la riflessione

Il lobbying esiste perché la politica non ascolta più: ruolo e obiettivi dei gruppi di pressione

In passato i partiti in Italia avevano il ruolo di collettore tra alto e basso, oggi questa cosa che ci piaccia o meno non esiste più. Il lobbying non esisterebbe se i partiti e la politica fossero in grado di ascoltare le istanze che arrivano dal basso

Pubblicato il 06 Ott 2022

Federico Anghelé

Direttore The Good Lobby

accordo

Seppure abbia spesso un’accezione negativa, il termine lobbista non designa altro che una persona che cerca di far capire al decisore pubblico un punto di vista, e l’impatto che una politica pubblica potrebbe avere. L’obiettivo del lobbying dovrebbe essere quello di migliorare la qualità delle decisioni che riguardano la collettività.

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Il lobbying colma le lacune della politica

Il lobbying non esisterebbe se i partiti e la politica fossero in grado di ascoltare le istanze che arrivano dal basso. In passato, i partiti in Italia avevano il ruolo di collettore di interessi diversi; oggi questa cosa, che ci piaccia o meno, non esiste più. Ecco che bisogna cercare di colmare quella lacuna, in termini di comunicazione e di ascolto da parte delle istituzioni verso le istanze del mercato e della società. Il volontariato, per esempio, va a colmare le lacune dello Stato e quello che il mercato non riesce a fare. Il terzo settore è interstiziale tra le mancanze dello Stato e gli errori del mercato e di conseguenza, il lobbying si pone come la cinghia di trasmissione che manca tra istanze che vengono dal basso (volontariato, società civile) e le istituzioni.

Il problema è però più ampio di quello che si può immaginare: abbiamo un decisore pubblico che deve cimentarsi con tematiche sempre più complesse perché sono frutto della complessità del nostro mondo, come per esempio la tecnologia, o le sfide dettate dal cambiamento climatico e dall’immigrazione. Temi sempre più difficili che necessitano l’ascolto di esperti e di attori che siano in grado di portare punti di vista potenzialmente informati e supportati da dati, che facciano capire l’impatto che una politica potrebbe avere. Senza questo ascolto il rischio è l’autoreferenzialità dei decisori pubblici con il pericolo di politiche che, di fatto, non tengono conto dei dati e delle informazioni o, nella peggiore delle ipotesi, che ascoltino solo il punto di vista di chi ha i contatti giusti ed è più attrezzato di altri a farsi ascoltare.

Chi è il lobbista e cosa fa

Se consideriamo il lobbista, per quello che è, un tecnico, è chiaro che serve formazione e un metodo in grado di permettergli di analizzare e utilizzare i dati per avere un approccio razionale, equilibrato e bilanciato.

Sappiamo perfettamente che la maggior parte delle persone vede negativamente questa figura. Senza dubbio, in questi anni in cui l’attività di lobbying è cresciuta è mancata parallelamente la capacità di spiegare all’opinione pubblica qual è il contributo del lobbista, cosa esattamente faccia per la società e come l’attività di lobbying si svolge esattamente.

Un alibi della politica, poi, è quello di accusare sempre i gruppi di pressione per spiegare la mancata modernizzazione del Paese; in realtà la responsabilità resta sempre in capo alla politica, che troppo spesso non fa quel che dovrebbe fare. Basti pensare alla cosiddetta “lobby dei taxisti”: se ci fosse piena trasparenza sui processi decisionali, ci renderemmo conto che sono le istituzioni che non vogliono approvare riforme da lungo tempo attese. Altre volte sono i media che parlano a sproposito di lobby, si pensi all’abuso con cui le organizzazioni LGBT vengono definite la “lobby degli omosessuali”.

Così facendo si associa alla professione un’accezione negativa quando, invece, l’obiettivo dei gruppi di pressione è quello di contribuire al bene comune e fare ascoltare le voci che si contrappongono a interessi inascoltati.

Altro limite, che ha contribuito a vedere con sospetto la figura del lobbista, è la mancanza di comunicazione sul vantaggio che avrebbe la società civile se si organizzasse per rappresentare il proprio interesse nei luoghi adeguati e con dati oggettivi. The Good Lobby stimola la società civile a capire che il cambiamento passa anche attraverso un cambiamento normativo: per questo serve studiare come funzionano i meccanismi decisionali e istituzionali, in che modo si raccolgono dati e analisi utili nel confronto col decisore pubblico, quale linguaggio utilizzare per destare subito interesse.

Conclusioni

Chiaro che l’ultima parola sarà sempre della politica ma se mancano i punti di vista dei portatori di interesse è un po’ difficile trovare la mediazione. Se le altre prospettive non trovano ascolto ci sarà sempre qualcosa che manca, ci saranno continuamente dei buchi politici da colmare.

L’attività di lobbying deve sempre accompagnarsi da un’attività di advocacy, che sensibilizzi l’opinione pubblica e faccia capire al decisore quanto quel tema pesa anche nella società.

La formazione su tali temi diventa quindi un asset importante per conoscere al meglio il funzionamento dei meccanismi dell’attività di lobbying e i processi decisionali sottostanti al fine di poter rappresentare al meglio e con consapevolezza gli interessi dei cittadini o di chi si rappresenta.

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