Il 2021 non è – non sarà – un anno normale. Un anno precario. Un anno trasformativo. Un anno grigio: non più e non ancora. Non più passato ma non ancora futuro.
Il mondo sta cambiando così rapidamente che il nostro cervello ha difficoltà a tenere il passo. Gli esseri umani tendono al “presentismo” nel migliore dei casi, assumendo inconsciamente che domani e il prossimo anno saranno più o meno come oggi, mentre tutto induce a una evoluzione, prima di tutto, dei linguaggi, ora funzioni del mezzo – la rete – e di quella accelerazione temporale che Zygmunt Bauman chiama “nowism” e che detta l’imperativo stay connected.
L’impatto del covid sulle istituzioni culturali
La cultura e il mondo dei musei stanno accusando il colpo di questo cambiamento accelerato: generazione e scambio di contenuti, fruizione immateriale, moltiplicazione delle piattaforme, globalizzazione della platea.
Ma anche cambiamenti demografici e ascesa delle tecnologie blockchain, benché in Italia questi macrofenomeni siano appena visibili in lontananza.
Il coronavirus è stato un accelerante del digitale e dobbiamo ancora capire come questo cambiamento impatterà nel settore per i prossimi dieci e più anni, nella consapevolezza che non sarà sufficiente recuperare lo status quo ante.
Una crisi-opportunità profonda attende le istituzioni culturali, che dovranno ridisegnarsi un ruolo innovativo di servizio al Paese e sostegno sociale alle comunità, con un nuovo significato civile e identitario. Se spingiamo l’analisi un po’ più in là, in una chiave di lettura “out of the box”, e guardiamo allo sterminato patrimonio di contenuti che essi costudiscono, i musei possono senz’altro essere indicati come un luogo elettivo di raccolta di dati.
Dati sulle comunità, sulle consuetudini e sugli oggetti, dati sul pensiero individuale e collettivo in diversi momenti storici. Dati attraverso i quali, di fatto, è possibile ottenere una sorta di profilazione antropologico-interpretativa delle storie dei popoli, delle loro culture e globalmente, in definitiva, della realtà.
Cultural data per proiettare il futuro nell’attualità
Pertanto, se i big data sono considerati il petrolio del XXI secolo, i cultural data sono piuttosto da immaginarsi come l’acqua. Non inquinanti, devono essere accessibili a tutti perché vitali. Ed è proprio questo che traghetta i luoghi in cui essi sono custoditi, e cioè i musei, verso una missione futura, o meglio di “presentificazione del futuro”, tanto sfidante quanto necessaria.
Se dovessimo sintetizzarla in uno slogan, potremmo dire che si tratta di ripensare il canone, con l’obiettivo dichiarato di ricongiungere in una narrativa culturalmente funzionale passato, presente e futuro. Soprattutto dal punto di vista della connessione tra generazioni, uno dei grandi problemi generati dal digital divide.
È proprio attingendo ai cultural data che è possibile ridurre fino ad accorciare- persino forse eliminare- il gap generazionale, attraverso la ricerca di nuovi e più inclusivi codici, in grado di proiettare il futuro, come detto, in una dimensione di attualità. E rendere tutto questo, in definitiva, la nuova mission dei musei.
Ne esistono già interpretazioni significative, come il Museu do Amanhã (Museo del Domani) di Rio de Janeiro e il Museum of The Future (Museo del Futuro) di Dubai.
L’uno orientato all’ecologia, alla sostenibilità e alla tutela ambientale, l’altro all’innovazione tecnologica e al design futuristico, sembrano tuttavia condividere la medesima narrativa, basata essenzialmente su tre punti:
- il Futuro sostenibile come key topic della filosofia espositiva;
- la trasformazione della relazione tra museo e pubblico dal paradigma conservazione/fruizione a quello call to action/engagement;
- nuovo equilibrio tra uomo e Natura, tra artificiale e naturale, che estende il perimetro oltre la prospettiva strettamente ambientalista, includendo al suo interno anche la dimensione culturale.
Il ruolo del digitale
In tutti i casi, è superfluo puntualizzarlo, il digitale assume un ruolo fondamentale, come è logico che accada soprattutto per le istituzioni culturali.
La pervasività che esso ha assunto nella vita quotidiana delle persone durante la pandemia, infatti, non deve diventare terreno di conflitto ma al contrario valorizzazione dell’esperienza, in cui l’internet delle cose interagisce positivamente con le cose fuori da internet. Investimenti intelligenti nella pratica digitale possono aiutare a sostenere le comunità culturali a creare un nuovo modello di storytelling, di andamento fluido tra virtuale e reale come tra passato, presente e futuro.
Conclusioni
Le conseguenze della pandemia dovranno essere governate con una visione che si dovrà misurare con i mutamenti epocali che continueranno a rimodellare il mondo nei prossimi decenni. Rispondere a questa sfida non comporterà solamente trovare soluzioni ma richiederà cambiamenti fondamentali nel modo in cui affrontiamo l’incertezza e creiamo strategie che diano forma al futuro in contesti che si modificano continuamente. Saranno perciò sempre più necessari modelli predittivi che aiutino a gestire l’incertezza e preparare risposte flessibili e adattive.
E i musei, nel prendersi cura del passato e del presente, possiedono le risposte di ciò che avrà importanza nel futuro.
Così, nell’era della massima omogeneizzazione dell’esistente, in cui la globalizzazione ha determinato la sistematica erosione delle differenze, la mercificazione e la svalutazione delle tradizioni culturali, i musei possono rappresentare frontiere di esplorazione di nuovi mondi, veri e propri luoghi di richiamo delle coscienze alla conoscenza come principale mezzo per la costruzione di capitale umano, senso di appartenenza e inclusione, spazi civici di responsabilità sociale, impegnati a studiare problemi e scoprire soluzioni, ad analizzare comportamenti e convinzioni, trovare nuovi metodi per comunicare ed educare le comunità, coinvolgere nuovi pubblici, promuovere e incoraggiare la creatività in tutte le sue forme.
Oasi del reale.