Come promesso si arrampicava. Il rosa era immancabile. Impeccabile. Anche oggi. Nell’alba. In attesa che diventasse giallo. Poi splendente. Nel giorno. Quindi torrido. Nel pomeriggio. Infine rosso. Viola. Nero. Freddo. Nella notte. Bera Lanslet si arrampicò. Come promesso. I rumori si risvegliavano. Assordavano. Vibravano. Suggerivano. Interloquivano. Veicolavano. Presidiavano. Scuotevano. Marcavano. Stridevano. Arrancavano. Fuggivano. Giocavano. Inseguivano. Saltavano. Aggruppavano. Rincorrevano. Acceleravano. Frenavano. Ansimavano. Inferocivano. Dileguavano. Rimpiattavano. Conducevano. Aggregavano.
Bera conosceva la salita. Come ad ogni promessa. I piedi esperti. Le scarpe dialoganti. Le ginocchia pieganti. Le spalle accorpanti. Le guance attente. Gli occhi aggrappanti. I capelli assuefatti.
Bera non faceva nessuna fatica. Nessun calcolo. Nessuna malizia. Nessun rimorso. Nessuna avidità. Nessun sospetto. Nessuna trascuratezza. Nessun dubbio. Nessuna paura.
Il bus rosso a due piani, sede di copertura della Memory Squad 11, si quietò alla fermata regolamentare. La numero 222 corrispondeva al Parco Naturale Esteso, come si chiamavano da secoli gli antichi zoo. “È qui… Si chiama Bera Lanslet” sillabò Xina Shaiira, analista del terreno e dell’ambiente, seconda in comando della squadra. “In alto… così dice il rilievo… ma non la vedo.” Il Gran Ictus Mnemonico aveva bloccato le memorie dell’intera galassia, forse tutte, solo ventiquattro ore prima. “Non posso credere che l’unica memoria rimasta sia proprio lassù, nella testa di quella Lanslet…” Xina Shaiira chiudeva gli occhi. Lottava con la polvere e il terriccio. Sollevato dal vento.
“Ho sentito! Lo sento! Un silenzio improvviso! Totale! Di tutti! Da ventiquattro ore… tutte le memorie bloccate!” si animò Kerva.
“Che è successo?… Mi sento debole… sempre più debole… da quel momento… ho paura…” sussurrò Bera.
“Noi parliamo. Noi non siamo state zittite” Kerva esplorava la pianura sotto di sé.
“Mi mancano le forze… non riesco a stringere le dita… i miei piedi tremano…” Bera non ce la faceva.
“Guardami Bera… Guardami!” ordinò Kerva.
“Vorrei essere all’altezza della tua serenità…” Bera stirava il collo. Per scongiurare la fine.
“Essere all’altezza è un esercizio di caparbietà, Bera. Tu sei caparbia. Il silenzio appartiene a quelli rimasti senza le proprie memorie. Stupide teste nate vuote.” Vibrò Kerva.
Ora il manto era giallo chiaro e scuro come il cielo.
“Continua a parlarmi, Kerva… continua… tu sei la mia grande filosofa… non voglio cadere…”
“Chiudi gli occhi Bera. Recupera tutte le tue memorie. Recupera tutte le forze…”
Kerva, la più anziana giraffa della savana, fissò Bera e guardò il sole.
(46-continua la serie. Ogni episodio è “chiuso”)