Chief technology officer

Impariamo da Olivetti per la trasformazione digitale dell’azienda

La Digital Trasformation impone profondi cambiamenti alla figura del CIO che deve diventare più “creativo”, essere umanista e tecnologo insieme un po’ come Adriano Olivetti. Avere l’esperienza ma essere esploratore

Pubblicato il 15 Dic 2016

Paolino Madotto

manager esperto di innovazione, blogger e autore del podcast Radio Innovazione

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A ben guardare le discussioni intorno alla Digital Trasformation sono solo in parte intorno alla tecnologia, spesso ciò che più fa discutere è il nuovo approccio da adottare di fronte ai cambiamenti sociali che queste tecnologie determinano.

Nuove figure e professionalità irrompono nel panorama informatico come gli analisti di dati che cominciano ad essere fondamentali per elaborare ed estrarre informazioni da masse sempre più grandi di informazioni, “esperti” di IoT o altri settori che sono talmente nuovi che viene data l’etichetta di “esperto” anche a chi è alle prime armi e ci ha trascorso del tempo solo a studiare.

La figura del CIO sta cambiando sempre più verso una figura che da responsabile tecnico diventa uomo del cambiamento in azienda. Alle dirette dipendenze del CEO, è sempre meno legato a competenze tecniche, che pure deve avere, e sempre più capace di comprendere la propria organizzazione e il business aziendale.

Il CIO da una parte mantiene le competenze e capacità di governo strutturato del settore IT, con un sempre più importante capacità di erogare servizi affidabili con SLA più elevato e in tempi sempre più ridotti; dall’altra invece è sempre più una figura capace di comprendere l’ambiente sociale dove vive, il contesto esterno all’azienda, il business e, soprattutto, di sfruttare le tecnologie per supportare e migliorare tutto questo.

In questo senso la figura del “super tecnico” che fa carriera negli anni fino a raggiungere il ruolo manageriale viene sempre meno per lasciare lo spazio ad una figura ibrida che ha anche una forte dote creativa.

In una recente ricerca di Harvey Nash e KPMG condotta su 3.352 CIO a livello internazionale emerge una impostazione del tutto inconsueta della figura del CIO, il titolo del report è “The Creative CIO” e già dal titolo ci dice molto.

La formazione tecnica dunque si affianca sempre più ad un altro tipo di formazione più umanistica capace di arricchire e complementare la prima. Dalla figura dell’ingegnere preso a costruire in modo standardizzato e “rigido” ogni cosa informatica si passa alla figura dell’architetto.

Nell’edilizia esiste l’architetto che disegna i luoghi e li immagina sulla base della loro vivibilità, del loro uso, della loro funzionalità. L’architetto è una persona con competenze trasversali che vanno da quelle tecniche a quelle storiche, artistiche, design, ergonomia. Raccoglie un po’ l’accumularsi di diversi saperi sintetizzandoli e finalizzandoli.

Dopo che l’architetto ha costruito il suo disegno è compito dell’ingegnere trasformarlo in calcoli numerici, dimensionamento di dettaglio, piani e progetti, realizzazioni. Quanto più le due figure operano in interdipendenza e ognuna ha elementi e conoscenza dell’altro tanto maggiore sarà la capacità di realizzare luoghi abitabili.

Questa capacità di sintetizzare in una persona un livello di conoscenza ampio e ricco nel settore tecnologico in Italia non ci è nuova. Siamo il paese di Adriano Olivetti e di Leonardo da Vinci.

Mentre stiamo spingendo verso una sempre maggiore specializzazione, anche necessaria non vi è dubbio, emergono così nuove figure e ruoli che hanno la necessità di avere una prospettiva più ampia e aperta del dominio dei problemi.

Nuovi software per la gestione e nuovi paradigmi di machine learning cominciano anzi a farci immaginare servizi IT capaci di autoprogrammarsi o di intervenire automaticamente a rispristinare il servizio o migliorarlo sulla base degli eventi che si vengono a determinare.

La digital trasformation è dunque una sfida che il nostro settore deve saper cogliere in primo luogo, cambiare il modo in cui selezioniamo i talenti, i piani di formazione, i criteri di scelta delle persone migliori.

Cambia tutto ma forse torniamo a quando, all’inizio dell’informatica, si poteva trovare in camice bianco un laureato in filosofia o in lettere classiche che si metteva in gioco nell’informatica magari dando vita a soluzioni creative e innovative come molti altri non avevano immaginato. In questa fase di transizione i CIO hanno necessità di acquisire nuove abilità o competenze che gli consentano di reggere la sfida, di rilanciarla, di trasformare il loro lavoro per acquisire la leadership della digital trasformation.

Come sempre di fronte alle sfide una delle migliori doti è l’umiltà che consente di mettersi a studiare, farsi aiutare, reinterpretare le proprie esperienze. Soprattutto è importante possedere esperienze che aiutino a governare “la nave” nei momenti di tempesta che in ogni cambiamento avvengono, l’idea che sia meglio partire da zero convince poco. I migliori esploratori del passato non erano mai soldati alle prime armi, per approcciare al meglio anche i territori inesplorati.

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