Nell’immaginario e in molti discorsi viene esaltato il potere di manipolazione degli influencer. La domanda che ci poniamo però è: questi esercitano davvero un’influenza sociale e, se sì, come potrebbe tradursi nell’ambito della politica?
Per influenza intendiamo una forma di potere esercitata con intenzionalità su uno o più individui o soggetti collettivi, in modo personale per esempio attraverso un consiglio, oppure in modo mediato come avviene con la pubblicità. Nello specifico, come spiega il professore di Sociologia della comunicazione Tito Vagni: “l’influenza può essere intesa come alterazione di uno stato di coscienza e di conoscenza: un cambiamento dell’io. Tale impatto può essere provocato dai mezzi di comunicazione e dagli individui, come pure dai luoghi, dagli oggetti, dalle circostanze, e quindi non è solamente intenzionale, ma può essere casuale e indiretto”.
Un approccio scientifico
Per ammissione di recenti articoli sul tema, non pare vi siano studi consolidati che aiutino a comprendere come, quando e perché i social media influencer (Smi) suggestionino la percezione e incidano sul comportamento del loro pubblico.
Uno degli elementi che accomuna gli influencer, anche quelli esterni alla rete, è un certo grado di celebrità: infatti vengono anche chiamati, sempre in ossequio all’inglese internazionale, celebrity. Con la modernità anche la celebrità assume un profilo industriale al servizio del consumo di massa di beni materiali e immateriali, così nasce il fenomeno del divismo mediatico, caratterizzato da tre dimensioni.
La prima è una dimensione economica nella quale l’industria culturale (dello spettacolo) forgia prodotti per promuoverne altri sul mercato mentre la seconda, tecnologica, è rappresentata dall’ecosistema mediale. A queste si aggiunge la dimensione narrativa simbolica, che riempie i vuoti apertisi con la secolarizzazione e la fine delle metanarrazioni, come sostiene Manuel Lambertini nel libro “E le stelle non stanno a guardare. I divi, l’umanitarismo e l’uso politico della celebrità”.
Dalla loro nascita, le star hanno partecipato alla ridefinizione dei costumi e trasformazioni sociali: “partecipato”, perché è difficile misurare il peso effettivo del loro contributo sui cambiamenti e valutare se li hanno causati, accompagnati, testimoniati o rappresentati.
Inoltre, l’intrusività dei mezzi di comunicazione elettronici è stata tale da fondere sfere precedentemente separate, stravolgendo così l’autorevolezza dei politici, il ruolo dei genitori, la divisione tra i generi e la stessa separazione tra pubblico e privato: il web rappresenta semplicemente l’apoteosi di qualcosa già avviato con la radio, rimodulato nei servizi giornalistici corredati di immagini fotografiche, accelerato con la televisione.
I confini sottili che emergono
Questo scongelamento dei confini e scivolamento delle prerogative di ruolo si sono osservati anche nel rapporto bidirezionale tra politica e star system, nella fusione tra élite con potere (i politici, campioni anche di morale) e l’élite senza potere (i divi, più liberi dalla morale comune ): abbiamo infatti, assistito all’ingaggio di attori per i massimi vertici istituzionali fino ad un continuum – andata e ritorno – con il mondo dello spettacolo e con tecniche di comunicazione che apparivano estranee al mondo della politica.
Gli esempi possono essere molteplici, ma quello dell’attore Arnold Schwarzenegger merita di essere citato: non solo fu governatore della California dal 2003 al 2011, ma vanta tra i più attivi sostenitori, Rob Lowe, che aveva a sua volta interpretato il ruolo di spin doctor in una serie televisiva.
Storicamente, possiamo tracciare un momento di svolta quando, nel 1924, Edward Bernays (strettamente imparentato con Freud), per riscaldare l’identità del presidente Calvin Coolidge, portò da Broadway un treno colmo di celebrità a colazione dal presidente, presso la Casa Bianca: fotografi e radio immortalarono e propagarono l’evento, come le note di “Keep Cool and Keep Coolidge”, scritta appositamente da Bernays e cantata da Al Jolson.
Un importante passo in avanti lo ha fatto l’Organizzazione delle nazioni unite incaricando attrici e attori famosi come ambasciatori di buona volontà, ma essere celebri rimane pur sempre elemento necessario e non sufficiente per influenzare il pubblico, soprattutto per i social media influencer.
Infatti, se distinguiamo gli influencer tra tradizionali e social media influencer, la celebrità di quest’ultimi è molto più fluttuante e ciò che rende efficace la loro comunicazione è la vicinanza al pubblico, il loro essere percepiti come persone comuni, il livello di interazione con gli utenti: questi fattori generano la sensazione di una relazione sociale con loro (relazione parasociale), a sua volta, condizione necessaria affinché esercitino davvero influenza sia nel passaparola sia nel consumo di un prodotto.
Questo di fatto rende, in percentuale sul pubblico, maggiormente efficaci gli influencer con meno follower, con i quali si riesce a comunicare di più e meglio. E se in questo flusso si innestassero discorsi e posizioni politiche, potrebbero davvero incidere?
Influencer leader politici del futuro? Attenti all’impegno senza contesto
Gli influencer nella politica
Premesso che in un sistema aperto come quello sociale è sempre molto difficile stabilire, a livello comunicativo, l’efficacia di un messaggio e ancora di più di una campagna, potendo arrivare altri stimoli indipendenti dalla comunicazione della quale vorremmo valutare l’effetto, la ricerca ci dice:
- che attraverso contenuti di qualità, i social media influencer possono generare fiducia e credibilità, fondamentale per il loro capitale reputazionale, e sviluppare così capacità di veicolare un messaggio direttamente e indirettamente attraverso chi li segue
- importare temi nell’agenda dei media (in termini però più emotivi che argomentativi, maggiormente conflittuali e polarizzanti lo scontro,) e attirare l’attenzione del mondo della politica
- riempire quel voto di sfiducia verso la politica e il mondo dell’informazione.
Potrebbero però anche incrementare forme di populismo, che non hanno come antagonisti diretti i soggetti decisori bensì i media tradizionali, e contribuire al clima generale di disintermediazione, di occupazione temporanea e frammentata di una sfera pubblica politica in crisi da parte di soggetti di nuova formazione, non espressamente o solo in maniera tangenziale rivolti a temi di impegno sociale e politico, ma con una grande potenzialità di risonanza ed effetto sul breve termine, contribuendo così alla neo forma politica definita Netflix, ovvero on demand.
Infine, se sotto l’euristica della percezione, osserviamo politici che fanno campagna anche ricorrendo a vere e proprie strategie da influencer e affidandosi, per questo, a consulenti strategici. I dati e il fermento online si sono scontrati con la realtà della procedura parlamentare:
- tra maggio e dicembre 2001 sono stati fatti due sondaggi che davano Fedez, qualora si fosse candidato all’elezioni politiche, favorito dal ventuno per cento degli Italiani e un suo ipotetico partito capace di attirare l‘otto per cento delle preferenze
- invece, l’attività online che si è generata sull’argomento relativo al disegno di Legge Zan, seppure quintuplicata in seguito alla tematizzazione di celebrità in suo appoggio (tra le quali Fedez) non ha poi portato concretamente a una legge. In concomitanza al flusso di interventi sulla questione, Renzi e Salvini avevano chiesto senza successo un incontro con Fedez.
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