La Russia ha da tempo deciso di andare verso la creazione di un’Internet autonoma e un sistema tecnologico quanto più possibile indipendente dall’Occidente.
Obiettivo adesso cruciale se vuole resistere a sanzioni e blocchi di servizi, tecnologie, componenti tecnologici occidentali a causa della guerra con l’Ucraina. Si prepara a usare invece criptovalute, un rublo digitale e ransomware per controbattere alle sanzioni finanziarie.
All’orizzonte, di fronte al mutato e sempre più teso contesto geopolitico – dominato dalle tensioni Russia-Nato – si fa sempre più concreta l’esplosione di una nuova guerra fredda digitale.
Cyberwarfare e sovranità digitale, così si è spaccata internet
Mosca e la gestione centralizzata del cyberspazio
In tale prospettiva, alla luce di quanto previsto dal Digital Economy National Program, e tenuto conto delle sollecitazioni formalizzate nella cd. “Information Security Doctrine”, proprio la Russia ha avviato una generale revisione legislativa del quadro normativo vigente per realizzare, mediante l’introduzione di sofisticati sistemi generali di controllo e di sorveglianza massiva, una gestione centralizzata del cyberspazio, a presidio delle proprie infrastrutture critiche, per cercare di prevenire il rischio di minacce suscettibili di pregiudicare la sicurezza e la stabilità dei servizi essenziali del Paese.
Al fine di proteggere la sicurezza interna del Paese, la Russia ha creato, nel rispetto di quanto previsto dalla legge “Sovereign internet“, la propria rete nazionale cosiddetta “Runet”, che opera come sistema alternativo in grado di bloccare l’accesso a servizi digitali stranieri mediante strumenti di “filtro” utilizzati per la selezione del flusso informativo veicolato online.
Non solo, pertanto, si assiste al pericolo di invasioni del territorio ucraino da parte delle truppe militari russe ma la Russia mira anche a rafforzare le proprie strutture tecnologiche per potenziare, sulla falsariga di quanto sta avvenendo militarmente, anche il proprio ambiente online contro i percepiti avversari “occidentali”. Questi ultimi sono ritenuti – anche indirettamente – responsabili di destabilizzare le dinamiche politiche interne, dando voce, attraverso l’uso massivo di piattaforme social, agli oppositori antisistema (emblematico, ad esempio, l’effetto “virale” di uno degli ultimi video di Alexei Navalny, il principale nemico interno di Putin, visualizzato 120 milioni di volte e condiviso proprio grazie a YouTube, gestito da Google, di provenienza americana).
Proprio per tale ragione, cercando di consolidare una Rete Internet russa sicura contro tutte le possibili “aggressioni” esterne connesse al ruolo amplificato delle forze di opposizione interna, il Cremlino sta intensificando gli sforzi per garantire un maggiore controllo tecnologico nazionale sul traffico virtuale che circola online. Tra le varie cose, sta imponendo ai fornitori di servizi Internet, tenuti all’iscrizione in apposito registro governativo, l’obbligo di bloccare applicazioni e filtrare i contenuti veicolati in Rete, nell’ambito di un crescente inasprimento della repressione “analogico-digitale” giustificata dall’esigenza di assicurare la protezione della sicurezza interna e la stabilità del Paese.
Da qui discende la necessità di predisporre un cyberspazio “parzialmente vincolato” che impone misure di blocco, limitazioni di accesso alle informazioni pubblicate in ambiente digitale, per garantire un maggiore controllo statale sulla sfera digitale, come difesa dalle tecniche invasive e sofisticate predisposte dalle agenzie occidentali di intelligence.
Criptovalute per sfuggire alle sanzioni finanziarie occidentali
Biden ha messo al bando banche russe e sta isolando il sistema finanziario russo, con il suo debito sovrano, da quello occidentale.
Nell’arsenale delle mosse di Putin, per controbattere, ci sono anche le criptovalute. La Russia si prepara a usare le valute digitali per aggirare i punti di controllo su cui i governi si basano – principalmente trasferimenti di denaro da parte delle banche – per bloccarne l’esecuzione.
Il governo russo sta sviluppando la propria valuta digitale della banca centrale, un cosiddetto rublo digitale che spera di utilizzare per commerciare direttamente con altri paesi disposti ad accettarlo senza prima convertirlo in dollari. E con il ransomware attori russi possono a rubare le valute digitali e a recuperare le entrate perse a causa delle sanzioni.
E mentre le transazioni di criptovaluta sono registrate sulla blockchain sottostante, rendendole trasparenti, nuovi strumenti sviluppati in Russia possono aiutare a mascherare l’origine di tali transazioni. Questo permetterebbe alle aziende di commerciare con entità russe senza essere scoperte.
C’è un precedente per questo tipo di espedienti. L’Iran e la Corea del Nord sono tra i paesi che hanno usato le valute digitali per mitigare gli effetti delle sanzioni occidentali, una tendenza che i funzionari degli Stati Uniti e delle Nazioni Unite hanno recentemente osservato. La Corea del Nord, per esempio, ha usato ransomware per rubare criptovalute per finanziare il suo programma nucleare, secondo un rapporto delle Nazioni Unite.
Nell’ottobre 2020, i rappresentanti della banca centrale della Russia hanno detto a un giornale di Mosca che il nuovo “rublo digitale” avrebbe reso il paese meno dipendente dagli Stati Uniti e meglio in grado di resistere alle sanzioni. Permetterebbe alle entità russe di condurre transazioni al di fuori del sistema bancario internazionale con qualsiasi paese disposto a commerciare in valuta digitale.
La Russia potrebbe trovare partner disponibili in altre nazioni bersaglio delle sanzioni statunitensi, tra cui l’Iran, che stanno anche sviluppando valute digitali sostenute dal governo. La Cina, il più grande partner commerciale della Russia sia nelle importazioni che nelle esportazioni secondo la Banca Mondiale, ha già lanciato la propria valuta digitale della banca centrale. Il leader del paese, Xi Jinping, ha recentemente descritto la relazione della Cina con la Russia come “senza limiti”.
I fondi illegali sono anche fluiti in Russia attraverso un mercato del dark web chiamato Hydra, che è alimentato da criptovalute e ha gestito più di 1 miliardo di dollari di vendite nel 2020, secondo Chainalysis. Le regole severe della piattaforma – i venditori sono autorizzati a liquidare criptovalute solo attraverso alcuni scambi regionali – hanno reso difficile per i ricercatori seguire il denaro.
La configurazione di una Rete “sovrana”: tutti i tasselli della strategia russa
La Russia ha, dunque, pianificato la configurazione di una Rete “sovrana”, basata sul funzionamento di un’infrastruttura centralizzata che mira a promuovere un modello nazionalizzato di Internet separato dalla relativa struttura globale, mediante l’attuazione di politiche di sovranità digitale che prevedono l’utilizzo di tecnologie di intercettazione e di archiviazione dei dati online, espressione di un vero e proprio “Grande Firewall” volto alla costruzione di un quadro giuridico che prevede la costruzione dell’infrastruttura tecnologica, al fine di bloccare il traffico Internet in entrata e in uscita dal Paese ogni volta che il governo lo ritiene necessario e/o facilitare la relativa disconnessione (emblematica, in tal senso, la tecnologia “deep packet inspection”, utilizzata come sistema di controllo centralizzato in grado di limitare o bloccare il traffico da fonti specifiche).
App russe preinstallate sui device
Contestualmente alla predisposizione della legge sull’Internet sovrana, il Parlamento russo ha approvato il divieto di vendita di smartphone, computer e TV prive di alcune app russe preinstallate, anche per spingere gli utenti a scaricare applicazioni approvate dal governo che possono sorvegliare o censurare, come evidente strategia di convergenza tecnologica che mira alla realizzazione di un sistema operativo autonomo e indipendente di servizi hardware e software in grado di monitorare il flusso di informazioni online. Per le medesime ragioni, si comprende, inoltre, la mossa russa volta al potenziamento di applicazioni cruciali, come le reti di telefonia mobile, rispetto alle quali il Cremlino rimane ancora fortemente dipendente dai fornitori occidentali, e quindi vulnerabile in quanto esposto a possibili attacchi esteri, con conseguente necessità di costruire la tecnologia emergente 5G di prossima generazione solo con apparecchiature di fabbricazione russa.
Un sistema nazionale di carte di pagamento
Parimenti rilevante, nell’ambito di una generale politica industriale innovativa avviata in Russia, è la prospettata creazione di un “Sistema nazionale di carte di pagamento” da rendere obbligatorio per la maggior parte delle transazioni, al pari dello sviluppo di una versione nazionale del sistema di nomi di dominio di Internet, attualmente in costruzione, per consentire alla rete russa di funzionare anche nel caso di disconnessioni dal resto del mondo.
Alternative russe ai principali servizi consumer
Secondo Group m, il più grande acquirente di media al mondo, Yandex, una società russa che si divide il mercato della ricerca del paese con Google di Alphabet, e vk, un gigante dei social media, hanno guadagnato insieme 1,8 miliardi di dollari dalla pubblicità l’anno scorso, più della metà del mercato complessivo. vKontakte e Odnoklassniki di vk sono le alternative autoctone di app americane (Facebook, Instagram) e cinesi (Likee, TikTok) e molto più usate dei rivali in madrepatria.
Questo sistema diversificato è ovviamente meno vulnerabile alle sanzioni. Far smettere Alphabet e Meta di offrire YouTube e WhatsApp, rispettivamente, in Russia renderebbe molto più difficile per l’America lanciare le proprie sortite nel cyberspazio russo. Così come disabilitare l’internet russo al livello più profondo di protocolli e connettività. Tutto questo potrebbe spingere i russi a usare di più le offerte nazionali, il che farebbe comodo a Putin.
Come in Cina, la Russia sta vedendo l’ascesa delle “super-app”, pacchetti di servizi digitali in cui essere locali ha senso. Yandex non è solo un motore di ricerca. Offre ride-hailing, consegna di cibo, musica in streaming, un assistente digitale, cloud computing e, un giorno, auto a guida autonoma. Sber, il più grande prestatore russo, sta puntando a un simile “ecosistema” di servizi, cercando di trasformare la banca in un conglomerato tecnologico. Solo nella prima metà del 2021 ha investito 1 miliardo di dollari nello sforzo, nell’ordine di quello che le grandi banche europee spendono in tecnologia dell’informazione.
I limiti dell’autarchia digitale russa
Ma la Russia è in ritardo su molti fronti.
Anche se la Russia ha alcune aziende degne di nota nei settori digitali- Baikal e Mikron nei semiconduttori, Abbyy e Kaspersky nel software – per la maggior parte le aziende e le agenzie governative preferiscono prodotti e servizi occidentali. La quota delle aziende russe nel mercato dei semiconduttori era meno dell’1% del totale globale nel 2020, secondo l’Emis, un fornitore di dati. Nei server e nel software aziendale la situazione è molto simile.
Come l’Europa, la Russia sta perseguendo una politica di indipendenza tecnologica sui chip, con fabbriche di produzione, ma è ancora indietro.
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Per applicazioni cruciali come le reti di telefonia mobile, la Russia rimane altamente dipendente dai fornitori occidentali, come Cisco, Ericsson e Nokia. Poiché questo è visto come lasciare la Russia aperta agli attacchi dall’estero, il ministero dell’industria, sostenuto da Rostec, un gigante statale di armi e tecnologia, sta spingendo affinché le reti 5g di prossima generazione siano costruite solo con attrezzature di fabbricazione russa. L’industria delle telecomunicazioni del paese non sembra all’altezza del compito. E ci sono impedimenti interni. Le élite della sicurezza russa, i siloviki, non vogliono rinunciare alle bande di lunghezza d’onda più adatte al 5g. Ma l’unica azienda che potrebbe fornire un equipaggiamento economico che funziona su frequenze alternative è Huawei, un presunto gruppo elettronico cinese legato allo stato, di cui i siloviki diffidano tanto quanto i falchi della sicurezza in Occidente.
È a livello di hardware che la Russia è più vulnerabile. Le sanzioni che potrebbero essere sollevate se la Russia dovesse invadere l’Ucraina, probabilmente vedrebbero il paese nel suo insieme trattato come Huawei è ora dal governo americano. Qualsiasi chipmaker nel mondo che usa tecnologia sviluppata in America per progettare o fare chip per Huawei ha bisogno di una licenza di esportazione dal Dipartimento del Commercio di Washington, che di solito non arriva. Se le stesse regole sono applicate alle imprese russe, chiunque venda a loro senza licenza potrebbe rischiare di diventare il bersaglio di sanzioni. Questo vedrebbe il flusso di chip in Russia rallentare fino a un rivolo.
La diversa strategia europea sulle regole digitali
L’Unione europea, dal canto suo, sta sostenendo l’innovazione anche mediante l’erogazione di ingenti investimenti pubblici (senza però mettere in discussione il tradizionale modello gestionale della Rete fondato sullo storico primato statunitense), per tentare di realizzare la propria strategia di sovranità digitale. Questa rappresenta un prioritario obiettivo giuridico sotteso alla sempre più evidente ambizione politica europea di rappresentare una leadership alternativa alle superpotenze tecnologiche esistenti su scala globale.
Di fronte ad una generale vulnerabilità degli Stati membri esposti a possibili attacchi esterni, l’Unione europea sta cercando di assumere un ruolo di centralità rispetto al primato tecnologico duopolistico USA-Cina. Il vecchio continente non solo sta rafforzando le misure di cibersicurezza per combattere il crimine informatico mediante una pianificazione coordinata degli interventi confluita nella Strategia UE per la cibersicurezza – unitamente alla revisione della direttiva NIS 2016/1148 sulla sicurezza delle reti e dei sistemi informativi – ma sta anche spingendo sugli investimenti come traino del generale processo di riforma del settore dell’innovazione. Un processo che è sfociato nella regolamentazione definita in materia di protezione dei dati, sicurezza informatica e antitrust, oltre alla recente proposta di regolamento sull’Intelligenza Artificiale, come esempi dell’approccio regolatorio UE destinato ad incidere sulle future dinamiche della governance di Internet.
La regolamentazione di internet e i rischi per le democrazie
La regolamentazione di Internet rappresenta, infatti, una priorità strategica globale, di fronte, tuttavia, ad uno inedito scenario di governance dalle insidiose implicazioni evolutive, come rileva anche Freedom on the Net 2021, che sottolinea il preoccupante impatto di interventi statali sul declino globale della libertà di Internet, a causa di politiche restrittive e repressive che impongono misure di censura e di sorveglianza senza precedenti, con conseguente involuzione dei sistemi democratici sempre più esposti al rischio di derive autocratiche e autoritarie soprattutto nel contesto euro-asiatico, secondo quanto indicato anche del rapporto annuale Nations in Transit 2021: The Antidemocratic Turn, che mette in evidenza la diffusa tendenza ad esercitare il potere per reprimere il dissenso politico, come ad esempio, accade in Russia e Bielorussia (che il rapporto classifica come regimi autoritari consolidati), ove la repressione si è intensificata considerevolmente nell’ultimo anno.
Le politiche “tecno-nazionalistiche” nel mutato scenario geopolitico
In un mutato scenario geopolitico dalle problematiche ed incerte prospettive evolutive di difficile previsione, mentre diventano sempre più complesse le sfide dell’innovazione tecnologica, proliferano le politiche “tecno-nazionalistiche” degli Stati per assicurarsi il controllo del ciberspazio, come principale fattore che alimenta le “tensioni” esistenti su scala planetaria a causa di un proattivo interventismo legislativo motivato dalla necessità di salvaguardare inderogabili esigenze di sicurezza nazionale nella gestione centralizzata dei dati e nel controllo del flusso comunicativo veicolato online, da cui discende l’utilizzo massivo di strumenti di sorveglianza e strategie di intelligence da “cyberwar” per finalità antiterroristiche e contro-insurrezionali che giustificano il tracciamento computerizzato delle identità personali.
Un ecosistema tecnologico sempre più frammentato
Il confronto tra Russia ed Europa è illuminante nell’approccio alla rete.
Se l’obiettivo dell’Europa è di realizzare, anche mediante l’erogazione di ingenti investimenti pubblici la propria strategia di sovranità digitale, quello di Mosca è di creare una Rete nazionale in grado di resistere ad attacchi esterni rivolti alla sicurezza nazionale, dando vita a un’inedita frammentazione di Internet rispetto all’originaria struttura distribuita esistente.
Rispetto alla configurazione “tripolare” di Internet (distinta in una Rete autarchica di matrice statunitense finalizzata ad incentivare lo sviluppo del tessuto imprenditoriale mediante un approccio “soft”, cui si contrappone una “Rete Internet cinese”, come modello gestionale centralizzato per il perseguimento di obiettivi di sicurezza nazionale, oltre alla progressiva emersione di una “Internet europea” orientata alla promozione proattiva della concorrenza dei mercati digitali e alla protezione dei diritti degli consumatori/utenti/fruitori dei servizi telematici), si sta delineando una preoccupante frammentazione dell’ecosistema tecnologico per affermare il primato degli Stati nella propria strategia di sovranità digitale.
Prendendo atto della centralità del controllo del cyberspazio “come quinto dominio della guerra, fondamentale per le operazioni militari”, in un crescente clima di tensioni, potrebbe anche esplodere una nuova “digital cold war”, all’insegna di attacchi informatici, azioni di cyber-spionaggio e campagne di disinformazione in grado di destabilizzare la tenuta degli ordinamenti democratici.