Che la miccia di oggi diventi l’incendio di domani. È la speranza che ora anima tutti gli attenti osservatori di questa fase del piano con cui il Governo vuole trasformare il sistema industriale italiano. Ed è anche una delle più grandi sfide che il sistema Paese ha davanti. È la partita di riuscire a svecchiarsi. Industry 4.0 si è chiamato, il piano, e ora già rinominato Impresa 4.0, per dare il senso di una nuova fase necessaria. Da miccia a incendio, appunto. Da scossa iniziale a un nuovo sistema radicato, che cambi il Paese.
È stato detto dagli esperti e addetti ai lavori convenuti all’Industry 4.0 360 Summit promosso dalla nostra testata e da Corcom. Esponenti di Confindustria e degli Osservatori del Politecnico di Milano sono d’accordo. Gli incentivi sono andati bene, il Governo vi sta facendo nella Legge di Stabilità 2018 alcune correzioni importanti, ma ora viene la parte più difficile. Toccherà ormai al nuovo Governo occuparsene e anche questa inevitabile discontinuità politica è un rischio, laddove «il piano ha bisogno soprattutto di continuità, ora che si è posta bene la struttura sui binari corretti», dice Giovanni Miragliotta, responsabile di questi temi presso gli Osservatori.
La domanda essenziale è, insomma: come far sì che non sia tutto un fuoco di paglia? Che non succeda, con gli incentivi, come con quelle diete dell’estate: pochi chili persi e subito ripresi una volta che il paziente torna a mangiare normalmente. Il punto, noto ai nutrizionisti, è che il paziente non dovrebbe più tornare a mangiare come prima. La dieta è inutile se non gli instilla una coscienza alimentare, tale per cui impara a mangiare meglio; a fare sport. Una nuova cultura, insomma, che è proprio ciò che serve anche al sistema industriale italiano per andare oltre la fase degli incentivi. Che, proprio come le diete, prima o poi finiranno.
Questo dubbio tormentoso – riusciremo a cambiare davvero e per sempre – emerge nell’inchiesta che il nostro sito ha condotto presso il mondo industriale.
Come riuscirci? “Il compito ora spetta alle aziende”, dice Miragliotta. “Il Governo dovrà continuare a monitorare la situazione, per correggere il piano alla bisogna”.
Tra i punti necessari nell’immediato traspare un forte bisogno di governance coesa, tra tutti gli attori, perché la miccia si faccia incendio. Ma se ciò che ci sembra dirimente è la trasformazione culturale, allora è il mondo della ricerca, dell’accademia, a giocare il ruolo centrale. L’obiettivo di fondo è, ricordiamo, creare competence center delle università, che collaborino con le aziende, secondo il modello dei Frauhofer tedeschi e di analoghi istituti di ricerca statunitensi. Ma, come ha detto Lorenzo Basso (PD) al convegno, ci sono resistenze perché avvenga questo. Basso non l’ha detto esplicitamente, ma fonti accademiche confermano che c’è un braccio di ferro tra università per assicurarsi un ruolo di leadership nei competence center. E questo scontro, tutto italiano, ne sta rallentando l’avvio– sebbene al convegno Francesco Cuccia, del ministero dello Sviluppo economico, ha assicurato per novembre il decreto in materia.
Consideriamo il tutto come la solita persistenza del vecchio che si accapiglia, con logiche usurate, di fronte all’arrivo di un nuovo inesorabile; un po’ come avviene da tempo sulla trasformazione digitale della PA.
Se vogliamo un bell’incendio, che si veda oltre le alpi e magari oltre oceano, dobbiamo andare oltre queste logiche. Verso una trasformazione culturale a cui la politica, le aziende e il mondo accademico credano senza riserve, né cedimenti a interessi di parte.
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