Lo sfruttamento dell’immagine personale è una malpractice diffusa a tutti i livelli e non risparmia nessuno: dai personaggi del mondo dello spettacolo come Sabrina Ferilli agli sportivi come Gianni Rivera e, oggi sempre più, anche agli influencer – Khaby Lame su tutti.
Le celebrities, che appartengano all’ecosistema online o meno, si trovano dunque a dover difendere costantemente la propria immagine da chi vuole dileggiarla e/o abusarla e a essere esposte a un’ampia rosa di problematiche giuridiche.
Ma di cosa parliamo quando parliamo di diritto all’immagine, quando si verifica un abuso del consenso e quali sono i casi più eclatanti?
La nozione generale di diritto all’immagine
Ogni persona è titolare di diritti fondamentali, incoercibili, inalienabili, imprescrittibili e assoluti previsti tanto da Trattati internazionali quanto dalla nostra Carta costituzionale. Questo è l’assioma di base dell’ordinamento su cui si sorreggono e da cui derivano tutti i diritti e le libertà individuali e collettive.
Il diritto all’immagine rientra nella categoria dei diritti della personalità che, secondo autorevole dottrina, sono “diritti assoluti, inerenti ad attributi essenziali della personalità (…). È concepibile che esistano individui così poveri da non avere alcun diritto su beni del mondo esterno (diritto reale) o verso altra persona (diritto di credito), ma questi individui avranno pur sempre, per esempio, il diritto alla propria integrità fisica e al proprio nome”[1].
Nello specifico, è tutelato dall’articolo 10 c.c. il quale dispone che “qualora l’immagine di una persona o dei genitori, del coniuge o dei figli sia stata esposta o pubblicata fuori dei casi in cui l’esposizione o la pubblicazione è dalla legge consentita, ovvero con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa o dei detti congiunti, l’autorità giudiziaria, su richiesta dell’interessato, può disporre che cessi l’abuso, salvo il risarcimento dei danni.”
La norma richiamata, che descrive il comportamento vietato dalla legge, deve essere letta congiuntamente agli artt. 96 e 97 della Legge n. 633/1941 dai quali emerge che la riproduzione della propria immagine è consentita qualora vi sia il consenso dell’interessato[2] o, senza il consenso, nei casi di notorietà del soggetto ritratto, dall’ufficio ricoperto, dalla necessità di giustizia, scopi scientifici, didattici, culturali o quando la riproduzione sia collegata a fatti di interesse pubblico[3][4] o, ancora, svoltisi in pubblico. In ogni caso, però, sussiste il limite di non arrecare pregiudizio “all’onore, alla reputazione od anche al decoro della persona ritratta.” (art. 97 co. 2 L. 633/1941).
Inoltre, nell’ipotesi in cui vi sia una lesione del diritto all’immagine, il titolare dello stesso ha a disposizione tre forme di tutela: i) la tutela preventiva; ii) la restituzione; iii) il risarcimento del danno.
Il diritto in questione, pertanto, benché intrasmissibile e irrinunciabile, è parzialmente disponibile poiché il titolare può prestare il proprio consenso affinché determinati soggetti utilizzino la propria immagine.
Tra le facoltà esclusive di riprodurre, esporre e pubblicare, il titolare del diritto ha, altresì, la facoltà di mettere in commercio la propria immagine direttamente o tramite terzi, gratuitamente o in cambio di un corrispettivo in denaro.
È un meccanismo non dissimile dal diritto al nome cui non si può rinunciare (i.e. all’anagrafe resterai sempre tu), ma tramite il quale si può lucrare quando diventa un brand.
L’utilizzo della propria immagine per fini pubblicitari: uso e abuso del consenso
Tradizionalmente, chi vuole far conoscere un prodotto, un servizio o il frutto della propria opera ha una forte necessità e volontà di portarli all’attenzione del pubblico e ad una platea indefinita di soggetti.
Ebbene, la pubblicità (la divulgazione, diffusione tra il pubblico[5]) è caposaldo della diffusione di un prodotto.
Tra le modalità di pubblicità merita attenzione l’utilizzo dell’immagine di un soggetto noto (i.e. le cd. celebrities), la cui notorietà ha il compito di attirare l’attenzione di tutte le persone che lo conoscono, per generare in primo luogo un effetto di fiducia nei confronti del pubblico.
Come tutte le attività di natura commerciale, anche la pubblicità realizzata mediante l’impiego dell’immagine di terzi deve essere regolata e disciplinata da appositi accordi commerciali formalizzati in clausole contrattuali.
Tuttavia, sempre più di frequente, si assiste all’utilizzo totalmente incontrollato e non autorizzato dell’immagine di personaggi noti (soprattutto sui social network) le cui immagini vengono riprodotte abusivamente e senza che alcuna autorizzazione in tal senso sia stata concessa dal titolare, come espressamente prevedono gli artt. 96 e 97 della Legge n. 633/1941 sopra richiamati, al solo fine di conferire notorietà di un evento o di un prodotto.
Il caso di Sabrina Ferilli
Sul punto, si pensi al caso della nota attrice Sabrina Ferilli, la quale ha agito formalmente nei confronti di una nota azienda di arredamento perché gli spot in cui era protagonista sarebbero dovuti andare in onda al più per tre mesi non consecutivi, così da non danneggiare l’immagine dell’attrice – caso mai fosse rimasta troppo legata alla categoria di prodotti– e per tutelare il pubblico da una sua presenza eccessiva sul video. Al contrario, la diffusione degli spot è stata molto più consistente e l’azienda si è vista costretta a conciliare la controversia.
Si noti che, a parere di chi scrive, l’utilizzo dell’immagine di una persona nota non può a priori classificarsi come abusivo e illegittimo per il solo fatto che la riproduzione dell’immagine della stessa non sia stata autorizzata, proprio in ragione dell’esimente prevista dal cit. art. 97. La quale però deve essere adeguatamente comprovata.
Lo sfruttamento dell’immagine di Gianni Rivera
Per approfondire la questione prendiamo le mosse da un altro celebre case practice, ove un noto gruppo editoriale italiano è stato citato in giudizio dall’ex calciatore Gianni (al secolo Giovanni) Rivera a seguito di un preteso sfruttamento dell’immagine senza autorizzazione. Rivera ha lamentato alla società convenuta il reiterato e abusivo sfruttamento della propria immagine relativamente ad opere audiovisive e medaglie commemorative.
La vicenda, giunta innanzi al Supremo Collegio, è stata recentemente decisa dagli Ermellini, con ordinanza n. 19515 del 16 giugno 2022, la quale ha ribadito da un lato il campo di applicazione dell’art. 97 cit., e dall’altro ha precisato che “resta invece fuori dall’ambito dell’esimente la fotografia del personaggio ritratto in occasioni private, prive di alcun collegamento, anche indiretto, con l’attività che ha determinato la celebrità e per le quali, del tutto lecitamente, il personaggio noto ha esercitato il diritto di ammantare di riservatezza, attraverso uno jus excludendi alios, la propria sfera privata. L’esimente prevista dall’art. 97 della legge 22.4.1941 n.633, secondo cui non occorre il consenso della persona ritratta in fotografia quando, tra l’altro, la riproduzione dell’immagine è giustificata dalla notorietà o dall’ufficio pubblico coperto, ricorre non solo allorché il personaggio noto sia ripreso nell’ambito dell’attività da cui la sua notorietà è scaturita, ma anche quando la fotografia lo ritrae nello svolgimento di attività a quella accessorie o comunque connesse, fermo restando, da un lato, il rispetto della sfera privata in cui il personaggio noto ha esercitato il proprio diritto alla riservatezza, dall’altro, il divieto di sfruttamento commerciale dell’immagine altrui, da parte di terzi, al fine di pubblicizzare o propagandare, anche indirettamente, l’acquisto di beni e servizi”.
La Suprema Corte, in modo del tutto condivisibile a parere di chi scrive, ha precisato che l’esimente di cui all’art. 97 cit. non opera in maniera assoluta ma, al fine della sua applicabilità, occorre che l’immagine utilizzata sia totalmente avulsa dal contesto di notorietà e soprattutto che la stessa non venga utilizzata per finalità commerciali nell’interesse altrui (si considera sfruttamento l’utilizzo, per un evento, dell’immagine di una “madrina” presente nelle edizioni precedenti – ma assente a quello in questione – senza la preventiva autorizzazione e relativa corresponsione economica, mentre non può considerarsi tale l’utilizzo dell’immagine del vincitore di una passata edizione di un torneo sportivo, seppur assente a quella in corso).
Le condotte illecite che stanno colpendo i creator
Facendo nostri i principi giuridici e gli orientamenti giurisprudenziali sinora illustrati, vogliamo calarci nell’ambito della creator economy che, però, è bene evidenziare, non vede il proprio ciclo produttivo-organizzativo delimitato esclusivamente all’interno del contesto digitale.
Ed invero, vogliamo introdurre una malpractice denunciata da diversi influencer invitati a partecipare, sempre di più, a fiere ed eventi che sono stati pubblicizzati tramite un uso improprio dell’immagine dei primi per cartelloni, volantini, sponsorizzazioni sui social media. Iniziative che mai sono state concordate o autorizzate e che dunque non hanno avuto alcuna legittimazione da parte dei diretti interessati.
Sta di fatto però che la semplice partecipazione ad una fiera o ad un evento da parte di un influencer consente certamente agli organizzatori di inserire i primi nel relativo programma/calendario, ma non su ulteriore materiale promozionale che li veda protagonisti (es. cartelloni pubblicitari con la loro foto in primo piano), poiché trattasi in sostanza di iniziative pubblicitarie atte, a titolo esemplificativo, a migliorare i risultati in termini di ticketing, ragion per cui il creator potrebbe ben chiedere un corrispettivo economico per lo sfruttamento della propria immagine.
Il caso del profilo LinkedIn di Khaby Lame
Sotto un diverso ed ulteriore profilo, ci si è imbattuti di recente in quello che, all’apparenza, sembrava essere il primo profilo creato su LinkedIn dal noto creator Khaby Lame.
Il primo giorno aveva già totalizzato un numero di follower pari a 3.000, il secondo pari a 18.000.
A fronte di una segnalazione, l’Avvocato Riccardo Lanzo, che assiste il creator, ha chiesto alla piattaforma di chiudere il profilo in quanto “fake”.
Istintivamente, l’utente o gli utenti che l’avevano realizzato illecitamente hanno cambiato la denominazione del profilo per dare l’idea che fosse una fanpage di Khaby Lame così da non perdere i follower ottenuti, ai quali, nel frattempo, stavano già pubblicizzando prodotti e servizi, ma correttamente gli admin di LinkedIn hanno cancellato la pagina perché, ab origine, nata da un abuso ai danni di terzi.
Conclusioni
Abbiamo qui volutamente scelto di presentare inizialmente al lettore due casi emblematici (non ritraenti creatori di contenuti sul web né Influencer) di illustri personaggi provenienti dal mondo dello spettacolo (la nota attrice Sabrina Ferilli) e dal mondo del calcio (il campione Gianni Rivera) per evidenziare come lo sfruttamento dell’immagine personale sia una malpractice diffusa a tutti i livelli e non risparmi nessuno.
È allora evidente che se ne sono rimasti vittime personaggi di tale eco mediatico pur in tempi ben meno accelerati dal digitale, è facile immaginare come i cosiddetti Influencer, meno noti e meno tutelati (basti pensare alla frammentarietà del mondo social, all’assenza di un’Authority che vigila in questa direzione, all’ancora poca dignità professionale che si accorda a dette categorie nell’immaginario collettivo, alla poca notorietà mediatica di gran parte di costoro etc.), convivano quotidianamente con la paura che la loro immagine venga utilizzata da altri, con la conseguenza non solamente di non ottenere un guadagno, ma anche con il rischio di venir associati a prodotti e/o persone con le quali non si vorrebbe avere a che fare.
I creator devono costantemente difendere la propria immagine. Di recente Assoinfluencer si è trovata costretta a scrivere formalmente ad un noto programma televisivo che ha paragonato il lavoro di influencer ed escort in toni assolutamente dispregiativi.
Per non parlare dell’ultimo trend mediatico incarnato da Elisa Esposito, la “prof di cörsivœ su TikTok”, insultata in modo gravissimo sui social media per la “maschera” che si è inventata e diventata l’argomento del momento.
Note
- Torrente A. Schlesinger P., in Manuale di diritto privato, XVI edizione, 1999. ↑
- “Viola il diritto alla riservatezza e all’immagine chi pubblica le foto altrui su Facebook senza consenso” (Trib. Bari, Sez. I Civile, 7 Novembre 2019, R.G. n. 5359/2017).È quanto disposto dal Tribunale di Bari con l’accoglimento di un ricorso presentato da un uomo che aveva chiesto venissero rimosse le sue foto e quelle dei suoi figli, dal profilo Facebook della propria ex compagnaNel caso di specie, il consenso del ricorrente risultava espressamente negato, o, comunque, ne risultava comunicata la cessazione. Di tal che, il Giudice, dopo aver accolto il ricorso, ha disposto una misura di coercizione indiretta dell’adempimento dell’obbligo a norma dell’articolo 614-bis del c.p.c., condannando la donna a corrispondere una somma per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione dell’ordine di cancellazione. ↑
- “L’interesse pubblico alla diffusione di una notizia, in presenza delle condizioni legittimanti l’esercizio del diritto di cronaca, deve essere tenuto distinto da quello, affatto diverso ed al primo non sovrapponibile, riguardante la legittimità della pubblicazione o diffusione anche dell’immagine delle persone coinvolte, la cui liceità postula, giusta la disciplina complessivamente desumibile dall’art. 10 c.c., L. n. 633 del 1941, artt. 96 e 97, D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 137 ed art. 8 del codice deontologico dei giornalisti, il concreto accertamento di uno specifico ed autonomo interesse pubblico alla conoscenza delle fattezze dei protagonisti della vicenda narrata ai fini della completezza e correttezza della divulgazione della notizia, oppure il consenso delle persone ritratte, o l’esistenza delle altre condizioni eccezionali giustificative previste dall’ordinamento” (Cassazione civile sez. I, 19/02/2021, n.4477). ↑
- “In tema di diritto alla riservatezza, la presenza delle condizioni legittimanti l’esercizio del diritto di cronaca mediante la pubblicazione di un articolo, per quanto non implichi, di per sé, la legittimità della pubblicazione anche dell’immagine delle persone coinvolte, può condurre alla liceità di una tale diffusione ove esista uno specifico interesse pubblico alla identificazione immediata dei personaggi pubblici ai quali l’informazione si riferisce. Pertanto, la pubblicazione a corredo di un articolo di stampa di foto, in sé non lesive dell’onore o della reputazione, non può considerarsi integrativa dell’illecito da lesione del diritto all’immagine senza una previa, rigorosa e non atomistica valutazione in ordine alla riconducibilità anch’essa all’esercizio del diritto di cronaca” (Cassazione civile sez. I, 24/12/2020, n.29583). ↑
- Enciclopedia Treccani. ↑