L’incattivamento in rete da fenomeno occasionale e destrutturato è diventato virale e quasi sottocutaneo. Si è intensificato in particolare il legame tra hate speech e fake news. Tale rapporto non riguarda solo la pubblicazione nei social di post, ma anche e soprattutto la condivisione online che – come recita uno dei principi del Manifesto della Comunicazione non Ostile – equivale ad una assunzione di responsabilità pari alla produzione stessa di un contenuto. Più spesso, infatti, l’utente è più portato a condividere che a scrivere di suo pugno un pensiero su un tema qualsiasi, come se tale atteggiamento risultasse da un lato meno colpevolizzante e dall’altro più vicino alle proprie esigenze in rete, che si traducono quasi sempre nel recepire conferme ai propri pensieri polarizzando le proprie posizioni.
In questo scenario, la propagazione di una notizia falsa viaggia ad una velocità paragonabile – per usare un linguaggio tipico delle comunicazioni elettroniche – ad una connessione in fibra ottica a differenza della diffusione di una notizia vera che viaggia con ritmi di una banda stretta. A rilevarlo è stata una ricerca condotta dal Massachusetts Institute of Technology (Mit) che per la prima volta si è misurata sul tema, prendendo come riferimento (e come collaborazione) uno dei social più veloci ed in ascesa – specie negli Stati Uniti- quale Twitter. Grazie all’enorme mole di dati resi disponibili, i ricercatori del MIT hanno studiato i tweet e i retweet pubblicati dagli utenti dal 2006 al 2017. L’esito di tale studio ha dimostrato che le “bufale” si diffondono 6 volte più rapidamente rispetto alle notizie vere e hanno il 70% in più di probabilità di essere ritwittate, come rileva uno degli autori, Sinan Aral.
Immigrazione e fake news politiche in rete
Per riportare questa riflessione al nostro ambiente domestico, non possiamo non notare quanto un tema come l’immigrazione abbia occupato la scena della rete in misura maggiore rispetto ai media mainstream e persino di certi programmi che ne hanno fatto un elemento caratterizzante della propria linea editoriale. Tale epidemia non ha risparmiato ovviamente lo scenario politico, anche se c’è da dire che chi ha dato l’avvio a tutto questo è il nostro “sistema comunicativo”, che ovviamente ne assume la responsabilità. I contenuti televisivi sul tema dell’immigrazione sono stati un assist perfetto per la proliferazione sul web e in particolare sui social. Sembra quasi che la tv sia diventata una casa di produzione di contenuti per le piattaforme di condivisione che, specie nelle ultime elezioni, ne hanno dettato la “linea editoriale” a colpi di post, commenti e velocissime (e spesso disattente) condivisioni. La compulsiva notiziabilità di innumerevoli sbarchi, corredata di foto (spesso fake) di invasioni urbane e suburbane è lievitata negli occhi e nelle tastiere degli utenti social, con uno scatto di “generosità” comunicativa a ridosso delle elezioni. Se non dominasse una sudditanza intimidita, ispirata al politicamente corretto nei confronti di certi eccessi di potere del giornalismo italiano, si scoprirebbe che la campagna elettorale è stata influenzata da inquietanti forme di collateralismo, al punto da far ipotizzare che alcune reti e testate si siano spese come “cinghia di trasmissione” di nuove offerte politiche.
Nel corso delle settimane antecedenti al voto del 4 marzo u.s., abbiamo assistito ad un flusso continuo di attacchi incrociati tra i partiti e i loro leader. La razionalità ha lasciato il passo all’emotività. Il consenso oggi non si raggiunge più con il compimento di un ragionamento logico quanto con l’efficacia e la velocità di una réclame pubblicitaria. Come Umberto Eco ha affermato, in un suo articolo pubblicato su Repubblica nel maggio del 2004, la retorica – come tecnica di persuasione classica – tende a ottenere consenso e pertanto non può che fiorire in società libere e democratiche. Tuttavia Eco aggiunge, richiamando la favola del lupo e dell’agnello di Fedro, che esiste anche una retorica della prevaricazione: “Il lupo usa argomenti speciosi, la cui falsità sta sotto gli occhi di tutti. Talora però gli argomenti sono più sottili perché sembrano prendere come punto di partenza un’opinione compartecipata dai più, e su quella lavora, noncurante delle contraddizioni che ne seguono”.
Come si comprende, le fake news non sono certo una novità della rete ma hanno origini molto antiche. Ma allora cosa è cambiato? Anzitutto la velocità. Se prima era necessario concepire quasi strategicamente l’immissione di una notizia falsa all’interno di un discorso, oggi è possibile diffondere rapidissimamente qualsiasi tipo di notizia non vera o peggio parzialmente vera ed il gioco è fatto.
Era noto a tutti noi – sin dall’inizio di questa campagna elettorale – l’enorme influenza delle piattaforme digitali nei comportamenti sociali come la recente storia ci ha insegnato con riferimento all’elezioni americane, alla Brexit ed oggi con Cambridge Analytica.
La differenza tra elezioni 2018 e elezioni 2013 per la rete
Ma cosa è cambiato rispetto alle elezioni politiche del 2013 con specifico riferimento alla rete?
Dalla relazione annuale dell’Agcom 2013 si è rilevato che solo il 50% delle famiglie italiane, all’epoca, avevano una connessione a banda larga su cavo; tale percentuale balzava poi al 71% tra i minorenni. A distanza di 5 anni il divario digitale cd infrastrutturale si è quasi del tutto azzerato, tant’è che oggi il tema si è spostato sul versante della velocità di connessione (banda larga vs fibra). Parimenti però non è possibile affermare lo stesso per quanto riguarda il divario digitale cd culturale, ossia la profonda carenza di alfabetizzazione digitale presso gli utenti.
Tuttavia, non è del tutto vero quanto affermato da Aldo Cazzullo in un suo recente articolo pubblicato sulle pagine del Corriere della sera: “Non è stata solo la prima campagna giocata in rete, senza comizi né manifesti né confronti tv. È stata la prima elezione decisa in rete”.
La rete ha indubbiamente giocato un ruolo importante, ma di certo non esclusivo nella competizione elettorale; oggi, a ben vedere, stiamo vivendo una seconda stagione 2.0 di un impatto comunicativo disarmante ed innovativo rispetto all’offerta politica tradizionale. Con una differenza: la discesa in campo di Berlusconi fu resa nota attraverso un messaggio televisivo preregistrato dello stesso Berlusconi, della durata di 9 minuti, inviato a tutti i telegiornali delle reti televisive nazionali e diffuso il 26 gennaio 1994. Nel giro di due mesi vinse le elezioni. Il Movimento cinque stelle ha invece impiegato ben 7 anni prima di diventare la prima forza politica del paese. Ma il ragionamento sottostante è il medesimo. Se il primo comprese l’efficacia dello strumento televisivo nell’operazione di convincimento politico popolare, il secondo ha identificato vent’anni dopo nella rete la medesima forza di orientamento.
Tuttavia la rete non è stata la sola protagonista. Il web non ha affatto soppiantato la televisione nella comunicazione politica, anzi ha funzionato, per certi versi, da cassa di risonanza e viceversa. Basti pensare ai tanti servizi che i tg hanno realizzato sul tema dell’immigrazione. Tali servizi sono poi stati usati come perfetti assist per la comunicazione politica in rete ad opera della Lega e di Salvini, il quale non si è dovuto attivare in discorsi di alcun genere ma semplicemente limitarsi a condividere un prodotto già confezionato dalle tv mainstream. L’unica idea nuova del leader del Carroccio è stata, e non è affatto da sottovalutare, quella di formattare le elezioni ai quiz televisivi moderni (come l’Isola dei Famosi, il Grande Fratello, Amici etc.) con il suo “Vinci Salvini”. Siamo ormai abituati a partecipare “da casa” con il nostro televoto ad un gioco televisivo. Tale operazione di certo non ha portato nuovi voti alla Lega, ma indubbiamente ha polarizzato ancor di più le convinzioni politiche di chi votava quel partito il quale aveva per la prima volta la possibilità di vedere la propria foto “postata” sul profilo del proprio “idolo” politico, per di più a costo zero.
In conclusione, sia il web che la televisione hanno giocato un ruolo fondamentale nelle ultime elezioni politiche. Certamente diverso e complementare, ma comunque a scapito dei vecchi schemi politici tradizionali: dibattiti tra i leader, comizi in piazza, volantinaggi e manifesti per le vie delle città, hanno ceduto il passo a commenti, post, like sui social, e servizi televisivi monocolore.
Tuttavia sia il web che la televisione non hanno prodotto quell’offerta comunicativa capace di allargare le conoscenze degli elettori.
C’è da chiedersi se al posto del nobile obiettivo di connettere l’intera popolazione europea con una velocità ultra larga, non sia forse più urgente moltiplicare gli sforzi, a partire dalla scuola, per consentire a tutti di leggere meglio l’offerta comunicativa quotidiana.