la riflessione

Incendio a Notre-Dame ovvero l’importanza delle interfacce utente

La devastazione dell’incendio alla cattedrale di Notre Dame potrebbe essere stata in parte causata dai ritardi provocati dall’indecifrabilità del messaggio di allarme lanciato dal sistema anti incendio. Forse sarebbe bastata qualche ora di lavoro in più all’interfaccia utente per intervenire in tempo e evitare il peggio

Pubblicato il 24 Lug 2019

Giovanni Salmeri

Università degli Studi di Roma Tor Vergata

notre dame

Un articolo del New York Times, pubblicato il 16 luglio, ha gettato nuova luce, come finora non era mai accaduto, sull’incendio che ha devastato la cattedrale di Notre-Dame e che (ora lo veniamo a sapere con certezza) è arrivato ad un passo dal distruggerla completamente e anche dal provocare molte vittime (i non pochi vigili del fuoco che sono entrati nell’edificio in fiamme sapendo benissimo che le probabilità che crollasse subito dopo addosso a loro erano molto alte). La lettura dell’articolo è consigliabile a tutti, ma anche (forse soprattutto) a coloro che si occupano di informatica.

Ma andiamo con ordine. La domanda che tutti spontaneamente si sono posti è come possa essere divampato un incendio in un edificio ricoperto da un’enorme struttura di legno: proprio questa evidente vulnerabilità in un luogo di valore inestimabile non aveva spinto a creare efficienti sistemi di sicurezza? Non c’erano sistemi di allarme in grado di avvertire il minimo segno di incendio e permettere subito di dominarlo?

Anni di lavoro per generare un messaggio di allarme incomprensibile

Ora si sa che gli strumenti c’erano. Ecco però che cosa ci racconta il New York Times:

Per approntare il sistema di allarme antincendio di Notre-Dame decine di esperti hanno lavorato per sei anni, producendo alla fine migliaia di pagine di diagrammi, mappe, fogli di calcolo e contratti, secondo i documenti d’archivio trovati in una biblioteca suburbana di Parigi dal New York Times. Il risultato è stato un sistema così arcano che quando gli è toccato fare l’unica cosa che contava – avvertire «fuoco!» e dire dove – ha prodotto invece un messaggio quasi indecifrabile.

L’affermazione del giornalista lascia un po’ perplessi: che cosa c’entra il fatto che il sistema antincendio ha richiesto tanto lavoro e tanto studio, e che alla fine fosse così complesso, con l’«indecifrabilità» del suo messaggio? Procedendo nella lettura dell’articolo si capisce meglio in che cosa consisteva il problema: nel momento in cui l’incendio venne rilevato, il custode lesse su un monitor questo messaggio: «Attic Nave Sacristy ZDA-110-3-15-1 aspirating framework». Insomma, un messaggio che a stento faceva capire che cosa stava accadendo, e soprattutto che non faceva capire dove stesse accadendo.

I danni irreparabili provocati da mezz’ora di ritardo

In effetti, i primi controlli sono stati fatti in una parte completamente sbagliata (la sagrestia nominata in maniera fuorviante all’inizio!), dove non si trovò nulla di inconsueto. Prima di capire quale fosse la zona interessata e rendersi conto che era necessario chiamare i vigili del fuoco, si è impiegata circa mezz’ora. Che cosa significa mezz’ora di incendio che si propaga indisturbato in una fragile e complessa carpenteria interamente in legno? Ecco, quella sera lo abbiamo visto tutti.

Che cosa c’entra la complessità del sistema antincendio e il tempo che è stato impiegato a metterlo in opera con l’incomprensibilità del messaggio? Ovviamente niente. Semmai il problema è quello contrario: che, dopo aver impiegato sei anni per progettarlo, non è stato impiegato un giorno in più solo per rendere chiari i messaggi di allarme. Tra l’altro, pare che il guardiano quel giorno fosse un nuovo arrivato, quindi forse ancora più impreparato a decifrare quella sequenza di parole e numeri. Come poteva essere invece un messaggio chiaro? Proviamo ad ipotizzare: nessuna parola, solo un’immagine dell’edificio con un grosso simbolo di una fiamma nel punto in cui l’incendio stava cominciando. Anche un bambino lo avrebbe capito, i vigili del fuoco sarebbero stati chiamati non dopo trenta minuti, ma dopo trenta secondi, e ora non staremmo a lamentare perdite artistiche irreparabili e danni per 150 milioni di euro. Forse.

Ancor meglio: contemporaneamente all’immagine, una chiamata automatica ai vigili del fuoco, come avviene in tanti sistemi di allarme: un’interfaccia non deve mai chiedere ciò che il sistema può fare da solo (quante volte i messaggi di errore dei computer continuano ad irritarci chiedendoci di fare cose che potrebbero essere automatiche?).

L’importanza delle interfacce utente

Molti dei disastri derivano dal concatenarsi sfortunato di molte cause e dalla fatalità, probabilmente questo non fa eccezione. Tuttavia, se la ricostruzione del New York Times è giusta, non sarebbe male se esso servisse per attirare l’attenzione sulla necessità di dedicare tempo e risorse proporzionate alle interfacce utente.

Si dirà: si sta sfondando una porta aperta, in fondo gli ultimi decenni sono stati segnati proprio da un’evoluzione straordinaria nella facilità di uso dei sistemi informatici. In parte è giusto, in parte no. I problemi aperti sono ancora numerosissimi e molti nuovi se ne stanno aprendo. Si provino a leggere le recensioni delle automobili con i loro rispettivi centri di intrattenimento (sempre più complessi e spesso sempre più inutilizzabili da chi dovrebbe occuparsi di guidare). Oppure delle macchine fotografiche con i loro menù sovente incomprensibili (devi formattare una schedina? vai nei settaggi!). Oppure i racconti dell’orrore di chi vuole fare una qualche operazione nella nuova burocrazia digitale e ci mette più di prima. Oppure si vedano le facce di chi vagola davanti alle nuove macchinette del caffè con fantasmagorici enormi touch screen (io voglio un benedetto caffè, che me ne importa del goloso topping di pistacchio?). Oppure il racconto fresco del sottoscritto, che ha perso non so quanto tempo per collegare una carta di credito ad una scheda telefonica, ottenendo sempre un criptico codice di errore e un «riprova più tardi», salvo apprendere poi nei forum che la sua banale Visa non faceva parte dei circuiti accettati dall’operatore telefonico.

Il fatto è che le interfacce utente appaiono regolarmente curate solo in un caso: quando si tratta di far concludere una transazione che è vantaggiosa per chi gestisce l’interfaccia e per la quale l’utente non ha nessun dovere. Caso tipico: la perfetta interfaccia utente di Amazon, con la quale è possibile trovare e acquistare qualsiasi cosa con una facilità enorme. Un solo difettuccio nel procedimento di acquisto provocherebbe danni ingenti: Amazon lo sa. Certo, anche nelle apparecchiature che devono essere vendute al pubblico in regime di concorrenza le interfacce appaiono curate, in genere belle, «intuitive»: ma questo significa solo che sono fatte per attirare, per esempio in una pubblicità, per far dire «com’è facile da usare!» a chi le osserva rapidamente. Che questo poi significhi che davvero sono più facili da comprendere e da usare, è un altro paio di maniche: qualche volta sì, spesso no.

Se poi usciamo pure da questo terreno, la cura prestata alle interfacce è spesso nulla. Ecco, purtroppo il sistema antincendio della cattedrale di Notre-Dame rientrava in questa categoria. Se ciò che riferisce il New York Times è giusto, una volta elaborati la rete di rilevatori in tutto l’edificio e il sistema informatico che ne raccoglieva i dati, non è venuto in mente che bisognasse percorrere anche l’ultimo metro e far giungere questi dati in maniera chiara e comprensibile ad un essere umano.

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