L’avvento delle tecnologie digitali ha trasformato irrevocabilmente numerosi aspetti della vita quotidiana, e la sessualità non fa eccezione. Oggi, fenomeni come il digital sex, il synthetic sex e il virtual sex stanno ridefinendo le esperienze intime in modi fino a pochi anni fa inimmaginabili, spingendo gli studiosi a esplorare nuove frontiere nell’intersezione tra desiderio umano e innovazione tecnologica.
Questa evoluzione ha trovato spazio anche nel mondo del cinema, come dimostra il film ‘Her’, che esplora la complessa relazione tra un uomo e un’intelligenza artificiale.
La lezione del film “Her” di Spike Jonze
Her (lei), film del 2013 di Spike Jonze, è senza dubbio uno dei film che ha maggiormente sollevato alcune domande sul rapporto contemporaneo tra sessualità, affettività e tecnologie digitali.
In questa pellicola si racconta la storia di Theodore Twombly (Joaquin Phoenix) che, colpito da un divorzio dal quale ha difficoltà a riprendersi, comincia a diventare sempre più solitario e intristito, fino a chiudersi in un mondo tutto suo fatto di lavoro e svaghi tecnologici.
Ad un certo punto Theodore decide di acquistare un particolare sistema operativo – OS1 – in grado di interagire attivamente e di adattarsi all’esigenze dell’utente. Il sistema operativo, auto-identificatosi come Samantha, interagisce con lui attraverso una voce sensuale di donna (nel film interpretata da Scarlett Johansson) con cui Theodore si rivolge in maniera sempre più intima, prima come sua segretaria, poi come amica ed infine come amante. Tale ultimo aspetto prenderà il sopravvento, tanto che nel film c’è una scena piuttosto “esplicita” in cui Theodore si abbandona ad un rapporto sessuale con Samantha.
Quello che rende questo film molto interessante – e per certi versi illuminante – è l’estrema verosimiglianza della situazione amorosa e sessuale. Per quanto strano e vagamente eccentrico, il rapporto tra Theodore e Samantha risulta assolutamente plausibile: non è un caso, infatti, che la pellicola abbia ricevuto un Oscar per la miglior sceneggiatura originale.
La resistenza di fronte alla sessualità esercitata attraverso le tecnologie digitali
La dimensione della sessualità esercitata attraverso le tecnologie digitali solitamente solleva due reazioni piuttosto distinte, ma entrambe di resistenza.
La prima è la resistenza emotiva. In pratica si parte dal presupposto che la sessualità sia un rapporto che è caratterizzato dalla presenza del corpo e che pertanto richiede una relazione fisica fra adulti consenzienti. Inserire la dimensione del digitale in questa relazione potrebbe far immaginare scenari più vicini alla pornografia, ovvero alla rappresentazione dell’atto sessuale, che alla relazione sessuale, ovvero la performance sessuale in quanto tale.
La seconda reazione è di resistenza culturale verso il digitale. In pratica il digitale è percepito come artificiale, innaturale. Inserire in tale percezione la dimensione della relazione sessuale ha come effetto quello di provocare una sensazione di finzione, ovvero considerare una relazione sessuale digitale come qualcosa di profondamente non umano, al limite qualcosa che andrebbe rubricato come parafilia, alla stregua di pratiche come il feticismo.
Digitale e sessualità: la prospettiva sociologica
In realtà se consideriamo la prospettiva sociologica che mette insieme relazione, immaginario e cultura, la questione è un po’ più complessa.
La dimensione digitale, associata alla sessualità, ha innescato un nuovo orizzonte di rapporti sociali con cui è necessario fare i conti per evitare incomprensioni, in una condizione che potremmo definire di mutazione antropologica.
La relazione sessuale come interazione sociale
Per chiarire questo punto, proviamo ad analizzare la relazione sessuale come interazione sociale.
Come molte tipologie di rapporti sociali, anche la sessualità è frutto di una relazione fra adulti. Questa forma di relazione ha un preciso patto comunicativo che è rappresentato dal consenso. Si ha una relazione sessuale se c’è consenso fra chi è coinvolto in questo rapporto.
Questa interazione sociale può essere scomposta in tre componenti.
La prima componente è il desiderio, che afferisce alla sfera simbolica e che può essere esemplificata dal concetto di pulsione freudiana: la traduzione psicologica di uno stimolo legato al corpo.
La seconda componente è l’immaginario, che fa riferimento alla sfera culturale, e che prende le forme delle esperienze sociali. È l’immaginario che distingue il sesso dall’erotismo: il sesso è l’atto fisico, l’erotismo sono le forme attraverso cui le pulsioni prendono forma (abbigliamento, comportamento, linguaggio eccetera). Da qui la battuta di quel comico che diceva che l’organo sessuale più grande dell’uomo è il cervello.
La terza componente è sicuramente l’atto sessuale in sé che prende le forme di un’interazione basata sul corpo e sulla dimensione della corporeità.
Desiderio, immaginario e corpo sono le tre componenti che costituiscono quella particolare interazione sociale che chiamiamo rapporto sessuale.
Come si inserisce il digitale nel rapporto sessuale
A questo punto diventa opportuno chiedersi: come si inserisce il digitale in questa situazione?
Al momento il digitale non impatta sulla dimensione corporea, nonostante i discorsi che è possibile trovare in rete sulla possibilità di fare sesso a distanza attraverso tecnologie digitali come la realtà virtuale immersiva. C’è chi ha coniato un termine specifico per esprimere questa situazione che è teledildonics, reso celebre da Howard Rheingold (1991), ma che solo recentemente sta producendo una serie di riflessioni (Liberati 2017, Faustino 2018).
Quello su cui il digitale esercita un’influenza è su desiderio e immaginario. Il primo perché introduce nuovi oggetti del desiderio, pensiamo per esempio a pratiche come il sexting, ovvero la possibilità di flirtare attraverso i messaggi di una chat. Il secondo perché anche il digitale fa parte dell’esperienza culturale e in quanto tale coinvolto inevitabilmente nella relazione sessuale.
Le tre forme emergenti di relazione sessuale digitale
Per questo motivo – e per amor di schematizzazione – possiamo distinguere le forme emergenti di relazione sessuale digitale in tre grossi ambiti: il digital sex, il synthetic sex, il virtual sex.
Il digital sex
Con il termine digital sex possiamo considerare le conseguenze che il digitale ha sullo sguardo, componente imprescindibile del desiderio. In questo caso si sfiora il tema della pornografia digitale, con una importante differenza: spesso gli oggetti dello sguardo desiderante non sono esseri umani ma rappresentazioni digitali. Emblematico da questo punto di vista il caso delle sexfluencer, ovvero delle influencer che agiscono nelle piattaforme social – prevalentemente Instagram – che si mostrano in atteggiamenti provocanti ed erotici, ma sono costituite da immagini create al computer, spesso con l’intelligenza artificiale (Sisto 2023, Bennato 2024).
È il caso di Cl4udia, la sexy modella nata su Reddit, creata per scherzo da due studenti americani, che si è trasformata in una fonte di business quando gli utenti hanno cominciato a chiedere le sue foto, pur consapevoli della sua natura artificiale.
Oppure il caso di Mila Sofia, influencer finlandese da 163 mila follower su Instagram, specializzata in lingerie.
Per spiegare sociologicamente questo particolare fenomeno, è utile richiamarsi al concetto di “male gaze” o “sguardo maschile”. Questo termine, ampiamente utilizzato nella critica femminista, è stato introdotto da Laura Mulvey (1975). Il “male gaze” descrive il modo in cui i media e la cultura popolare tendono a narrare e rappresentare l’universo femminile unicamente attraverso una prospettiva maschile. Questo sguardo maschile oggettifica le donne, riducendole a meri oggetti sessuali piuttosto che riconoscerle come soggetti autonomi e complessi. La teoria del “male gaze” sottolinea come la rappresentazione delle donne nei media – anche nei media digitali – sia spesso distorta, riflettendo i desideri e le fantasie degli uomini piuttosto che le realtà e le esperienze delle donne stesse. Questo approccio critico permette di comprendere meglio le dinamiche di potere sottese alla produzione culturale e di mettere in luce le disuguaglianze di genere perpetuate attraverso queste rappresentazioni.
Il synthetic sex
Il termine synthetic sex enfatizza la componente interattiva, ovvero la possibilità di interagire con simulacri di corpi sessualizzati, da cui l’aggettivo “sintetico”. La versione più radicale di questa condizione è il caso Lumidolls, la “casa di appuntamenti” nata a Torino nel 2018, dopo una simile esperienza a Barcellona e a Mosca, in cui era possibile avere rapporti sessuali con manichini estremamente realistici all’apparenza e al tatto, anche se a ben vedere è uno scandalo scoppiato in linea di principio piuttosto che rispetto a ciò che effettivamente è accaduto. Infatti ciò che rendeva “eccentrica” la situazione era la possibilità di fare sesso con delle bambole – e bambolotti – fortemente erotizzate, che rendeva tutto piuttosto strano.
Diversa la situazione delle virtual girlfriend, ovvero dei chatbot creati con l’intelligenza artificiale che si installano sul telefonino e con le quali è possibile avere conversazioni erotiche. Molte aziende negli ultimi anni hanno lanciato quelle che per comodità vengono chiamante “fidanzate virtuali” e che rappresentano un’importante nicchia di mercato nel mondo delle sexy app.
Per comprendere sociologicamente questa forma di interazione sessuale, può essere utile considerare l’effetto Eliza, un principio identificato nel 1966 durante lo sviluppo dei primi chatbot dotati di intelligenza artificiale (Weizenbaum 1976). L’effetto Eliza si riferisce alla tendenza degli esseri umani ad attribuire a un sistema artificiale, come un chatbot, un livello di intelligenza o emotività superiore a quello effettivamente posseduto dal sistema stesso. Questo fenomeno è stato analizzato da Joseph Weizenbaum nel 1976, il quale ha notato che le persone tendevano a interpretare le risposte fornite dal programma Eliza come se fossero generate da un’entità intelligente e comprensiva, nonostante il software fosse in realtà piuttosto semplice e basato su regole predeterminate. L’effetto Eliza mette in luce la predisposizione umana a proiettare qualità umane su macchine e algoritmi, sottolineando le implicazioni psicologiche e sociologiche di questa interazione. Questo principio ci aiuta a riflettere su come percepiamo e interagiamo con la tecnologia, evidenziando i limiti delle nostre interpretazioni e la necessità di un approccio critico. Comprendere l’effetto Eliza è fondamentale per analizzare le dinamiche tra esseri umani e sistemi artificiali, e per sviluppare una consapevolezza più profonda delle nostre aspettative e dei nostri pregiudizi nei confronti dell’intelligenza artificiale. Anche rispetto alla interazione sessuale.
Il virtual sex
Virtual sex è la condizione che enfatizza la componente esperienziale del rapporto sessuale: il sesso inteso come esperienza che coinvolge diversi aspetti come l’interazione interindividuale o la rappresentazione sociale. Ancora esistono poche testimonianze di questa nuova forma esperienziale del sesso, anche perché manca la capacità culturale per riconoscerla: se una persona prova un’esperienza per la prima volta che non riesce a ricondurre ad esperienze precedenti, sarà difficile che sia in grado di comprenderla fino in fondo. In questo caso possono essere d’aiuto i comportamenti devianti, che per la loro coercitività costringono ad una classificazione forzata dell’esperienza.
Nel gennaio 2024 una ragazza inglese ha denunciato un presunto caso di stupro nel metaverso a cui sarebbe stata soggetta. In pratica il suo avatar – il personaggio digitale con cui interagiva dentro un videogioco tridimensionale attraverso un visore di realtà virtuale – è stato costretto a compiere atti sessuali contro la sua volontà, creando una situazione estremamente violenta dal punto di vista psicologico. Sicuramente questa esperienza può essere rubricata come violenza sessuale, dato che mancava la condizione principe della relazione, ovvero il consenso. Ma come interpretare l’assenza di contatto fisico? Si può ancora parlare di stupro? Potrebbe sembrare controintuitivo, ma consideriamo la questione da un altro punto di vista. L’avatar in un videogioco non è solo il doppio digitale del giocatore/trice, ma è una vera e propria estensione dell’identità del soggetto giocante. Pertanto violare l’integrità dell’avatar è violare l’identità del soggetto giocante. Quindi si può parlare – con molta cautela – di violenza sessuale.
La tematica degli atti sessuali non consenzienti in spazi digitali
La tematica degli atti sessuali non consenzienti in spazi digitali è parte della storia di internet. È il caso del famigerato stupro del cyberspazio del 1993, in cui durante un gioco online basato unicamente su scambi di messaggi di testo, un giocatore tramite un software prese possesso delle identità virtuali di altri giocatori costringendoli ad atti sessuali contro il loro consenso (Dibbell 1993).
L’effetto Proteo
La sociologia degli ambienti virtuali può essere di grande aiuto per spiegare situazioni come questa utilizzando il cosiddetto effetto Proteo (Yee, Bailenson 2007). Questo effetto si riferisce al fenomeno secondo cui le caratteristiche psicologiche dell’avatar, ovvero la rappresentazione virtuale del giocatore, influenzano lo stato d’animo e il comportamento del giocatore stesso. In altre parole, le persone tendono a percepire e vivere le esperienze dell’avatar come se fossero proprie, integrandole nella propria identità e reazioni emotive. Per esempio, se un giocatore assume il controllo di un avatar con caratteristiche fisiche o personalità particolarmente assertive e sicure di sé, può sentirsi più sicuro e assertivo anche nella vita reale.
Questo fenomeno dimostra come la scelta e l’uso di avatar non siano neutri, ma abbiano un impatto significativo sulla psicologia del giocatore. L’effetto Proteo evidenzia l’importanza delle rappresentazioni virtuali e come queste possano modellare il comportamento e la percezione di sé degli individui, rendendo necessaria una comprensione più profonda delle dinamiche psicologiche e sociali all’interno dei mondi virtuali. Analizzando l’effetto Proteo, possiamo ottenere preziose intuizioni su come le esperienze virtuali influenzano le esperienze reali, contribuendo a una maggiore consapevolezza e comprensione dell’interazione tra identità virtuale e reale.
Conclusioni
Questa veloce tassonomia è solo un tentativo di operare una classificazione delle forme emergenti di interazione sessuale che emergono grazie alle potenzialità delle tecnologie digitali. Il digitale entrando nelle relazioni sociali si presenta come un elemento trasformativo che costringe a ripensare categorie che abbiamo sempre dato per scontate.
È questa la novità eccitante per chi vuole comprendere il mondo in cui viviamo: il XX secolo ci ha abituato alla differenza fra un’esperienza (il sesso) e la sua rappresentazione (l’erotismo, la pornografia). Il XXI secolo ha fatto saltare questa dicotomia creando delle esperienze intermedie di cui ancora sappiamo molto poco.
Bibliografia
Bennato, D. (2024), L’ascesa dei virtual influencer: cosa ci dicono sul concetto di umanità, Agenda Digitale, febbraio, https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/lascesa-dei-virtual-influencer-cosa-ci-dicono-sul-concetto-di-umanita/.
Dibbell, J. (1993), A rape in cyberspace or how an evil clown, a Haitian trickster spirit, two wizards, and a cast of dozens turned a database into a society, Village Voice, December 21.
Faustino, M.J. (2018), Rebooting an Old Script by New Means: Teledildonics – The Technological Return to the ‘Coital Imperative’, Sexuality & Culture 22, pp. 243–257. https://doi.org/10.1007/s12119-017-9463-5.
Liberati, N. (2017), Teledildonics and new ways of “being in touch”: A phenomenological analysis of the use of haptic devices for intimate relations, Science and engineering ethics, 23(3), pp.801-823.
Mulvey, L. (1975), Visual Pleasure and Narrative Cinema, Screen, 16(3): 6-18.
Rheingold, H. (1991), La realtà virtuale. I mondi artificiali generati dal computer e il loro potere di trasformare la società, Baskerville, Bologna, 1993.
Sisto, D. (2023), I confini dell’umano: la tecnica, la natura, la specie, Il Mulino, Bologna.
Weizenbaum, J. (1976), Il potere del computer e la ragione umana, Edizioni del Gruppo Abele, Torino 1987.
Yee, N., Bailenson, J. (2007), The Proteus effect: The effect of transformed self-representation on behavior, Human communication research, 33(3), pp.271-290.