L’entusiasmo che di recente si è scatenato attorno alle strategie di gamification delle politiche pubbliche, e che coinvolge amministrazioni piccole e grandi, locali e nazionali, rischia di far dimenticare i pericoli che si legano all’utilizzo di giochi nelle politiche pubbliche. Ce ne sono almeno tre da considerare.
Gli effetti indesiderati degli incentivi alla partecipazione
Il primo rischio si lega alla percezione: quale percezione di noi – è questa la domanda cui rispondere – coltiva la gamification? Positiva e stimolante, per alcuni; non necessariamente per tutti. Pensate a chi, attratto dal design accattivante e dagli incentivi, rimane poi deluso dall’impatto che il contributo che ha offerto ha sulla decisione finale; oppure a chi, venuto a conoscenza dell’esistenza degli stimoli ludici che lo hanno convinto a contribuire, pensa di essere stato vittima di un raggiro.
Ruth Grant, che insegna scienza politica presso la Duke University, ha identificato tre rischi legati alla somministrazione di stimoli ai cittadini per veicolarne il comportamento. Il primo riguarda gli effetti imprevisti, e spesso indesiderati, degli incentivi. Accade cioè che chi è coinvolto in processi partecipativi che fanno uso di stimoli comportamentali possa maturare una percezione critica del regolatore pubblico, giudicandolo autoritario perché, a suo dire, intento a manipolare l’esito della partecipazione.
Gli stimoli, continua la Grant, possono avere effetti deleteri anche sulle motivazioni individuali. A Stoccolma l’amministrazione locale aveva istituito premi in denaro per gli automobilisti virtuosi, le cui targhe erano fotografate da videocamere collocate presso gli incroci cittadini. L’iniziativa è stata sospesa quando si è scoperto che alcuni automobilisti avevano preso a circolare ciclicamente nella stessa zona per essere fotografati più volte e avere così maggiori possibilità di essere estratti a sorte.
Il terzo rischio di cui parla Grant è quello che preoccupa di più. Grant diffida della perpetuazione degli stimoli comportamentali. Cosa succede se i cittadini si abituano a questo tipo di approccio? Secondo la Grant c’è la possibilità che, abituati a reagire solo in risposta a stimoli, i cittadini non reagiscano più in assenza di quelli. Come dire che, abituati a partecipare perché incentivati a farlo, magari con la gamification, ci asterremmo dalla partecipazione se questa smettesse di sembrare così divertente.
I rischi del digital divide
Un secondo ordine di rischi deriva dall’accesso alle tecnologie digitali. La tecnologia rimane la colonna portante dell’innovazione nella regolazione pubblica, inclusa la gamification, ma ha i suoi rischi. Il digital divide separa chi accede liberamente e senza condizioni al web da coloro che ne sono esclusi, in tutto o in parte. È un problema serio, al quale la gamification non offre risposte certe. Pensateci. Solo poche iniziative cercano di garantire un equilibrio tra comunità online e offline. Circa il 50% della popolazione mondiale è tagliata fuori da internet. La penetrazione di quest’ultimo varia sensibilmente secondo l’area geografica. In Europa è all’80%, scende al 69% in Oceania, raggiunge il 46% in Asia, mentre in Africa è appena del 31,2%.
Il fatto, poi, che abbiate accesso a internet non significa necessariamente che viviate in un Paese che tutela i vostri diritti civili. Mettiamola così: se avete la fortuna di vivere in un posto in cui l’accesso a internet è garantito senza limitazioni e in assenza di controllo da parte delle autorità, allora siete in minoranza – precisamente di uno a quattro. C’è un 27% di utenti di internet che invece vive in Paesi in cui si può essere arrestati per aver pubblicato o condiviso contenuti in rete. Non solo l’esclusione digitale è un problema grave, ma è a tutti gli effetti un problema globale. Sì perché il fatto che viviate in un Paese che non censura la libertà di espressione online non vi pone al riparo da rischi. Un recente rapporto pubblicato dal MIT Media Lab denuncia proprio il rischio di “esclusione digitale” di alcuni individui o gruppi sociali. Si citano gli esempi della comunità LGBT e di quelle indigene. Entrambe sono sotto-rappresentate, o addirittura escluse, dalle iniziative politiche e sociali che si svolgono in rete.
La tutela dei dati personali
L’ultimo ordine di problemi riguarda la tutela dei dati personali. C’è un giurista di Harvard, Bruce Schneier, che al riguardo ha sviluppato una teoria affascinante – vorrei partire da qui. Secondo Schneier viviamo in una nuova società feudale. Decidiamo di cedere a grandi multinazionali informazioni che ci riguardano. Lo facciamo volontariamente. In cambio, riceviamo protezione sulla nostra sicurezza. Abbiamo un rapporto simile anche con i governi, aggiunge Schneier. Le continue minacce alla sicurezza legittimano questi ultimi a introdurre misure più stringenti sul controllo delle informazioni individuali, incluse quelle che normalmente sarebbero tutelate da un vincolo di riservatezza. Nel rapporto quotidiano con i nostri governanti ci spogliamo di parte delle difese alla nostra privacy, ricevendo in cambio la promessa di protezione. Come per qualsiasi altro strumento di regolazione digitale, anche la gamification è interamente basata sull’utilizzo delle informazioni. Maggiore è il coinvolgimento degli utenti (e quindi il successo dell’iniziativa di ludicizzazione) più esosa sarà la domanda di informazioni personali da parte del regolatore pubblico.
Un approccio pragmatico
Molti dei problemi appena visti non è irrisolvibile; è, anzi, in fase di soluzione. La tutela dei dati personali sembra oggi vivere una nuova giovinezza grazie alle tecnologie blockchain e alla validazione delle transazioni tra pari, soggetti che prendono parte a sistemi decisionali. La separazione degli individui rispetto alle tecnologie va colmandosi. Negli Stati Uniti, ad esempio, nel corso degli ultimi sedici anni il numero di statunitensi con accesso a internet è salito dal 63% all’88%. Nello stesso periodo i possessori di smartphone sono passati dal 35% al 77% della popolazione. Anche le forme di discriminazione online diventano più difficili grazie allo sviluppo di software protettivi e di sistemi di monitoraggio.
WOPR, il super computer protagonista di War Games – direbbe che “la sola mossa vincente è non giocare”. Preferisco invece chiudere con un approccio pragmatico. Riconosco che la gamification, da sola, non ha ancora prodotto un cambio di paradigma nelle democrazie contemporanee. L’impatto sulla quantità e qualità delle interazioni tra cittadini e regolatori pubblici è ancora marginale. Sarà questo il futuro della ludicizzazione? Lo dirà il tempo. Le potenzialità non sono in discussione. Accettando di osservare un fenomeno in transizione, ci consente almeno di concentrarci sulle soluzioni, invece che le minacce.