Le nuove skill (abilità) richieste dal mercato del lavoro nell’era del digitale sono un tema strategico per lo sviluppo del Paese. Lo tratterò di seguito sintetizzando le mie opinioni a mo di brevi telegrammi, partendo dalle considerazioni espresse nei giorni scorsi a Salerno nell’ambito della prima Borsa Mediterranea della Formazione e del Lavoro, promossa dalla Fondazione Saccone.
Italiani i più vecchi d’Europa e con troppi NEET
L’Istat fotografa l’Italia come il Paese più vecchio d’Europa, con la maggior presenza di NEET (Not in Education, Employment or Training, ovvero giovani scoraggiati che non studiano né cercano lavoro) e con una crescita economica al di sotto del periodo pre-crisi (quando altri Paesi Ue l’hanno ampiamente superata).
I giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano in Italia sono il 24,3%, parliamo di 2,2 milioni di persone, in Europa il valore medio è del 14,2%.
Ovviamente il fenomeno risente di forti differenze territoriali (al Nord e al Centro, la percentuale si attesta rispettivamente al 16,7% e al 19,7%, mentre al Sud supera il 34%) e di genere (è una situazione più diffusa tra le donne, per il 34,4% dei casi).
I lavori del 2030 (che oggi nemmeno esistono)
Il 65% dei bambini che iniziano le elementari farà un lavoro che oggi non esiste (fonte World Economic Forum)
La trasformazione digitale sta cambiando, e cambierà con cicli di 3-5 anni, il mercato del lavoro, non più quindi cicli di 15-20 anni, come accadeva in passato.
La tecnologia (non ci stancheremo mai abbastanza di ripeterlo) è un mezzo da utilizzare per creare, non il fine.
Il mondo del digitale, che sempre di più crea tipi di lavori che dieci anni fa neanche esistevano, e che magari tra 5 anni non esisteranno più, si immerge in una zona grigia tra innovazione, automazione e diritti. Lo si vede già oggi con la sharing/gig economy.
Più competenze, più lavoro
I robot ci ruberanno il lavoro? Domanda che ciclicamente mi viene posta e io rispondo che sì, i robot ruberanno il lavoro a coloro che saranno meno qualificati. Ma non ruberanno certo il lavoro a chi avrà skill competenti ed evoluti
Ecco pertanto che il tema delle competenze diventa decisivo (nuovi skill e re-skilling)!
Se è vero che nell’industria 4.0 abbiamo necessità di aziende sempre più flessibili, dove l’elemento umano è decisivo, sarà la risorsa umana – adeguatamente formata, competente e dotata di skill specifiche – al centro della fabbrica 4.0.
TAG: la ricerca sui nuovi lavori
Tag Innovation School ha condotto una interessante ricerca denominata “La Digital Transformation e le PMI italiane” che getta luce e che fornisce qualche dato sulle figure lavorative più ricercate nei prossimi tre anni dalle aziende italiane con un fatturato al di sotto dei 50 milioni di euro. Hanno risposto a un questionario oltre 500 aziende medie e piccole.
Spiccano in particolare tre ruoli: il Digital Marketing Specialist (60% delle preferenze), cioè i professionisti che si occupano di posizionare e promuovere le aziende tramite il digitale, sia con la SEO, SEM, Social Media Marketing che web marketing in generale. Segue poi il Data Analyst (50%) e il Digital Officer (32%), cioè i consulenti per l’attuazione della Digital Transformation. Infine i Mobile Developer (31%), sviluppatori di app per mobile ad esempio per Android e iOS.
I quattro nuovi lavori in dettaglio
Il Digital Marketing Specialist è sintomo dell’identificazione del marketing con la digitalizzazione, lo specialista nell’analisi di dati è una figura sempre più centrale, la cui importanza è direttamente proporzionale a quella sempre crescente dei Big Data, che saranno sempre più centrali nella creazione di nuove figure lavorative come appunto il Data Scientist, il Data Architect e l’Insight Analyst.
Interessante notare come il Digital Officer sia un ruolo abbastanza ricercato nonostante la sua ancora scarsa diffusione in Italia. Gli amministratori delegati che dichiarano di voler assumere un Digital Officer rappresentano il 27% degli intervistati. La necessità di inserire questa figura in azienda è maggiormente sentita tra le medie imprese (45%) rispetto alle piccole (26%). Infine è interessante notare come il 38% delle aziende che intende implementare nuovi business basati sul digitale e il 32% di quelle che avranno partnership con startup inserirà questo ruolo entro tre anni.
Ma ci sono anche tantissime altre figure quali Front-End, Back-End e Full-Stack developer, UI/UX Designer, figure che le aziende quasi faticano a trovare per mancanza di professionalità adatte.
A fare la differenza saranno tre fattori:
- velocità
- formazione continua
- professioni ibride
Cogliere la velocità del cambiamento
Ogni giorno succede qualcosa di nuovo e accade a una velocità maggiore rispetto a prima, una velocità esponenziale. Il vero tema è: in un contesto in cui il cambiamento è a una velocità senza precedenti la cosa più importante su cui lavorare è la persona, paradossalmente, e bisogna concentrarsi per sviluppare nelle persone delle attitudini nuove sin da quando sono bambini.
Formazione continua: introdursi subito nel mondo del lavoro
Formazione continua per tutti, studenti e docenti: decisivo restare aggiornati in tempo reale sia studenti che formatori: formare i formatori diventa fondamentale!
Invece constatiamo resistenza al cambiamento, che si legge in tante cose nella società, noi siamo un pochino più abitudinari, comodi dentro degli schemi predefiniti.
Oggi urgono percorsi di formazione che durino 3-6 mesi e che introducano subito nel mondo del lavoro. Magari poi tornando a formarsi di nuovo dopo cinque anni, il tutto da vedere come qualcosa di necessario e “normale”. Torna sempre il tema della formazione continua, che si protrae durante tutto l’arco della vita lavorativa della persona. E su questi temi ben bvengano gli ITS, ben venga soprattutto l’alternanza scuola/lavoro.
E’ l’ora delle professioni ibride
Il lavoro ibrido combina le competenze tecniche, gestionali, professionali o relazionali con le competenze informatiche e digitali, le conoscenze per comunicare nei social network, le abilità per interagire con altre persone attraverso la mediazione o l’uso di tecnologie digitali.
L’ibridazione del lavoro è un fenomeno bidirezionale. Da un lato, ci sono i mestieri ben noti e consolidati che evolvono, sia spostando i propri confini, dall’altro, ci sono i digital job (lavori digitali), che evolvono attraverso l’incorporazione di alcune attività tipiche dei mestieri noti.
I lavori ibridi sono mestieri noti, con un set di competenze consolidate tipiche di quel mestiere. Si pensi, ad esempio, al chirurgo o al commercialista, ma anche all’idraulico e all’elettricista. Ciò che sta avvenendo è che le abilità tipiche di quella professione si stanno contaminando con altri tipi di capacità, tipicamente di natura sociale e relazionale e poi di natura digitale.
Nascono così i lavori ibridi, in cui ad esempio il chirurgo opera grazie a un joystick al di fuori, o lontano chilometri, dalla sala operatoria. Due sono le caratteristiche del cambiamento: sta avvenendo in maniera molto rapida ed è un fenomeno di tipo carsico, cioè quando ce ne accorgiamo è tardi.
Skill ibridi di Industria 4.0 che saranno sempre più richiesti dal mercato? Avere, ad esempio, competenze informatico/digitali, economico/finanziarie, di ingegneria gestionale.
Ma esistono questi corsi di laurea o in Italia ognuno difende il proprio recinto? Questo è un bel tema perché troppo spesso il sistema educativo ragiona ancora in verticale (a difesa di piccoli e grandi privilegi) e non trasversalmente, come oggi ragiona tutto il mondo.