Pensare alle nostre vite online, al modo di costruire e gestire relazioni sociali e modellare la nostra identità, richiede di dare vita ad un racconto maturo, sempre più delegato alla ricerca e sempre meno a suggestioni mediali.
Dopo la scoperta dei social network da parte del mondo dell’informazione italiano – scrivo “social network” ma dovrei dire “Facebook”, che per primo ha scoperto il vaso di pandora della dimensione social – i pezzi di costume al proposito, le analisi su fatti del giorno al tempo della connessione, si moltiplicano.
È una cosa molto utile. Ed è una responsabilità.
È una cosa molto utile perché le tecnologie mediali non sono oggetti della natura ma articolazioni complesse di codici culturali, di abitudini d’uso, di percezioni e credenze che si modellano socialmente a partire dalle caratteristiche tecniche possedute e dalle possibilità che racchiudono (anche non espresse chiaramente, ad esempio dal marketing). Quindi la “tecnologia immaginata” è il modo che abbiamo per calare nel contesto quotidiano l’innovazione e tentare di normalizzarla rendendola familiare e vicina a noi.
E allo stesso tempo divulgare le tecnologie nuove, delinearne possibili profili e sviluppi, immaginare i mondi che schiuderanno e chiuderanno è una responsabilità sociale. I giornalisti, come gli scrittori, i registi, gli artisti, ecc. sviluppano narrazioni che, da una parte rappresentano, dall’altra costruiscono il senso comune delle tecnologie.
Nel nostro caso il “senso comune sui social network”.
Il racconto maturo che dobbiamo costruire oggi, il senso comune con cui affrontare la narrazione sul nostro stare online, passa anche dai mutamenti sia tecnologici che culturali sviluppatisi in pochissimi anni.
Gli italiani, ad esempio, non “vanno” più su Facebook, non si tratta di accedere attraverso un browser alla propria pagina, magari loggandosi e sloggandosi continuamente del PC dell’ufficio. Facebook è sempre più quella cosa che ti vibra in tasca quando arriva una notifica, si inserisce negli interstizi della quotidianità, nei luoghi, nelle conversazioni, nei momenti “fra questo e quello”. Facebook è un gesto di condivisione di una foto con i friend, per raccontare un’esperienza che stai vivendo, magari con loro. È memoria a portata di mano in una timeline; è chattare invece di telefonarsi, e magari farlo in gruppo. Ci serve per auto organizzarci, che si tratti di una manifestazione politica o del calcetto settimanale.
Eppure assistiamo ad un racconto mediale delle nostre vite con Facebook che spesso ci presenta i casi estremi o gli “strano ma vero”, le devianze e gli hate speech, il sexting e il cyberbullismo… tutte realtà esistenti e che sapremo affrontare in modo più consapevole se le inquadreremo nel modo più corretto, attraverso le strategie comunicative ed il senso che attribuiamo al nostro stare su Facebook.
Per capire questo “senso” nella ricerca Relazioni sociali ed identità in Rete: vissuti e narrazioni degli italiani nei siti di social network abbiamo realizzato 120 interviste in profondità, utilizzando un campionamento per quote rappresentative della penetrazione di Facebook in Italia (a partire dai dati disponibili nella piattaforma di advertising) sulla base delle variabili di genere, fascia di età e categoria lavorativa. Tali quote sono poi state distribuite in maniera uniforme tra nord, centro e sud Italia e centro/periferia.
Dalle biografie d’uso è possibile comprendere che gli italiani stanno imparando a cogliere le vere opportunità offerte da un social network come Facebook: quello di essere uno spazio di riflessività connessa sul senso dell’amicizia e sul valore dei legami sociali, sulla necessità di preservare la propria sfera privata e l’opportunità offerta di raccontarsi in pubblico.
E quello che conta è la storia biografica degli utenti e della piattaforma, più che variabili generazionali o territoriali.
Da una parte Facebook è una piattaforma che ha avuto una propria evoluzione interna e strutturale in termini di nuove funzionalità, servizi, app: da questo punto di vista i soggetti intervistati mostrano chiaramente di avere la percezione di essere di fronte a un servizio che si è modificato e del quale in alcuni casi si sono apprezzati i cambiamenti e in altri si è cercato di resistervi. Il risultato è, nella rappresentazione dei soggetti, di essere di fronte ad uno strumento in evoluzione e di cui, giorno per giorno, bisogna comprenderne le logiche (spesso attraverso la visione delle pratiche messe in campo dagli altri).
Dall’altra parte, per un numero considerevole di soggetti, sono passati diversi anni dall’adozione di Facebook: la tematizzazione dell’evoluzione dell’uso di Facebook si accompagna spesso a significativi eventi biografici o a una generale maturazione ed evoluzione nella propria vita. Per esempio, per molti soggetti, la rete delle amicizie e dei contatti (in termini di ampiezza) essendosi ormai consolidata, tende ad allargarsi solo in occasione di particolari momenti-soglia (nuova scuola, nuovo lavoro, nuovo hobby).
Insomma l’evoluzione biografica dei soggetti intervistati, sia per la loro storia su Facebook in quanto utenti di un servizio ma anche in quanto storia personale gli consente di vivere con sempre maggior chiarezza il senso della propria posizione in Rete.
Approfondiremo la prossima settimana con un articolo con una mappa per orientarsi sul modo di abitare Facebook degli italiani.