Abbiamo esaminato il Piano Industria 4.0 con il contributo di un gruppo di esperti facenti parte del panel di Agendadigitale.eu (in gran parte provenienti dal mondo delle imprese e dell’università): la valutazione complessiva è mediamente positiva (in una scala 1-5 prevalgono le risposte sul 3-4) tranne pochi temi sui quali prevale un giudizio negativo: governance, semplificazione normativa, costruzione delle condizioni per ecosistemi di innovazione. Sono però tante le osservazioni per il miglioramento del Piano e le integrazioni che si ritengono necessarie, anche in termini di dimensioni di impresa coperte adeguatamente, dove risalta la mancanza di un’appropriata attenzione per le PMI.
Un Piano che viene visto positivamente e preso come esempio da imitare per la definizione di piani industriali strategici anche in altri settori, come il Turismo e l’ICT.
Ma andiamo per ordine sui temi affrontati.
Governance
Su questo tema (per cui sono più numerosi i giudizi negativi) sono diverse le integrazioni proposte, anche se prevale una valutazione di attesa per capire se il Piano si dimostrerà efficace. Tra le principali modifiche indicate dai nostri esperti riportiamo:
- costituire una governance multistakeholder. Industria 4.0 è una politica essenziale per il rilancio del nostro sistema produttivo e va trattata al massimo livello. La sede giusta è la Presidenza del Consiglio, dove è possibile farla diventare politica economica, coordinandone le esigenze e gli effetti per il sistema Paese, dove il tema dell’innovazione riguarda le imprese, le Pubbliche Amministrazioni e i cittadini. Va realizzata la governance con un Comitato di Ministri affiancato dai rappresentanti delle imprese e società civile. In questo senso, dare più spazio a soluzioni miste: Public Private Participation. In Germania la governance è condivisa fra Governo, Banche e Privati/Industriali;
- operare una maggiore focalizzazione degli incentivi (al momento la lista è troppo ampia) e dei soggetti coinvolti nel coordinamento;
- definire con maggiore precisione gli strumenti che si intendono utilizzare per il cambiamento.
È il tema su cui avevo anche espresso le maggiori perplessità, per un ruolo non adeguato attribuito ai territori, dove è invece cruciale abilitare e innestare i processi di innovazione.
Strumenti di intervento per gli investimenti innovativi
Su questo tema sono più numerosi i giudizi positivi, ma sono ugualmente importanti le integrazioni proposte all’attuale piano. Tra le principali modifiche indicate dai nostri esperti riportiamo:
- prevedere l’iperammortamento sia per l’hardware (i macchinari intelligenti) che per il software (l’intelligenza di sistema), altrimenti il rischio è che venga privilegiato il primo perdendo l’effetto di filiera digitale innovativa che il Piano stesso intende raggiungere;
- delimitare e focalizzare di più la definizione di investimento innovativo;
- spingere ancora di più sulla defiscalizzazione degli investimenti innovativi;
- dare più spazio alla trasformazione che alla ricerca, poiché la ricerca è utile ma la nostra manifattura è leggera e ha bisogno di usare subito tutte le tecnologie disponibili, per trasformarsi velocemente;
- allargare la platea degli interventi a sostegno delle PMI.
Sulla tipologia degli interventi (nel Piano in gran parte basati sugli incentivi fiscali) non c’è sempre accordo tra gli esperti. In alcuni casi si precisa come sia invece importante realizzare interventi mirati di nuova politica industriale e un impegno diretto dello Stato per il lancio di iniziative pubblico/private.
Da questo punto di vista risale in primo piano la questione principe sulla scelta del posizionamento dello Stato esclusivamente (o quasi) come abilitatore (è il principale orientamento del Piano) o come attore protagonista della trasformazione e quindi con la responsabilità di indicare delle direzioni di sviluppo e di creare delle condizioni perché questo possa accadere.
Una questione che viene affrontata dai nostri esperti con queste valutazioni sulla validità degli strumenti di supporto pubblici identificati:
- di fatto, i limiti di bilancio non consentono interventi di incentivazione pubblica all’innovazione. Per superare il problema, gli investimenti su Industria 4.0 andrebbero esclusi dal patto di stabilità e di crescita che non solo penalizza la crescita ma rischia di minare la stabilità;
- qualche azione “verticale” sarebbe utile, premiando magari una decina di progetti di filiera, con un monitoraggio e un coinvolgimento del MISE significativo e in discontinuità con il passato.
Competenze
Continuo a pensare che il nodo principale da sciogliere per avviare uno sviluppo duraturo sia quello relativo alle competenze, che continua ad essere affrontato (anche nel Piano) in modo non organico e non profondo. Le valutazioni dei nostri esperti sul trattamento di questo tema nel Piano sono prevalentemente positive, anche se sono presenti giudizi molto negativi. Se da una parte si chiede di andare rapidamente alla realizzazione dei centri di eccellenza e competenza ipotizzati, con maggior dettaglio sono queste le principali integrazioni proposte:
- gran parte del ritardo di innovazione digitale è da attribuire alla mancanza di skill e professionalità adeguate. Nel Piano industria 4.0 la componente legata alla crescita delle competenze andrebbe considerata in maniera più significativa e messo a punto un piano di formazione a tutti i livelli per le imprese (soprattutto PMI), Pubbliche Amministrazioni e cittadini, piano che ancora manca. E poiché lo sviluppo delle competenze è uno fra gli aspetti più strategici per il processo innovativo, occorre una maggiore disponibilità finanziaria per l’investimento in materia di competenze;
- manca un vero piano integrato scuola/impresa/famiglia. Si continua ad intervenire settorialmente e questo significa metodologie e obiettivi diversi. Bisognerebbe sostenere i processi più che i macchinari e andare verso una scuola più moderna e verso curricula universitari più coerenti con ciò che il mondo del lavoro chiede. Tuttavia la rivoluzione che stiamo vivendo è culturale e riguarda tutte le imprese, soprattutto le più piccole, il cui futuro e competitività si gioca oggi. È oggi che dobbiamo cambiare passo e questa svolta non va solo incentivata, va costruita.
Infrastrutture abilitanti
Sul fronte delle infrastrutture abilitanti prevalgono leggermente le valutazioni positive, anche se poi le integrazioni proposte evidenziano uno spettro di ulteriore intervento ancora molto ampio. In particolare le proposte principali sono:
- bisogna stimolare le infrastrutture immateriali creando piattaforme aperte e interoperabili nei diversi ambiti applicativi (sanità, education, giustizia, ecc.) non dimenticando quelli dei servizi al cittadino;
- il piano banda ultralarga (la cui impostazione sulle aree bianche con intervento statale viene anche criticata) tiene ancora poco in considerazione la localizzazione delle imprese. In alcuni casi i tempi per la realizzazione delle infrastrutture sono troppo lunghi per le PMI;
- il piano industria 4.0 è ancora troppo legato alle applicazioni “verticali” e poco allo sviluppo di componenti infrastrutturali “orizzontali” che sono invece essenziali anche per la generalizzazione delle soluzioni ed il riuso;
- il Piano è troppo sbilanciato sulla Banda Ultra Larga rispetto al 5G e altre tecnologie mobile che per un paese così vecchio e difficile da infrastrutturare potrebbero essere maggiormente considerate.
Ostacoli da superare
La valutazione principalmente positiva, anche se, come abbiamo rilevato, sono presenti diverse proposte di integrazione e miglioramento, fa sì che la richiesta principale sia di fare in fretta, attuarlo rapidamente. Su questo fronte vengono identificati più potenziali ostacoli, soprattutto relativi al cambiamento culturale necessario. Con maggior dettaglio sono identificati come principali ostacoli:
- la cultura tradizionale del sistema manifatturiero basato soprattutto sulle PMI, in cui non c’è ancora consapevolezza del ruolo fondamentale che oggi riveste l’economia globale e digitale dove la qualità è solo uno dei fattori per affermarsi sui mercati internazionali;
- le resistenze nella Pubblica Amministrazione;
- la cultura attuale degli imprenditori, che dovrà cambiare per poter adottare adeguati modelli di business plan per la valutazione degli investimenti, ma anche per rendere il progetto Industria 4.0 un progetto interdisciplinare;
- la granularità delle azioni che, se troppo piccola, rischia di non determinare l’impatto necessario per avviare e sostenere l’effetto “volano”. Bisogna individuare azioni specifiche e strategiche da sostenere con il massimo impegno, polarizzando su di esse finanziamenti adeguati;
- Il Codice degli Appalti e tutte le normative bloccanti, che non aiutano la veloce attuazione;
- la possibilità che il governo si convinca che l’innovazione si possa “istituire per decreto”, con il Piano, trascurando le azioni fondamentali necessarie: convincere gli imprenditori e i manager che siamo alla quarta rivoluzione industriale e che serve ripensare i processi aziendali e la visione d’impresa
- definizione di standard senza i quali è impossibile assicurare l’interoperabilità tecnica organizzativa tra applicazioni e attori;
- l’esplicitazione del legame tra obiettivi politici e soluzioni di e pro mercato, in modo da utilizzare strumenti e risorse pubbliche come leva agli investimenti privati.
Insomma, un Piano che viene riconosciuto come ambizioso e che, proprio per questo, ha bisogno di uno sforzo multistakeholder per avere successo. Con un focus obbligato per la ricerca di una governance adeguata.