Fino a che punto l’aspetto estetico, e dunque la bellezza, può essere considerato uno strumento di lavoro soprattutto nel computo ai fini risarcitori? Soprattutto per gli influencer e i creator digitali è un elemento tutt’altro che secondario, e dunque viene richiesta una particolare attenzione a riguardo.
Un tema che assume un proprio spessore grazie all’online ma che affonda le radici nell’era analogica. Un argomento attuale ma che parte da lontano.
L’immagine come strumento di lavoro
I professionisti della moda, della pubblicità e, più in generale, dello spettacolo che appartengano o meno all’ecosistema online, utilizzano la propria immagine a fini comunicativi.
Adottando un’interpretazione estensiva del concetto di strumento di lavoro così come definito dall’Autorità garante per la Protezione dei dati personali con verifica preliminare del 16 marzo 2017 e dall’Ispettorato nazionale del lavoro con la circolare 2 del 7 novembre 2016, per strumento di lavoro va inteso tutto ciò che viene “utilizzato in via primaria ed essenziale per l’esecuzione dell’attività lavorativa”, ovvero tutto ciò che è “direttamente preordinato all’esecuzione della prestazione lavorativa” potendo rientrarvi, quindi, anche la “bellezza” o, più in generale, il corpo, impiegati per lo svolgimento di attività promozionali o nel mondo della moda.
Pertanto, atteso che per quelle attività che richiedono doti estetiche e di presenza in cui, come detto, la “bellezza” è qualificabile come strumento di lavoro, quale è il caso degli attori, delle indossatrici e dei fotomodelli, ove tali soggetti vengano coinvolti in un incidente di qualsiasi natura (per esempio, sinistri stradali, interventi chirurgici con esiti infausti) si potrebbe realizzare una vera e propria compromissione della loro capacità lavorativa.
Correlazione tra danno estetico e capacità lavorativa
Invero, come si dirà nel prosieguo, l’esistenza di esiti cicatriziali di peculiare visibilità e anti esteticità, per i professionisti del mondo della comunicazione, dello spettacolo o della moda, può incidere negativamente e in senso riduttivo non solo sull’esplicazione di una libera e serena personalità dell’individuo, andando certamente ad incidere sul danno biologico inteso in senso pluridimensionale, in quanto comprensivo di tutti i danni non reddituali cagionati dal sinistro, estetici, relazionali, eccetera, ma anche sulla sua capacità lavorativa.
Considerato quanto precede, chi scrive intende soffermarsi sull’aspetto della lesione e/o del deturpamento del volto, e del corpo in generale, di tutti coloro che utilizzano la propria immagine per promuovere beni e servizi.
Il caso dell’influencer
Il ragionamento che seguirà prende le mosse dall’idea che, come già sostenuto in precedenza, un aspetto fisico curato e un’immagine di sé armonica e piacente, che l’influencer riesce a dare di sé, rende il creator medesimo maggiormente appetibile verso gli utenti e sostanzialmente più forte nel mercato, poiché, risultando più gradevole, sviluppa un numero maggiore di follower. L’immagine personale, infatti, diviene determinante affinché un operatore digitale riesca a catalizzare su di sé l’attenzione del pubblico.
Di contro un’immagine e un aspetto fisico meno curati, risultando meno riconoscibili e gradevoli per il pubblico, diminuiscono l’appeal dell’influencer.
È allora evidente che l’aspetto fisico, trattandosi del primo contatto che l’utente ha con l’influencer, assume importantissimo rilievo. Chiarito quanto precede, si evidenzia che un danno all’esteriorità fisica assume dei connotati particolarmente gravosi e pregiudizievoli nei confronti delle categorie dei creatori digitali.
Infatti, un intervento di chirurgia plastica, finalizzato a migliorare un presunto difetto o destinato a conferire armonia o addirittura maggior sinuosità (e dunque appetibilità) al corpo, se non viene ad essere eseguito a regola d’arte finisce per rovinare e deturpare il corpo stesso.
È evidente che quanto sopra si estende anche alle ipotesi in cui un evento dannoso, si immagini un sinistro stradale o un incendio, rechi danni irreversibili a parti del corpo che vengono esposte quotidianamente sui social.
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Aspetti risarcitori del danno estetico
Senza soffermarci sul danno patrimoniale che l’influencer subisce per l’impossibilità di svolgere la propria attività lavorativa perché degente o perché genericamente impossibilitato per un fatto illecito altrui, il presente contributo intende focalizzarsi sul danno non patrimoniale che deriva dalla lesione all’integrità psicofisica.
Come è noto il danno di natura non patrimoniale – ovverosia quello non direttamente collegato alla diminuzione del patrimonio o al mancato guadagno – è figura unica e contiene al suo interno, ai soli fini descrittivi, varie tipologie di danno (su tutte danno biologico, danno morale e danno esistenziale).
Per quanto attiene al danno biologico è evidente che la lesione alla salute conseguente a una malpractice medica, derivante per esempio da un sinistro stradale, fa sorgere un obbligo di risarcimento del danno stesso nei confronti del danneggiato, indipendentemente dalla professione svolta.
Tuttavia, coloro i quali esercitano e svolgono attività professionale servendosi della propria immagine alla stregua di uno strumento di lavoro, qualora vedano lesa la loro esteriorità fisica, è evidente che, oltre ai patimenti fisici collegati ad una invalidità temporanea e permanente riportata, scontano l’ulteriore sofferenza dovuta dall’impossibilità di svolgere la propria attività in maniera analoga a come veniva svolta precedentemente all’evento dannoso o morboso, ovvero, non senza una intrinseca sofferenza ulteriore e non senza un patimento strettamente collegato al danno subito.
Si pensi all’esempio dell’influencer, il quale svolge la propria attività lavorativa eseguendo dei video in bikini e che, a seguito di un intervento chirurgico eseguito in maniera negligente e, a causa del quale, si ritrova ad esempio due seni sproporzionati tra di loro, è costretta a comparire nei predetti video o con vestiti particolarmente larghi e tali da nascondere il fatto dannoso, o a riprendersi pur sempre in bikini ma essendo costretta a mettere in mostra l’evidente errore chirurgico.
Si pensi ancora all’ipotesi in cui un influencer che ha riportato ustioni sul proprio volto sia costretto a comparire in video con le evidenti conseguenze del fatto dannoso, il tutto con un pesantissimo patimento d’animo che lo stesso inevitabilmente subirà.
In entrambi i casi gli influencer si troveranno a dover subire una ingiustificata conseguenza dannosa ulteriore, nella specie di sofferenza d’animo e di maggior gravosità e pena nella propria attività, eziologicamente collegata al fatto dannoso subito, che meriterà una dovuta forma risarcitoria che si assommerà a quella derivante dal danno biologico patito.