La scuola è sempre e universalmente riconosciuta come il principale fattore di emancipazione dei popoli e di costruzione delle reali prospettive di benessere e sviluppo economico di una società. Bisogna, quindi, partire dall’educazione. Fanno sorridere quelle proposte che vedono la semplice diffusione dei nuovi dispositivi digitali nelle scuole come manna per la modernizzazione del sistema educativo. Tablet e i nuovi strumenti tecnologici sono dei bellissimi gadget, ma sono investimenti inutili se non vengono inseriti in un processo formativo completamente rivisitato. Qual è il valore aggiunto della rete? È la possibilità di accedere a informazioni istantaneamente, in qualunque parte del mondo esse siano, di condividerle con altre persone ovunque esse siano e di costruire con loro una report condiviso che permette a ognuno di dare un contributo. Il risultato così sarà la somma delle competenze di tutti coloro che hanno contribuito. Questo è il valore aggiunto, questa è la vera rivoluzione!
In questo quadro, il ruolo del professore è quello naturalmente di spiegare il contenuto della lezione, ma anche quello di gestire la ricerca delle informazioni e lo scambio di opinioni tra i ragazzi della propria classe e quelli delle classi che collaborano alla costruzione del tema specifico. Il tablet o il personal computer non vengono quindi introdotti in classe come uno strumento fine solo a se stesso o per leggere le notizie, diventano invece un fondamentale e insostituibile strumento di lavoro. Allo stesso modo, è necessario uscire dalla sterile polemica tra libri convenzionali e e-book: l’obiettivo non è e non può essere quello di leggere sul e-reader quello che era prima stampato sul libro di testo, l’obiettivo è quello di utilizzare i tablet/pc per ricercare fonti certe e comporre poi in modo collaborativo un commento, una ricerca, un approfondimento, utilizzando i programmi oggi disponibili. Questo permette ai ragazzi non solo di impadronirsi delle metodologie digitali, ma anche a dialogare con le altre persone su temi concreti, utilizzando il contributo e le opinioni di tutti, per arrivare a un risultato unico e ricco delle competenze di tutti.
Altro punto nodale non meno importante riguarda l’imparare a gestire l’enorme flusso di informazioni che arriva dalla rete. Durante un seminario promosso dalla Fondazione Pubblicità Progresso all’Università Cattolica di Milano lo scorso gennaio, è stato affrontato proprio il tema dei rischi dell’information overload per i nostri studenti. Come illustrato dal Presidente di Pubblicità Progresso, Alberto Contri, il rischio è che la cattiva gestione della marea montante di input che ci arrivano quotidianamente, nell’era della iperconnettività, generi nei nostri giovani il rischio di un pensiero sempre meno strutturato e critico: il rischio della cosiddetta “costante attenzione parziale”. Il segreto sta, come documentato dalla crescita di corsi e master basati sul mixed learning nel mondo anglosassone, nell’interpretare le nuove tecnologie come strumenti di una comunicazione che deve innanzitutto essere mezzo per lo sviluppo di pensieri strutturati e articolati all’interno di un contesto sociale. Interessanti ad esempio i casi di università inglesi ed americane che, attraverso i sistemi di videoconferenza e social networking, permettono a studenti africani, grazie anche ai costi ragionevoli, di formarsi senza affrontare l’onere della migrazione. In tutto questo, però, la tecnologia e il web non diventano un mare magnum in cui pescare le risposte, ma strumenti di relazione e di rapporti diretti, se non fisici, quasi. La rete e le nuove tecnologie sono quindi una grandissima opportunità di crescita e sviluppo per la formazione dei nostri ragazzi. Sono uno strumento che gli insegnanti devono non solo essere in grado di utilizzare, ma il cui utilizzo devono essere in grado di insegnare.