L’epidemia da Covid-19 e le connesse esigenze volte, da un lato, a limitare la diffusione del virus e, dall’altro, a garantire la continuità operativa aziendale, hanno risvegliato negli ultimi mesi l’interesse per il lavoro agile. Ma, terminata la fase emergenziale occorrerà far rientrare lo smart working (che da più voci è stato definito, nella modalità di gestione della fase emergenziale, come un vero e proprio “home working”) nei binari della legge e recuperarne lo spirito e le finalità originarie.
Il lavoro agile “ordinario”
Come noto, lo smart working trova la propria fonte normativa “ordinaria” nella Legge n. 81/2017 che ha disciplinato tale articolazione flessibile della prestazione lavorativa in termini di tempo e di luogo, nella prospettiva di un incremento della competitività e di una maggiore possibilità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
Proprio in questa ottica di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro la legge di bilancio per il 2019 ha posto a carico dei datori di lavoro, che stipulano accordi per lo svolgimento dell’attività lavorativa in modalità agile, l’obbligo di dare priorità alle richieste in tal senso provenienti dalle lavoratrici nei tre anni successivi alla conclusione del congedo di maternità, ovvero ai lavoratori con figli disabili che necessitino di un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale.
I tratti fondamentali di tale modalità flessibile della prestazione consistono, come espressamente previsto dalla citata norma, nella stipulazione di un accordo tra le parti volto a definire l’esecuzione dell’attività lavorativa svolta all’esterno dei locali aziendali, anche con riguardo alle forme di esercizio del potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro e agli strumenti utilizzati dal lavoratore.
Considerate le peculiari modalità di svolgimento della prestazione, l’accordo deve inoltre individuare i tempi di riposo e le misure tecniche ed organizzative necessarie per assicurare il c.d. diritto alla disconnessione del lavoratore.
Il lavoro agile “emergenziale”, procedura semplificata fino al 15 ottobre 2020
Con l’emergenza sanitaria in corso, il Governo ha dato nuova vita allo smart working, adattandolo alle nuove esigenze emergenziali: ciò ha comportato una sostanziale modifica sia delle finalità dell’istituto sia dei requisiti richiesti per la relativa attivazione.
Quanto al primo profilo, è agevole rilevare come la finalità cardine dello smart working, che potremmo definire “emergenziale”, sia consistita e tuttora consista nell’arginare la diffusione del virus nonché, specularmente, nell’evitare il blocco dell’attività d’impresa.
Si rammenta, infatti, che già con il DPCM del 23 febbraio 2020, il Governo ha introdotto le prime misure di contenimento e di gestione dell’emergenza epidemiologica, prevedendo, sia pure limitatamente ad alcuni territori del nord Italia (la cd. zona rossa), un’applicazione del lavoro agile “in via automatica ad ogni rapporto di lavoro subordinato nell’ambito di aree considerate a rischio”.
Con il DPCM del 4 marzo 2020, tale misura di contenimento del virus è stata successivamente estesa a tutto il territorio nazionale, con l’espressa introduzione di modalità attuative derogatorie rispetto alla disciplina ordinaria per tutta la durata dello stato di emergenza di cui alla deliberazione del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020 (ovverosia fino al 31 luglio 2020; data che quando scriviamo va verso una proroga al 15 ottobre per volontà della maggioranza e del premier Conte, con un futuro possibile DPCM).
La procedura semplificata in via telematica
Il Governo ha, infatti, previsto che lo smart working emergenziale possa essere attivato anche in assenza degli accordi individuali e con la possibilità di assolvere agli obblighi di informativa in via telematica su servizi.lavoro.it del ministero del Lavoro (tramite il seguente link) ricorrendo alla documentazione resa disponibile dall’INAIL.
Si consideri, altresì, che le parti sociali, con la sottoscrizione del Protocollo del 14 marzo 2020, aggiornato il successivo 24 aprile, hanno ribadito che, ove possibile, il lavoro agile debba essere preferito alle altre modalità di svolgimento della prestazione. Non solo. Le parti sociali hanno precisato, che lo smart working deve essere favorito anche nella fase di riattivazione del lavoro, in quanto considerato strumento di prevenzione dal contagio.
Nella fase emergenziale è stata, inoltre, introdotta una serie di diritti e di priorità nell’accesso allo smart working in capo a determinate categorie di lavoratori fino al termine dello stato di emergenza.
Basti richiamare a tal proposito l’art. 39 del D.L. Cura Italia (così come convertito dalla L. n. 27 del 24 aprile 2020) che ha espressamente attribuito ai lavoratori dipendenti disabili nelle condizioni di cui all’art. 3, comma 3, della Legge n. 104/92 o che abbiano nel proprio nucleo familiare una persona con disabilità il diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile, e ciò a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione.
Si pensi ancora alla priorità nell’accoglimento delle istanze di svolgimento delle prestazioni lavorative in modalità agile, pure garantita dall’articolo sopra citato, a quei lavoratori affetti da gravi e comprovate patologie con ridotta capacità lavorativa.
Da ultimo, il D.L. n. 34 del 19 maggio 2020 (c.d. “Decreto Rilancio”) – oltre a ribadire che la modalità di lavoro agile può essere attuata dai datori di lavoro privati anche in assenza degli accordi individuali – ha riconosciuto, fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID, il diritto allo smart working ai genitori con figli di età inferiore a 14 anni. Ciò a condizione che nel nucleo familiare non vi sia altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito in caso di sospensione o cessazione dell’attività lavorativa o che non vi sia genitore non lavoratore.
Il lavoro agile al termine della fase emergenziale (dopo il 15 ottobre)
La modalità semplificata del lavoro agile nonché i diritti allo status di smart worker e le priorità nell’accesso a tale forma flessibile sopra richiamati potranno trovare applicazione fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19, allo stato prevista, come statuito dalla delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, fino al 31 luglio 2020, ma con ora proroga al 15 ottobre.
Alla scadere anche della proroga relativa alla situazione emergenziale e alla connessa fruizione della modalità semplificata del lavoro agile, occorrerà traghettare lo smart-working emergenziale nello smart-working ordinario. Altre proroghe sono possibili, ma in base al decreto Rilancio comunque fino al massimo al 31 dicembre 2020.
Sarà perciò nuovamente necessario sottoscrivere accordi individuali con i lavoratori che intendano fruire del lavoro agile, al fine di definire tutte le modalità per rendere la prestazione lavorativa.
Accordo tra le parti per lo smart working
È, infatti, con l’accordo che le parti (datore di lavoro e lavoratore) definiscono tutte le caratteristiche della prestazione smart.
L’accordo dovrà prevedere:
- la sua durata (a tempo determinato o indeterminato), con l’indicazione delle giornate “smart” (numero di giornate al mese ovvero giorno/i fisso/i alla settimana) e delle ipotesi di “giustificato motivo” che consentano alle parti di recedere dall’accordo senza preavviso;
- le indicazioni circa le modalità di richiesta, da parte del lavoratore, degli istituti contrattuali più comuni (malattia, ferie, permessi, straordinario, ecc.);
- le prescrizioni per quanto attiene al luogo che verrà deputato, dal lavoratore, quale spazio dedicato a rendere la prestazione lavorativa. In particolare, andranno indicati i requisiti minimi di idoneità dei locali adibiti ad attività lavorativa;
- le modalità e le tempistiche per richiamare il lavoratore in azienda qualora se ne ravvisi la necessità. In particolare, dovrà essere indicato il preavviso da fornire al lavoratore perché si possa organizzare per rendere la prestazione in azienda;
- le modalità con le quali verranno forniti gli obiettivi periodici richiesti durante la prestazione resa al di fuori dei locali aziendali;
- la strumentazione tecnologica fornita al lavoratore per rendere la prestazione e le relative misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione dagli stessi una volta terminata l’attività lavorativa;
- le modalità di esercizio del potere di controllo del datore di lavoro sulla prestazione resa dal lavoratore all’esterno dei locali aziendali nel rispetto di quanto disposto dall’articolo 4 della Legge 20 maggio 1970, n. 300;
- le condotte, connesse all’esecuzione della prestazione all’esterno dei locali aziendali, che possono dar luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari;
- una completa informativa sui rischi per la salute e la sicurezza del lavoratore, con un puntuale programma di formazione e informazione relativo all’organizzazione degli spazi e dei tempi per la salvaguardia della salute fisica e psicofisica dei dipendenti. Ciò in quanto il datore di lavoro rimane, anche durante il periodo di lavoro smart, responsabile della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al lavoratore.
Oltre alla stipulazione dell’accordo individuale, risulterà opportuno predisporre adeguate policy aziendali che regolamentino l’utilizzo degli strumenti di lavoro e dei sistemi informatici nonché specifici regolamenti disciplinari che individuino per tutta la popolazione aziendale le condotte sanzionabili e le concrete modalità di controllo da parte del datore di lavoro.
Non solo.
In conclusione
In aggiunta alla necessità di rientrare nei binari formali di cui alla Legge 81/2017, con il superamento della fase emergenziale occorrerà fare in modo che lo smart working (che da più voci è stato definito, nella modalità di gestione della fase emergenziale, come un vero e proprio “home working”) recuperi lo spirito e le finalità originarie volte all’incremento della competitività e ad una maggiore possibilità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
Come auspicato nel Piano Colao, occorrerà “utilizzare la fase attuale per un’attenta e profonda osservazione dello smart working e delle dinamiche ad esso connesse per identificare elementi con cui migliorare la normativa vigente (legge n. 81/2017), al fine di renderla perfettamente aderente al nuovo contesto che si sta sviluppando, in cui da un lato c’è la necessità di un’adozione diffusa per questioni anche di sicurezza e, dall’altro l’obiettivo di dare a imprese e lavoratori un’opzione migliorativa sia della produttività sia delle condizioni lavorative”.