma anche “estrattori di dati” che raccontano come siamo fatti e come – e se – siamo in salute. Ma anche oggetti “intelligenti” che abitano ormai le nostre case.
Giusto per avere un’idea, secondo IDC nel 2018 il comparto delle tecnologie indossabili ha movimentato 279 milioni di prodotti (nel 2017 erano 125,3 milioni). Da qui al 2023, l’aumento delle vendite di smartwatch e tutti gli altri dispositivi indossabili (tra cui rientrano i vestiti intelligenti) farà registrare al mercato smart wearable una crescita annua pari a un +8,9%. In Italia il mercato della Smart Home cresce a doppia cifra: nel 2018 il giro di affari è stato pari a 380 milioni di euro, con una progressione del 52% rispetto al 2017, secondo gli ultimi dati dell’Osservatorio del Politecnico di Milano. Più di quattro italiani su dieci (41%) possiede almeno un oggetto intelligente in casa.
Le nuove professionalità del figitale
La prima mossa politica per collaudare l’attenzione su un tema rispetto all’opinione pubblica è rifarsi al tema occupazionale: davvero ci saranno posti di lavoro a rischio nel mondo del commercio con il progredire della sinergia dati-digitale-reale nel mondo del retail, degli acquisti, del commercio online? La crescente automazione delle esperienze di acquisto avrà un impatto negativo o positivo? E’ etico andare ad alimentare database e big data per il machine learning appannaggio di un numero sempre più ristretto di attori? E chi usufruisce di tali dati: altri cittadini o aziende private? Enti pubblici o interi governi? Cosa accade se ad attingere sono poteri non meglio specificabili?
Molto più pragmaticamente, notiamo che ormai nel mondo del lavoro si nota una domanda di Big Data experts o ingegneri pronti per il mercato dell’Internet of Things per le aziende, che devono essere adeguatamente preparati ad estendere le proprie vision ben al di là degli attuali confini e a sfruttare il valore aggiunto della connessione figitale attraverso l’interpretazione di dati “sommersi” che ormai continuamente scaturiscono dalle interazioni fin qui descritte nel mondo reale.
E per dominare l’esplosione esponenziale della disponibilità di questa “messe” di dati, occorre investire denaro negli “analitycs software”: in Italia il 45% della spesa in Analytics è dedicata al software (database e strumenti per acquisire, elaborare, visualizzare e analizzare i dati, applicativi per specifici processi aziendali), ai servizi (34%) per integrare le analisi risultanti nella produzione, nei sistemi informativi aziendali, nella consulenza per la riprogettazione dei processi da rivedere per renderli ottimizzati ed eliminare sprechi, fermi-macchina nella produzione ma anche negli uffici e nel terziario avanzato. Poi il rimanente 21% viene dedicato ad aumentare le la capacità di calcolo, i server e lo spazio di memorizzazione.
La parte solo software (digital), è quello a crescita più elevata (+37%), seguito dai servizi (+23%) poi dal physical: risorse infrastrutturali (+9%).
Per i settori, a primeggiare nella spesa sono le banche (28%), seguite da manifatturiero (25%) e telco – media (14%), servizi (8%), GDO/Retail (7%), assicurazioni (6%), utility (6%) e sanità (6%).
Il figitale nella “retail apocalypse”
Eviteremo di snocciolare il rosario di nominativi quali Amazon Go, Whole Food, i Go Stores o di scomodare l’elenco dei governi orientali famosi per autocrazia e spregiudicatezza (Cina e India come capofila), insieme a gruppi come Alibaba o gruppi che operano nello shopping online, JD, con i suoi chip all’interno dei prodotti, o i sensori sugli scaffali, o le soluzioni in cloud, di nuovo AWS in testa. BingoBox gestisce circa 100 negozi di prossimità, o Walmart che sta testando l’automazione degli scaffalisti (attraverso robot della nota Bossanova), il gruppo americano Kroger, con lo scanning di prodotti tramite cellulare.
Macy’s, Toys ‘R’ Us, Sears e di recente in Italia il gruppo DPS (che possiede Trony) sono un semplice ma efficace monito al mondo del vecchio retail: o ci si evolve rapidamente dal mondo fisico del negozio o della catena di distribuzione per diventare figitali, o si scompare dalle scene altrettanto rapidamente in quella che ormai viene definita la “retail apcocalypse”.
Notiamo qui un effetto “boost” da parte del paradigma: quando il phygital impatta una competizione in atto (qualunque competizione: commerciale, tecnologica, strategica) la rende sempre esponenzialmente più feroce.
Gli ambienti sempre più figitali
I chatbot: interattivi e sintetici ma con capacità empatiche, favoriscono la socializzazione attraverso conversazioni sempre meno schematiche e sempre più aperte, tentano l’interazione emotiva cercando di carpire, dalle domande e dal percorso di richieste, se l’utente vuole davvero inoltrare un reclamo, se sta solo richiedendo più informazioni perché desidera più assistenza, o è intenzionato ad un ulteriore acquisto.
La moneta elettronica: sempre più smart e polverizzata in microtransazioni, è passata all’utilizzazione per medi servizi (pagamento del casello autostradale, del ristorante, acquisti) all’utilizzo per microservizi: telefonate in aereo, pagamento al bar, microacquisti online.
La telemedicina: la delega dei servizi di controllo delocalizzata rispetto ai grandi centri ospedalieri per facilitare la penetrazione capillare nel territorio su controlli ripetitivi: controlli pressori, cardiovascolari, glicemici, audiologici, e dunque micro-bot-tizzata in apparecchiature diagnostiche miniaturizzate al punto da essere facilmente trasportabili o installabili in postazioni più vicine ai cittadini o domiciliate direttamente in casa del paziente.
L’automotive: dapprima con i servizi di car-sharing direttamente integrati con i pagamenti online, ora app integrate che interagiscono con sistemi di scambio intermodale: ferroviario/aeroportuale o di trasporto pubblico, richiedendo traccia delle nostre intenzioni di spostamento. A questi dati attingono i servizi di navigazione satellitare ormai di corredo standard negli smartphone. Attitudini richieste, ma anche (dietro consenso dell’utente) abitudini personali memorizzate per rapidità di interazione, ma anche per lucro delle aziende fornitrici che ne fanno cloud per bigdata analysis.
Le smart grid: sistemi internet of things per l’interscambio di informazioni di carattere energetico, sia per la produzione intelligente con picchi di produzione regolamentati sulla base dei dati, sia per la distribuzione elettrica che consenta funzionalità di razionalizzazione per la minimizzazione dei sovraccarichi e/o delle variazioni repentine della richiesta energetica non più delle città intere, ma di grandi quartieri e un domani delle singole famiglie. In questa elaborazione figitale, la trasmissione fisica dell’energia, viene regolata anche sulle informazioni digitali della generazione solare dei singoli, anche di piccola taglia, ma che unita alle informazioni dei nodi periferici consente l’utilizzo delle grandi fonti rinnovabili (che altrimenti, non essendo “programmabili” non sarebbero gestibili).
Soltanto l’approccio figitale può far sì che la gestione materiale si arricchisca anche delle informazioni di accumulo di energia in modo dinamico ed in tempo reale, consentendo ad esempio l’uso di batterie intelligenti per lo scambio di energia accumulata tra le abitazioni ed i mezzi di locomozione (auto-elettrica, moto elettrica, altri sistemi).
Le città figitali o “smart-city”: che vedono i sistemi cittadini non più soltanto come una pipeline da interconnettere, ma anche e soprattutto da intrecciare con i dati, per rendere i servizi non solo più efficienti, ma per vederne sorgere di nuovi. Spesso questo aspetto viene ridotto alla sensoristica (webcam, telecamere di sorveglianza, o anche semafori intelligenti, building automation, energie rinnovabili da solare fotovoltaico e da solare termico o geotermico, illuminazione pubblica) ma occorre sottolineare che sistemi che “erogano” illuminazione fisica, possono trasportare anche informazioni digitali nello stesso raggio di luce (come nel caso del Li-Fi, una startup italiana che sperimenta la diffusione di banda internet attraverso l’illuminazione di lampioni “intelligenti”) e dare dunque non solo luce fisica ma anche informazioni digitali ai cittadini che vengono illuminati, agli automezzi, ai mezzi pubblici, sulla mobilità per renderla sostenibile e condivisa, permettendo di ridurre i consumi energetici, ma anche di incrementare i livelli di sicurezza e di migliorare ogni tipo di servizio rivolto alle aziende e alle persone.
Telecomunicazioni: il gesto fisico diventa simbolo digitale, e il simbolo digitale viene trasmesso a velocità sempre più crescenti (5G) per ridiventare a distanza di nuovo un gesto fisico che fa accadere le cose. Questa modalità verrà sempre più sposata dalle aziende che hanno trovato nel figitale sbocco su ambienti di business prima insperabili, ma anche alla “semplice” spesa online, alla telediagnosi, alla telemedicina, alla manutenzione remota. Mentre le generazioni precedenti hanno visto lo sviluppo del fenomeno, le generazioni attuali cavalcano il fenomeno, gli homework scolastici vengono condivisi online dagli under-13, il lavoro di gruppo diventa virtualizzato dai sistemi di lavagna virtuale, ma anche solo trasmesso attraverso lo smartphone.
Stampa figitale – terminata l’era della stampa dei simboli e di ciò che essi significano, si è giunti ormai alla stampa dell’oggetto ultimo senza passare per il suo simbolo, e anche il processo inverso: la stampante 3D ha infatti la capacità di ricampionare l’oggetto e di ritrasformarlo in digitale per poi astrarne le dimensioni e le caratteristiche.
La sfida dell’era figitale: l’intenzione come atto creativo
Tutto il mondo della didattica, della comunicazione e dell’istruzione in generale, ma anche gli ambienti d’elezione quali l’informatica, l’elettronica e le telecomunicazioni, e le aziende che hanno cura della formazione del proprio personale, dovranno fornire ai clienti, agli utenti, ai cittadini, e ai dipendenti, gli elementi per interagire con i nuovi mezzi figitali. L’inizio e la conclusione dell’interazione con uno strumento non coincideranno più con l’inizio e la conclusione del suo utilizzo fisico. Ottanta anni fa, prendere un treno iniziava con il gesto fisico di recarsi alla stazione ferroviaria ed acquistare il biglietto a stretto ridosso dell’uso del treno, e alla discesa alla stazione ferroviaria di arrivo, l’esperienza aveva termine, tutto cominciava con un gesto fisico di comporre i bagagli, chiudere dei vestiti in una valigia, scegliendoli scommettendo sulle condizioni climatiche d’arrivo. Oggi la stessa esperienza inizia nel momento dell’intenzione. Già nello scorrere il sito web per le stazioni di arrivo e per gli orari, per le previsioni meteo locali, lasciamo una scia digitale di informazioni circa le nostre intenzioni, e subito veniamo supportati da pop-up sulle informative, sulle opzioni che ci corredano di altre informazioni, in sostanza aiutati a fissare l’inizio dell’esperienza e concludendo la transazione d’acquisto da casa, i nostri bagagli ancora da preparare, i vestiti ancora da indossare, abbiamo modificato l’ambiante circostante, da qualche parte, qualcuno nell’azienda ferroviaria, o già nell’albergo, sta modificando i pasti, il vagone e i posti di occupazione per preparare un viaggio che si terrà ancora più in là nel tempo, ma il cui processo ha già avuto inizio: approvvigionamenti, setting, preparazione, acquisti, carburante etc.
Le nuove generazioni leggono e scorrono pagine Instagram e attraverso il gesto del “like” cambiano il proprio futuro digitale auto-schedando le proprie preferenze, e i propri gusti e del destinatario, decretandone il successo in quanto influencer.
E cos’è un “influencer” se non qualcuno che ha imparato la difficile arte di lavorare al confine tra le azioni fisiche e le intenzioni digitali?