la riflessione

Il linguaggio come tecnologia: così IA e social ne minacciano la profondità



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L’intelligenza artificiale e i social media stanno trasformando il linguaggio, portando a una semplificazione e banalizzazione della comunicazione. Questa tendenza ha implicazioni sulla qualità del discorso pubblico e sull’accesso al pensiero critico, evidenziando la necessità di preservare la complessità e la profondità del linguaggio umano

Pubblicato il 3 set 2024

Paolo Maria Innocenzi

Cybersecurity Specialist

Valerio Salvatore

laureando in matematica presso la facoltà di Scienza MFN de La Sapienza



intelligenza artificiale al pc

Paolo Benanti, un frate francescano e teologo italiano, è noto per i suoi studi sull’etica e le implicazioni morali della tecnologia. Nel suo ultimo libro, ” La grande invenzione. Il linguaggio come tecnologia, dalle pitture rupestri al GPT-3″, Benanti esplora il linguaggio come una delle più grandi invenzioni dell’umanità.

Il linguaggio, tecnologia alla base dello sviluppo umano

Egli sostiene che il linguaggio non è solo uno strumento di comunicazione, ma una tecnologia fondamentale che ha permesso lo sviluppo della società umana, della cultura e del pensiero astratto. Secondo Benanti, il linguaggio è ciò che ci rende umani, consentendo la trasmissione di conoscenze, idee e valori attraverso le generazioni. Benanti approfondisce anche il rapporto tra linguaggio e intelligenza artificiale nella sua ricerca di un modello di “Algoretica”. Egli discute come l’IA stia cercando di replicare e comprendere a fondo il linguaggio umano, sollevando importanti questioni etiche e filosofiche. La capacità delle macchine di interloquire attraverso il linguaggio solleva interrogativi su cosa significhi essere umani e su come dovremmo interagire con queste nuove tecnologie.

I linguaggi di programmazione delle macchine

Non è certo un caso che abbiamo scelto, per impartire alle macchine la traduzione di matematica elementare o evoluta, dell’algebra base o dell’algebra dei gruppi, anelli e campi, i comandi necessari man mano che esse diventavano negli ultimi ottanta anni sempre più evolute, i comandi che sono andati a definire una grammatica per poi assumere dei costrutti che anch’essi furono chiamati “linguaggi” (di programmazione, NdA). L’ASSEMBLY, il FORTRAN, IL BASIC, e poi i linguaggi per il calcolo proposizionale: il LISP, il PROLOG, e successivamente tutte le ereditarietà sui nuovi linguaggi informatici, hanno permesso di continuare a impartire istruzioni meticolose e precisissime alle macchine programmabili, lavorando anche sui tempi di acquisizione di tali istruzioni (compilatori, interpreti, etc).

Purtroppo, nell’attuale panorama del ritrovato utilizzo del linguaggio conversazionale dei Generative Pre-trained Transformer, non fa da contrappasso a queste conquiste faticosamente realizzate nei lunghi decenni trascorsi, il giusto riconoscimento alla nobiltà che questo metodo di comunicazione in forma scritta (la maggior parte delle AI si occupano, dai Chatbot addestrati e incanalati sui servizi offerti, alle libere conversazioni) offre come opportunità di ritrovata materia oggetto di studio sia nei percorsi scolastici sia in quelli di maturazione dell’accesso al pensiero simbolico durante tutta l’età evolutiva.

La punteggiatura nei colloqui con i GPT

Prendiamo come esempio quella che conosciamo come la “punteggiatura”. Essa, nei colloqui con i GPT assume un ruolo cruciale perché conterrebbe in nuce la trasmissibilità di alcune fondamentali informazioni paraverbali: quali? I silenzi e la velocità, che oltre a caratterizzare la musicalità della comunicazione, ne enfatizzano o in generale ne modulano il fluire e dunque sono significanti che ne modificano attraverso la cadenza, il senso.

Il silenzio nel parlato traslato nella fraseologia di scambio con GPT

“Un esempio meno sognante ma sempre metaforico è il seguente. Consideriamo la funzione scrittura sotto dettatura che ha per dominio l’insieme delle frasi pronunciate da una data persona e per codominio l’insieme delle parole scritte su un dato foglio (infinito). [La funzione svolgerà una applicazione 1:1 tra le frasi pronunciate e le frasi scritte NdA]. [Poiché] le frasi pronunciate si possono sommare e anche ripetere n volte, quindi abbiamo qualcosa che ricorda – un po’ vagamente – uno spazio vettoriale. Ma l’oggetto principale di questa metafora è il nucleo [Kernel in algebra]. Esso consiste di tutte le frasi non pronunciate, cioè dei silenzi.

Di ogni periodo di silenzio non viene trasmesso, durante la dettatura, lo stato d’animo: triste, allegro, emozionato, paziente, annoiato, ecc. Tutte queste informazioni vanno perdute, al momento della scrittura (che resta vuota, in quel frangente).” [… Qualunque “Ciao”, pronunciato con un tono nervoso, riportata in chatGPT nello stesso modo di un “Ciao” detto con tristezza, o con sorpresa, o con soddisfazione, ecc. Nd.A] “Quindi sommando gli elementi del nucleo (gli stati d’animo senza parole) all’elemento asettico “Ciao”, elaborato da una macchina che non prova emozioni, otteniamo elementi che hanno la stessa immagine, cioè vengono tutti scritti nello stesso modo. Nel processo di dettatura il nucleo scompare, ma almeno nel dominio esso è di fondamentale importanza perché in qualche modo testimonia il tipo di collasso subito dall’informazione sonora; il nucleo incorpora tutta l’informazione che va perduta – in questo caso, tutte le emozioni. Nel caso di spazi R0 il ruolo del nucleo diventa ancora più nitido. Notiamo che già nell’esempio delle emozioni il nucleo dà la possibilità di enumerare tutti gli elementi aventi la stessa immagine, perché esiste una corrispondenza biunivoca tra il nucleo stesso e una qualunque controimmagine.” [Andrea Vietri, Itinerario di geometria e algebra lineare]-

La riduzione “algebrica” delle parole

Stiamo parlando – per chi vuole approfondire a questo link Wikipedia NdA – di quello che un Generative Pre-Trained Transformer già opera, in termini semplici, quando “semplifica” le nostre richiesta con un passaggio algebrico pensato come un processo di “pulizia” di una frase complessa per renderla più semplice, simile a come si potrebbe correggere una frase parlata eliminando ripetizioni o parole non necessarie, ed effettuando una “riduzione ciclica” anche quando considera tutte le sue permutazioni cicliche di una frase (cioè, spostiamo le parole da una parte all’altra della frase). In questo modo la riduzione di una parola “algebrica” implica la rimozione di coppie di parole che si annullano reciprocamente per semplificare la frase, proprio come correggeremmo noi umani una frase parlata eliminando ripetizioni inutili. Questo processo aiuta il sistema neurale a rappresentare la stessa informazione in una forma più semplice e comprensibile, quello che è in matematica una “riduzione in fattori primi”.

Il ruolo delle pause nel linguaggio empatico

Dobbiamo anche osservare che la funzione di trasformazione dello scritto di Vietri, che rappresenta il Kernel di uno speech, che dà puntualmente risultato nullo nello svolgimento dell’applicazione della funzione “dettatura”, non ha lo stesso significato in tutte le lingue e culture: infatti mentre le pause possono essere utilizzate per creare solennità e enfasi in molte lingue, la loro lunghezza, frequenza e l’interpretazione culturale possono variare notevolmente. Capire queste differenze è essenziale in termini di comunicazione efficace e sensibile o empatica in contesti interculturali. Il significato e l’uso del silenzio per un indiano, occidentale, africano o cinese o messicano, nel parlato varia in modo significativo tra queste diverse lingue e relative culture di appartenenza. Anche se ci sono alcune funzioni comuni del silenzio nel parlato, le connotazioni e l’interpretazione possono differire notevolmente o essere accomunate da comportamenti statisticamente “normali” o “mediani”.

Ecco alcune considerazioni su alcune variazioni culturali:

Giapponese

Il silenzio, in questa cultura, è spesso usato come segno di rispetto e riflessione, e le pause possono essere più lunghe e indicano che la persona sta considerando attentamente la risposta.

Italiano

Le pause nel discorso parlato possono essere utilizzate per enfatizzare e creare drammaticità nel discorso, come pure un eccesso di pause potrebbe essere percepito come insicurezza del parlante.

Inglese americano

Le pause sono in queste culture spesso brevi, per evitare un disagio che il silenzio prolungato può causare o essere interpretato come mancanza di preparazione o, di nuovo, insicurezza.

Interessante sarebbe l’analisi dello spazio vettoriale prescelto in R2 o R3 o Rn, decodificandone successivamente i relativi usi, che considereremmo suddivisa in:

  • pausa per enfasi, per sottolineare parti importanti del discorso, rendendo una dichiarazione più solenne o significativa, questo è comune in molte lingue;
  • pausa di riflessività, per indicare riflessione, che viene spesso percepito come segno di considerazione e profondità;
  • pausa per segnale di turno conversazionale, per segnalare che è il turno dell’altro interlocutore di parlare.

Effetti sulle frasi scandite da silenzi per enfasi, per riflessività e segnale di turno

Uso culturale del silenzio: usato strategicamente nella comunicazione per trasmettere significato senza parole, purtuttavia, la tolleranza per il silenzio varia: i giapponesi spesso usano il silenzio come parte integrante della conversazione, mentre in molte culture occidentali i silenzi prolungati possono essere mal giudicati in quanto percepiti imbarazzanti.

Solennità e importanza: frasi con pause deliberate e ben posizionate tendono a essere percepite come più solenni e importanti. Questo effetto è riconosciuto in molte lingue: in alcune lingue orientali, le pause possono portare un significato più profondo e meditativo.

Da ultimo, un contributo “estetico” al ritmo e alla melodia del discorso: per influenzare il modo in cui un messaggio debba essere percepito emotivamente dall’interlocutore, a puro titolo di esempio, le lingue come l’italiano e lo spagnolo tendono ad avere un ritmo più melodico e fluido, mentre il tedesco e il finlandese possono avere un ritmo più scandito.

Anzi, il contraltare sembra proprio essere il problema emergente della comunicazione nel panorama dei social media: la semplificazione e l’impoverimento della lingua scritta.

I social e la perdita nella qualità e nella profondità della parola scritta

Infatti, come si passò dai linguaggi di interazione con le macchine a “riga di comando” (dal MS-DOS a Microsoft Windows o dal Linux alle distribuzioni a interfaccia a finestre con mouse, o nativamente come accadde con Apple Macintosh) si sta sperimentando una perdita significativa nella qualità e nella profondità della parola scritta (righe di testo) a favore dei gesti e delle immagini (Instagram). Analizzando infatti l’evoluzione dei post su una delle piattaforme social più importanti (FB) si evince che seppur da un lato non vi siano limiti al numero di caratteri o alla struttura dei contenuti, dall’altro paradossalmente, non si fa pieno uso di questa libertà. Contrapposto ad un possibile incremento della pubblicazione di post che incentivino dibattiti più profondi e articolati si nota una surrogazione di tali contenuti a favore della creazione di contenuti atestuali: vuoi per il timore di finire su liste nere di contenuti “unfair” o di essere censurati per le loro opinioni o di accumulare disLike sui propri post, è preponderante sui social la tendenza a rifugiarsi in argomenti banali e innocui se trattati testualmente, oppure a postare contenuti multimediali, preferibilmente foto-video in forma short per permetterne e agevolarne il doom-scrolling: attività che può essere svolta ripetutamente e compulsivamente senza dover in definitiva “leggere” concetti complessi o anche soltanto articolati, se non in misere didascalie in sovra impressione. Così, anche negli spazi teoricamente liberi, la conversazione si riduce a visualizzare calcio, meteo, cani o gatti dolcissimi e altre frivolezze.

Le implicazioni a livello cognitivo

Questo fenomeno non è soltanto di costume sociale, ma ha implicazioni drastiche a livello cognitivo. Ritornando alla più grande invenzione che abbiamo detto essere la tecnologia del linguaggio, essa, che dovrebbe favorire l’espressione e la condivisione di idee complesse, viene svuotata del suo potenziale. La paura di ritorsioni dei propri follower o censure da parte della piattaforma spinge gli utenti a evitare discussioni significative, portando a una forma di autocensura che impoverisce la qualità del discorso pubblico. È in questo contesto che la parola scritta si deteriora anche della opportuna punteggiatura che, ridotta a file di punti esclamativi, diviene priva di profondità e significato. Questo deterioramento non è soltanto un problema tecnologico del linguaggio, ma anche culturale e sociale. La scrittura, che un tempo era uno strumento potente per l’analisi critica e il dibattito, rischia di diventare un mero passatempo, una forma di intrattenimento senza sostanza.

Una tendenza irreversibile?

Questa situazione mostra che la tendenza di cui abbiamo parlato non sembra destinata a invertire la rotta. Se i social media continueranno a invogliare o anche soltanto favorire una semplificazione estrema dei contenuti, la perdita della parola scritta complessa potrebbe diventare permanente: rischiamo di abbandonare una tecnologia preziosa (il linguaggio) per un’alternativa più superficiale e meno significativa di un meme, laddove il gusto del dibattito, del sostenere un argomento senza utilizzo di fallacie logiche verrebbe sempre meno.

Conclusioni

La sfida, allora, rimane quella di arricchire la nostra comprensione del mondo e preservare e valorizzare la tecnologia del linguaggio, anche in un’era dominata da social media che sembrano voler mantenere una semplificazione e banalizzazione della comunicazione, dei nomi delle cose e dei concetti, e dunque dell’accesso al pensiero simbolico.

(Materiale fonte di ispirazione per il romanzo ANIME DIGITALI di Paolo M. Innocenzi di prossima pubblicazione)

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