Alle origini della rivolta sociale che scuotendo le istituzioni del Cile facendoci rivedere tristemente i carri armati per le strade di Santiago è stata la proposta di una tassa sugli abbonamenti Whatsapp che ha fatto scendere in strada i dimostranti ed è stata poi ritirata dallo stesso governo.
È sembrato al governo cileno un modo facile e, forse, non troppo impopolare di reperire nuove risorse mentre alla gente è apparso come un iniquo balzello che andava a colpire un bisogno fondamentale come la metropolitana, altro servizio per il quale il governo ha fatto marcia indietro sui ventilati aumenti del prezzo del biglietto.
Questa tassa su Whatsapp ci riporta alla memoria qualche tentativo nel 2005-2006 di tassare gli Sms, che allora cubavano intorno ai 4 miliardi di euro per i gestori telefonici, tentativi poi rientrati a furor di popolo.
In quegli anni abbiamo la rivolta popolare con una mozione online, sottoscritta da centinaia di migliaia di cittadini, una fra le prime di massa nel nostro Paese, per abolire i costi di ricarica delle SIM prepagate, per la sola TIM erano 400 milioni di euro di ricavi annui aggiuntivi, promossa da un giovane militante dell’allora Alleanza Nazionale.
Fu abilmente poi Bersani nel decreto liberalizzazioni a intestarsi l’abolizione della “ tassa” sulle ricariche che si rifletté più avanti in un aumento generalizzato delle tariffe mobili.
Ancora in questi giorni di discussione sulla legge di stabilità ha fatto capolino la proposta, presto rientrata, di tassare le SIM business, circa 600 mila, che era stata vista come un modo di riprendere alle partite IVA qualcosina di quello che è stato dato loro con la Flat tax.
La comunicazione diventa quindi uno dei nuovi fronti della guerra fiscale, sia sul lato dei grandi provider, Facebook, Instagram, Google, che cercano di sfuggire a volte con successo, a volte meno e trovano accordi e mediazioni al fisco degli Stati nazionali sia su quello dei cittadini utenti che sentono però questi servizi sempre meno come un genere voluttuario e superfluo e sempre più come un prodotto/ servizio di prima necessità, come il macinato di fine Ottocento.