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Competenze digitali: tutti i gap dell’Italia, dalla scuola all’agricoltura



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Il rapporto BES 2023 evidenzia come il ritardo italiano sul fronte delle competenze digitali si correli a vari fattori. Se ci focalizziamo su un settore come quello agricolo, il presupposto per la quarta rivoluzione industriale è soprattutto che gli operatori agricoli assumano una consapevolezza adeguata a governare l’utilizzo progressivo dell’innovazione tecnologica

Pubblicato il 13 giu 2024

Nello Iacono

Esperto processi di innovazione



digitale

La recente pubblicazione del rapporto BES 2023 (acronimo di “Benessere Equo e Sostenibile”) realizzato da Istat consente un’analisi del fenomeno dell’inclusione digitale in Italia collocandolo nel più ampio ambito della partecipazione alle attività culturali e delle competenze della popolazione.

Con qualche elemento che permette anche una maggiore comprensione del recente sondaggio effettuato per Adiconsum in cui si prende in esame la conoscenza dell’Intelligenza artificiale e la fiducia sulla tecnologia nel campo agroalimentare, suggerendo alcune riflessioni sul tema su cui focalizza un recente rapporto del World Economic Forum (Wef) proprio in merito alle prospettive dell’Agritech. Ma andiamo in ordine.

Il rapporto BES 2023

Il rapporto di Istat si basa su un insieme di indicatori che misurano il progresso della società non solo dal punto di vista economico, ma anche sociale e ambientale. Gli indicatori sono divisi in dodici macro temi, ma qui ci focalizziamo su due in particolare, relativi a istruzione e innovazione, dove ci sono certamente molti progressi rispetto all’anno precedente (nel complesso del BES si rileva un miglioramento in poco più della metà dei 129 indicatori confrontabili con il 2022), ma dove risulta evidente che alcuni problemi strutturali non sono ancora stati superati.

Questo emerge soprattutto per quegli indicatori per cui il gap con la media dell’Unione europea è consistente, come quelli del dominio Istruzione e formazione, dove la quota di giovani di 15-29 anni che si trovano al di fuori del contesto di istruzione e sono non occupati (NEET) è più elevata in Italia e, nonostante il divario si sia leggermente ridotto nel 2023, il valore è pari al 16,1%, rispetto all’11,2% della media dei 27 Paesi dell’Unione europea. Anche l’ambito del livello di istruzione si mantiene critico per l’Italia: nell’Ue27 hanno raggiunto un livello di istruzione terziario il 43,1% delle persone di 25-34 anni (30,6% in Italia) e anche la percentuale di persone di 25-64 anni che hanno conseguito almeno il diploma è molto più bassa di quella media europea (65,5% in Italia, rispetto al 79,8% dei Paesi dell’Ue27).

In questa situazione di complessivo e strutturale ritardo sui principali fattori che influenzano le basse competenze digitali, è strettamente correlato il dato sulle competenze digitali in Italia tra le persone di 16-74 anni (45,9% in Italia ha competenze digitali almeno di base, mentre nella media Ue27 tale quota supera il 55%) che si quantifica in oltre 24 milioni di persone a rischio di esclusione digitale e sociale.

Ulteriore conferma della stretta correlazione tra i fattori, è il dato che evidenzia come le competenze digitali siano ancora prerogativa delle persone con titolo di studio elevato. Il 78,3% delle persone di 35-54 anni con istruzione terziaria ha infatti competenze digitali almeno di base, mentre la quota scende al 25,7% tra i 35-54enni con licenza media.

Differenze simili si riscontrano anche se si considera un altro fattore strettamente correlato come la condizione occupazionale.

Un altro aspetto da considerare con attenzione, anche per la dinamica che si sta sviluppando in questi anni, è la disponibilità in famiglia di almeno un computer, con quote progressivamente minori (e bassi divari regionali), in correlazione quindi con il dato purtroppo stabile sulle competenze digitali, di cui continua infatti a essere fattore di crescita.

Aumenta di contro la connessione a Internet da casa, in correlazione positiva con l’incremento della popolazione che fa uso regolare di Internet, che sale al 77,7% nel 2023 (era 66,7% nel 2019), con una crescita più sostenuta per la popolazione dai 55 anni in su, e una conseguente riduzione dei divari generazionali sull’uso di Internet tra giovani e adulti, che invece persistono per i più anziani. Ci sono pertanto certamente più utenti Internet, con possibilità maggiori di utilizzo dei servizi digitali pubblici, che stanno aumentando. L’offerta di servizi comunali per le famiglie interamente online è infatti cresciuta: tra il 2018 e il 2022 il numero di Comuni che gestiscono interamente online l’iter per l’accesso ad almeno un servizio è raddoppiato, e allo stesso tempo si è ampliata la gamma dei servizi.

Altra importante area di analisi è quella relativa alla popolazione giovanile, dove si osserva

  • una quota di giovani di 18-24 anni che escono precocemente dal sistema di istruzione e formazione di oltre l’11% (circa 2 punti percentuali in più in Italia nel 2022 del valore medio europeo);
  • nel corso dell’anno scolastico 2022/23, quote elevate di ragazzi che frequentano il terzo e ultimo anno delle scuole secondarie di primo grado e non raggiungono la sufficienza su alcune competenze critiche (38,5% per le competenze in Italiano e 44,2% per quelle in Matematica), con prevalenza negativa delle ragazze in Matematica e in Italiano dei ragazzi e percentuali in aumento rispetto alla rilevazione del 2018/19, come anche, e non è una buona notizia, nella media degli altri Paesi.

Fa parte di questo contesto, con una significativa correlazione, lo stato sull’attività culturale della popolazione. Due aspetti possono essere considerati come significativi:

  • nel 2022 l’Italia si colloca agli ultimi posti nella Ue25 per livello di partecipazione culturale fuori casa, seguita solo da Romania e Bulgaria. Il livello di fruizione di attività quali l’andare al cinema (che però è in miglioramento e raggiunge la 12° posizione), visitare siti culturali o assistere a spettacoli dal vivo della popolazione italiana di 16 anni e più è inferiore di circa 12,7 punti percentuali rispetto alla media Ue. Si tratta di uno scenario strutturale per il nostro Paese, che anche nel 2015 evidenziava un simile ritardo;
  • per quanto riguarda la lettura di libri, nel 2022 l’Italia si colloca in terzultima posizione tra i paesi europei. Se consideriamo i giovani tra 16 e 24 anni, che notoriamente leggono di più della media della popolazione, siamo l’unico paese, insieme a Cipro, dove meno della metà dei giovani ha letto almeno un libro nel corso di un anno.

Dall’analisi delle singole regioni italiane emerge in generale un forte divario tra Centro-nord e Mezzogiorno su quasi tutti gli indicatori dell’ambito Istruzione (con valori di divario relativo intermedi, compresi tra il 15% e il 50%. ), mentre la variabilità regionale sul dominio Innovazione, ricerca e creatività non è elevata ad eccezione dell’indicatore che misura la numerosità delle domande di brevetto (dove le differenze regionali sono molto marcate)

Diffusi ritardi rispetto all’Europa si ravvisano anche nel dominio Innovazione, ricerca e creatività. Solo per fare alcuni esempi:

  • la quota di Pil investito in R&S in Italia (1,43% nel 2021) è decisamente più bassa della media Ue27 (2,27%);
  • l’incidenza dei lavoratori della conoscenza sull’occupazione totale è di 7,6 punti percentuali inferiore rispetto alla media Ue27 (25,4% nel 2022).
  • il ricorso alla formazione continua riguarda l’11,6% della popolazione di 25-64 anni residente in Italia nel 2023, 2 punti percentuali in più rispetto al 2022 e in costante crescita dal 2019, anche grazie all’uso ormai consolidato, soprattutto nella post-pandemia, della modalità online o ibrida per le lezioni. Si tratta, però, solo di circa una persona su 10. Troppo poco ancora.

Il caso della tecnologia per l’agricoltura

La situazione complessiva del livello di competenze digitali nel nostro Paese si riflette naturalmente nella percezione e nell’approccio all’utilizzo della tecnologia nei diversi contesti, sia da un punto di vista di utenti/consumatori che di lavoratori e imprenditori.

Alcuni sondaggi in ambito italiano e internazionale sono credo utili per questo approfondimento.

Come spiega il recente rapporto Wef “Agritech: shaping agriculture in emerging economies, today and tomorrow”, che si inquadra nell’iniziativa Wef Artificial Intelligence for Agriculture Innovation, che mira a far scalare le tecnologie della quarta rivoluzione industriale attraverso il partenariato pubblico-privato, mentre i progressi nel settore agrotecnologico continuano, l’adozione da parte dei piccoli proprietari terrieri e delle donne agricoltrici, due dei segmenti più vulnerabili, rimane una sfida e non è ancora realtà. Come evidenziato in un articolo di McKinsey Insight, a livello mondiale solo il 39% degli agricoltori ha adottato almeno un servizio tecnologico, con un divario significativo tra il 62% tra gli agricoltori europei e il 9% asiatici. La mancanza di chiarezza, consapevolezza e conseguente fiducia sul ritorno sull’investimento per la tecnologia è uno dei motivi principali di tassi di adozione così bassi in generale. La percezione chiaramente gioca un ruolo importante, e la percezione è correlata alle competenze possedute. Per questa stessa ragione, in presenza di un notevole divario digitale di genere, le donne agricoltrici rischiano di essere escluse dalla rivoluzione agritech, anche se le donne costituiscono il 43% della forza lavoro agricola globale.

Come sottolinea il rapporto Wef, poiché l’agritech si espande, è fondamentale che i piccoli proprietari terrieri e le donne agricoltrici siano inclusi, oppure ne risentiranno la sicurezza alimentare e i mezzi di sussistenza di milioni di persone nelle economie emergenti. Ma non solo.

Come si evince dal citato sondaggio realizzato sui consumatori italiani, sembra bassa la percezione dell’impatto delle tecnologie di Intelligenza artificiale (ad esempio, solo il 39% ritiene che possa essere a rischio di esclusione sociale chi non la conosce o non è in grado di utilizzarla, solo il 37% pensa che possa avere un impatto negativo sulla privacy), così come non è rilevante come ci si potrebbe aspettare (poco più del 50%) la quota degli intervistati che ritiene significativo l’impatto della tecnologia sul fronte agroalimentare per la qualità e la quantità dei prodotti.

Questa percezione sull’Intelligenza artificiale e sulla tecnologia in generale, chiaramente correlata al livello di competenze digitali, si riflette naturalmente sul livello di fiducia e di curiosità sull’utilizzo. E che nel settore specifico dell’agricoltura si innesta con coerenza nel quadro disegnato dal rapporto Wef.

Nel rapporto Wef il percorso che si suggerisce da intraprendere è quello in cui governi assumono il ruolo di facilitatori e offrono incentivi, sia finanziari che non finanziari, come l’accesso ai dati di qualità al fine anche di incoraggiare il settore privato a investire nell’adozione progressiva dell’agritech nella catena del valore. Partendo dalla promozione dell’adozione a livello locale della tecnologia, con servizi di supporto che potrebbero godere della fiducia degli agricoltori, aiutandoli a capire e apprezzare i vantaggi dell’agritech, spingendoli nel loro percorso di adozione della tecnologia, a partire dall’uso dei dati satellitari sulle colture seminate in un campo.

La diffusione delle tecnologie agritech deve quindi essere visto da una prospettiva macroindustriale al fine di generare valore lungo l’intera catena di fornitura, il che contribuirà a costruire resilienza, agilità, efficienza e trasparenza per il settore agricolo, sviluppando infrastrutture, politiche e programmi pubblici digitali per aumentare l’accessibilità economica dell’agritech in una logica di collaborazione multistakeholder.

Competenze e consapevolezza come condizione per la quarta rivoluzione industriale

Il presupposto per la quarta rivoluzione industriale in agricoltura è, però soprattutto, come sostiene il Wef, che gli operatori agricoli si responsabilizzino assumendo una consapevolezza adeguata a governare l’utilizzo progressivo, e coerente con le proprie esigenze, dell’innovazione tecnologica. E, aggiungo, con un’acquisizione contemporanea di consapevolezza da parte dei cittadini/utenti/consumatori.

Allo stesso tempo, il rapporto BES evidenzia chiaramente come il ritardo italiano sul fronte delle competenze digitali si correli con più fattori sociali ed educativi (ad esempio, bassi livelli di istruzione, bassa presenza di disponibilità di pc nelle famiglie, bassa partecipazione alle attività culturali) e che si associ in modo preoccupante con i bassi livelli, in regressione, delle competenze in matematica e italiano degli studenti di ultimo e penultimo anno delle scuole superiori.

Il quadro è così abbastanza chiaro: è indispensabile che la popolazione (come lavoratori e utenti/consumatori) rapidamente sviluppi l’adeguata consapevolezza acquisendo le competenze digitali necessarie. Sapendo che il percorso richiede di considerare nel suo insieme il tema delle competenze, del sistema educativo, dell’apprendimento permanente. Con un approccio necessariamente organico e capillare.

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