l'analisi

Il test di Turing va in pensione? Le nuove sfide per un’IA più utile e pratica

Per anni, il test di Turing è stato il faro che ha indicato la via per lo sviluppo di sistemi di intelligenza artificiale sempre migliori, ma ora le varie capacità combinate dell’IA richiedono strumenti diversi. Non è più tempo di “imitation game”, ma è sempre tempo di interrogarsi su cosa voglia dire “intelligenza”

Pubblicato il 11 Giu 2021

Danilo Benedetti

Docente di tecnologie avanzate presso LUMSA

L'AI rende funzionale il lavoro senza violare la privacy

I progressi nel settore dell’intelligenza artificiale, in special modo quelli intervenuti negli ultimi 20 anni, portano alcuni a chiedersi se il Test di Turing costituisca ancore un elemento così importante per le aspettative del settore.

Lo fa ad esempio Rohit Prasad, capo del gruppo di sviluppo dell’assistente vocale di Amazon, Alexa[1].

Intelligenza artificiale sempre più efficiente: i nuovi parametri di riferimento che servono

Per comprendere le obiezioni poste da Prasad, bisogna considerare che i 70 anni trascorsi dall’articolo di Turing si sentono: Turing aveva proposto l’uso di una telescrivente per eliminare i molti vantaggi comunicativi dell’uomo rispetto a una macchina del 1950: oltre all’apparenza fisica, l’uso della voce, dei gesti, delle inflessioni quando si parla. Tutti elementi nemmeno lontanamente simulabili da un calcolatore digitale anni ’50. Oggi invece è l’interazione “via chat” a essere via via superata da capacità comunicative sempre più sofisticate: ad esempio nell’uso della voce, con cui ormai da alcuni anni interagiamo con i nostri assistenti digitali, i quali hanno anche “imparato” ad usare i nostri segnali verbali[2] (tipo gli “ehm” dei fumetti).

Perché il superamento del test di Turing è…superato

Inoltre, sono già disponibili le tecnologie che potrebbero essere usate per effettuare videocall con un avatar sintetico. Non solo, le capacità dei sistemi di Natural Language Processing di produrre scambi nella forma di domande-risposte sempre meno distinguibili da quelle fra umani sono già ora sorprendenti, così tanto da essere addirittura inquietanti.

Questi sviluppi fanno sì il superamento del test di Turing stia quietamente scomparendo dalla lista degli obiettivi di chi lavora nel settore, per due motivi apparentemente antitetici: da una parte perché le nostre aspettative si vanno orientando verso una presenza dell’IA nelle nostre vite che sia utile e pratica: quando chiediamo a Siri, Alexa o Google di fare qualcosa per noi, ci aspettiamo che la faccia e poi ci risponda con una semplice conferma, non che intavoli una conversazione. Dall’altra, anche quando interagiamo più estensivamente con questi assistenti, ad esempio quando chiediamo di leggere una storia o dialoghiamo con un call center, vogliamo sapere se chi parla è un umano o una macchina. Essere ingannati da una macchina capace di superare il test di Turing, in questo frangente, sarebbe controproducente.

L’obiettivo attuale, insomma, non è ingannare gli umani, bensì costruire strumenti che li aiutino a potenziare le proprie capacità, mettendo alla portata di tutti, e non solo degli informatici di professione, le straordinarie capacità offerte dalla tecnologia digitale.

Le nuove sfide per l’IA

Di contro, nel descrivere il test, Turing stesso aveva previsto – proprio per la logica dell’imitazione – che il computer dovesse essere programmato per “nascondere” le sue caratteristiche più salienti, ad esempio la capacità di fare calcoli complessi in frazioni di secondo o (ma questo nell’articolo di Turing non era citato) fare rapidissime ricerche su basi di dati enormi. In pratica, se nel corso del test l’esaminatore avesse chiesto, ad esempio, quanto fa 45634 per 23987, il computer avrebbe dovuto introdurre una pausa sufficientemente lunga prima di fornire il risultato, e magari ogni tanto sbagliare il conto, per “simulare” le limitazioni umane in questa particolare abilità.

Secondo Prasad questo è proprio l’opposto della direzione verso cui si muove la ricerca in questo campo, ovvero costituire l’intelligenza artificiale come il “cancello” attraverso cui l’uomo possa accedere alle straordinarie capacità offerta dalla tecnologia digitale, in modo efficiente, semplice e naturale, alla portata di tutti.

Per questo motivo negli ultimi anni sono state introdotte nuove sfide per l’IA, studiate in modo da essere allineate al raggiungimento degli obiettivi appena descritti, come ad esempio è stata la “DARPA Grand Challenge”, introdotta nel 2004, per lo sviluppo delle auto a guida autonoma.

Un esempio è il premio Alexa, introdotto nel 2016, che chiede ai sistemi in gara di conversare in modo coerente e coinvolgente per 20 minuti con gli esseri umani su una ampia gamma di argomenti, tra cui intrattenimento, sport, politica e tecnologia. Alla fine di ciascuna conversazione, è chiesto (agli umani) di assegnare un voto da 1 a 5, relativo alla “piacevolezza” della conversazione. Per vincere il premio, il sistema di IA deve non solo completare i 20 minuti di conversazione con i differenti giudici, ma deve anche ottenere un punteggio medio superiore a 4 dai suoi “conversatori” umani. Al momento la sfida è ancora in corso (il vincitore sarà proclamato nel 2022), però con la sua stessa esistenza, la gara aiuta a indirizzare la ricerca nel campo dell’intelligenza artificiale verso lo sviluppo di sistemi capaci di conversare “come un umano”, privilegiando le tecniche che consentono all’IA di mostrarsi divertente ed empatico secondo necessità, ma non nascondendo la sua natura “robotica”.

Una sfida con obiettivi analoghi, ovvero rendere l’IA sempre più “utile” nelle sue interazioni con gli esseri umani, è l’”Abstraction and Reasoning Challenge” di Kaggle (una società che produce un framework IA), che sfida i gruppi di specialisti partecipanti a sviluppare sistemi di IA capaci di risolvere esempi di ragionamento non direttamente appresi, con un premio di 5.000 $ per il primo classificato.

Queste sfide sono indirizzate a misurare e accelerare alcuni dei temi centrali nella attuale ricerca del settore: conversazione, ampiezza e profondità delle competenze, apprendimento efficiente, ragionamento per il processo decisionale ed eliminazione di pregiudizi[4].

L’intelligenza artificiale per la scrittura automatica, a che punto siamo e dove va la ricerca

Conclusioni

Insomma, il test di Turing è stato per anni il faro che ha indicato la via per lo sviluppo di sistemi di intelligenza artificiale sempre migliori, ma ora le varie capacità combinate dell’IA richiedono strumenti diversi per misurare e dirigere il progresso del settore. Inoltre, adesso che tecnologie come GTP-3 (si veda ad esempio l’articolo “L’intelligenza artificiale per la scrittura automatica, a che punto siamo e dove va la ricerca” sempre su Agenda Digitale) stanno rendendo molto plausibile la possibilità di produrre testi, anche in forma di risposta a domande, spesso indistinguibili da risposte “umane”, appaiono anche evidenti i limiti e i rischi insiti nella formulazione originale dell’”imitation game”.

La tecnologia può ingannare l’uomo circa la sua natura “artificiale”, ma chi conosce questi sistemi sa che sarebbe molto rischioso attribuire loro una capacità di discernimento di livello umano perché, ancora una volta, “copiare” una caratteristica dell’intelligenza umana – e magari superarla, come nei casi di Deep Blue o Alpha Go, per citarne solo due esempi molto noti – è un gioco a cui la tecnologia sta diventando molto capace, ma dev’essere chiaro anche il limite, molto stretto, nel quale queste imitazioni funzionano.

Pensare che un sistema artificiale, per quanto capace in un settore specifico, sia esso giocare a scacchi o simulare un dialogo umano per ingannare un interlocutore altrettanto umano, possa essere considerato “intelligente”, è un errore dalle conseguenze potenzialmente disastrose. Il che ci riporta all’articolo di Turing del 1950: cosa significa “intelligenza”?

Note

  1. Prasad, R., “The Turing Test is obsolete. It’s time to build a new barometer for AI”, FasCompany, dicembre 2020
  2. Vincent, J. “Google’s AI sounds like a human on the phone — should we be worried?”, The Verge, Maggio 2018
  3. A. M. Turing, “Can Machine Think”, Mind, Volume LIX, Issue 236, October 1950, Pages 433–460, 1 ottobre 1950.
  4. Su quest’ultimo tema, quello dei pregiudizi, specialmente di genere, ci sarebbe molto da discutere con Amazon e Apple circa la scelta di nomi e voci inizialmente solo femminili per i loro assistenti digitali.

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