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Industry 4.0 è la speranza italiana di restare agganciata al presente

Il 2017 dovrà essere per l’Italia l’anno della nuova «evoluzione industriale», contraddistinta dallo sviluppo e dalla diffusione dell’Industria 4.0. Altrimenti per l’Italia significa l’addio alla contemporaneità. Ecco perché, in una indagine Federmeccanica

Pubblicato il 26 Gen 2017

Fabio Storchi

Presidente Federmeccanica

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L’interesse di Federmeccanica per Industry 4.0 nasce dalla volontà di comprendere un’evoluzione inarrestabile che impone agli attori economici quel “rinnovamento” culturale che è stato al centro del lungo confronto con le Organizzazioni Sindacali. Quanto sta accadendo va infatti ben al di là delle relazioni industriali e riguarda l’intera società. Il presidente del World Economic Forum, Klaus Schwab, nel gennaio scorso ha aperto i lavori del meeting di Davos, incentrato proprio sulla Quarta Rivoluzione Industriale, con queste parole: «Ci troviamo sull’orlo di una rivoluzione tecnologica che modifica profondamente il nostro modo di vivere, di lavorare e di relazionarci l’uno con l’altro. Nella sua scala, nei suoi possibili esiti e nella sua complessità rappresenterà qualche cosa che il genere umano non ha mai sperimentato in precedenza. Per quanto ci riguarda non sappiamo ancora come si dispiegherà, ma una cosa è fin d’ora certa: la risposta che dobbiamo dare deve essere condivisa e inclusiva.

In altri termini, deve coinvolgere, su scala globale, tutti gli attori economici, politici e sociali: dal pubblico al privato; dal mondo accademico alla società civile».

Uno dei fattori che enfatizza gli attuali paradigmi dello sviluppo è, senza dubbio, la velocità. I dati sono impressionanti. Soltanto venti anni fa meno dell’1% della popolazione mondiale era connesso in rete e la connessione era per lo più legata ad un cavo telefonico e ad un modem. Dieci anni dopo il 15% della popolazione mondiale era connessa. Oggi, siamo al 75%. La gran parte degli uomini e delle donne connesse vanno on line utilizzando uno smartphone, vale a dire un dispositivo che sette anni fa non esisteva. Le infrastrutture sono cresciute in qualità e capacità portando in ogni casa una rete senza fili capace di un flusso di dati incredibile e, nello stesso tempo, di connettersi con ogni angolo del mondo.

Sensori e apparecchi, usati fino a ieri solo in ambiti come l’aerospaziale sono diventati – grazie al mercato di massa – minuscoli chip dal costo irrisorio e capaci di comunicare e connettersi. Secondo alcune previsioni nel 2025 ci saranno 50 miliardi di dispositivi connessi alla rete. Le infrastrutture che hanno portato la rete in quasi ogni angolo del mondo rendono possibile conoscere la posizione in tempo reale di un materiale o di uno strumento; conoscere lo stato di un macchinario istante per istante; prevedere con accuratezza la logistica fino a dire all’acquirente di un singolo oggetto quando lo riceverà a casa. Mano a mano che le tecnologie si svilupperanno e saranno generate nuove idee, verranno create nuove imprese e nuovi prodotti.

Allo stesso tempo, vecchi prodotti potranno essere fabbricati in modo personalizzato, come fossero artigianali, ma a costi industriali e con una logistica sorprendentemente rapida e puntuale. Le risorse umane, o almeno una parte considerevole di esse, saranno sempre più qualificate e affrancate da lavori a basso valore aggiunto o ripetitivo. Le attrezzature e i macchinari diventeranno sempre più facili da utilizzare e sempre più interattivi con l’Uomo.

Tutto ciò determinerà uno straordinario balzo in avanti della produttività. Un processo evolutivo – non facile, né indolore – che permetterà di ridare slancio alle imprese, di renderle più competitive e, dunque, di offrire nuove speranze e opportunità al nostro Paese.

La consapevolezza di questi elementi ci ha spinti ad approfondire i tempi e i modi attraverso i quali le imprese italiane del nostro settore si misurano con le trasformazioni della rivoluzione digitale. Per questo abbiamo deciso di costituire una task force “Liberare l’ingegno” incaricata di investigare l’emergente realtà di Industry 4.0.

Imprenditori, manager di grandi e piccole imprese, Università di ogni parte del Paese e risorse del CNR hanno collaborato per predisporre un’indagine che non ha precedenti. Nel condurre questo lavoro ci siamo sforzati di mantenere un approccio sistematico. Per prima cosa abbiamo individuato le tecnologie e le competenze qualificanti che caratterizzano Industry 4.0; successivamente abbiamo verificato, attraverso un campione rappresentativo, lo stato delle cose in Italia. Abbiamo così ottenuto una fotografia dello stato attuale per poterlo misurare con ciò che serve. Tutto ciò configura una GAP Analysis che ci ha aiutato a definire quali provvedimenti è necessario prendere per modernizzare il sistema manifatturiero italiano. Naturalmente ci siamo concentrati anche su come e quanto Industry 4.0 cambierà il modo di lavorare. Una trasformazione che, nelle realtà più evolute, si integra già con le soluzioni di Lean Manufacturing adottate negli ultimi decenni.

Una fabbrica intelligente, infatti, è una fabbrica iperflessibile, capace cioè di adattarsi ai desideri del consumatore-utente perché dispone al suo interno di collaboratori che sanno gestire la complessità.

La risorsa umana diventa un fattore essenziale perché solo l’intelligenza e la capacità di adattamento delle persone permettono di gestire la crescente complessità. Un approccio diametralmente opposto all’automazione assoluta perseguita negli anni Ottanta, quando l’obiettivo principale era – giova ricordarlo – l’eliminazione della forza lavoro dalla produzione. L’ubriacatura ingegneristica di una fabbrica senza persone è fallita – per esempio – nel tentativo di produrre, senza successo, motori o frigoriferi. Da questa indimenticata esperienza abbiamo appreso una grande lezione: la via per attuare delle profonde riorganizzazioni produttive è lastricata non solo da gradualità, adattabilità e flessibilità, ma anche da false partenze, errori e correzioni. Ciò che oggi sperimentiamo va in questa direzione e porta con sé, dunque, maggiori consapevolezze.

La tecnologia digitale, la disponibilità di hardware e MEMS a basso costo, ha fatto si che alla velleitaria “complicazione” dell’automazione degli anni Ottanta, si sia sostituita una “complessità” governabile attraverso l’osmosi tra le soluzioni digitali e la persona. Questo è, in ultima analisi, Industry 4.0.

Tutto ciò significa un’organizzazione del lavoro meno gerarchica, con lavoratori in grado di assumersi sempre maggiori responsabilità, capaci di prendere decisioni, anche importanti, in piena autonomia. Per far questo servono le “giuste” competenze. Una necessità di cui le imprese stanno acquisendo consapevolezza.

Non parliamo di competenze tecniche specifiche, queste cambiano da impresa a impresa, ma di quelle soft skills che consentono ai nostri collaboratori di adattarsi a scenari complessi e mutevoli allo stesso tempo.

Ma tutto ciò non basta, nasceranno, infatti, nuove professionalità e nuove figure manageriali. Pensiamo al data analyst che dovrà aiutare le imprese nell’interpretare i miliardi di dati che la nuova catena digitale produrrà in continuazione. O, ancora, a chi dovrà gestire i servizi connessi con prodotti sempre più digitalizzati, anche nel rapporto con il cliente dopo che il prodotto è stato venduto.

Ciò che deve essere chiaro è che per ottenere il massimo dalle tecnologie che concorrono a formare Industry 4.0, le imprese dovranno prepararsi alla propria trasformazione digitale. Per far questo devono, sin da oggi, mettersi in cerca dei migliori talenti digitali e iniziare a progettare la propria organizzazione digitale.

Molti osservatori ipotizzano a causa di tutto ciò una drammatica perdita di posti di lavoro e guardano a Industry 4.0 come all’anticamera del licenziamento per “soppressione del posto di lavoro”. Non sarà così: il lavoro, al contrario, ci sarà. Ci sarà se realizzeremo gli investimenti in tecnologia indispensabili per aumentare la produttività dei nostri collaboratori e se ci occuperemo della loro formazione e valorizzazione. Due passaggi obbligati per rimanere competitivi. La produttività del lavoro, infatti, significa produttività dell’impresa; significa maggior redditività, maggiore crescita, maggiori investimenti e quindi creazione di nuova occupazione.

Industry 4.0 è più di una sfida, è una rivoluzione industriale della quale dobbiamo essere protagonisti. Questa è la via per consentire alle nostre imprese di intercettare il cambiamento e di non restare escluse dalle traiettorie competitive dell’industria globale.

In uno scenario come questo Federmeccanica intende agire come un “nodo intelligente”. Il nostro compito è promuovere e diffondere questa cultura dell’innovazione che rappresenta il vero driver di competitività e crescita dell’industria nazionale. Intendiamo creare una “comunità” di imprenditori e di imprese – che condividono saperi ed esperienze – per poter così diffondere le buone pratiche a beneficio di tutti.

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