Vengono chiamati influencer, sono dei “creativi” di contenuti spontanei o sponsorizzati, che usano le piattaforme come principale, se non unico, strumento di lavoro. Ma non hanno alcuna voce in capitolo con i social.
Infatti, tutte le principali piattaforme social, da Facebook a Instagram e non solo, hanno un marketplace dedicato ai creatori di contenuti in cui far incontrare la domanda degli sponsor con l’offerta di Influencer per mestiere.
Influencer, un destino tracciato dall’algoritmo
Quello che i creativi hanno subito imparato è che la piattaforma social che si intende usare fa sempre da moderatore dei contenuti, decide cosa filtrare, cosa pubblicare, cosa ammettere al marketplace e lo fa utilizzando regole e algoritmi propri non noti ai creativi, non pubblicizzati e in continuo cambiamento per adattare il filtro degli algoritmi ai contesti sociali in continuo mutamento.
Un esempio è proprio TikTok: il creativo Ziggi Tyler ha denunciato l’impossibilità di inserire nel suo profilo di marketplace frasi come “Black Lives Matter” e “supportare l’eccellenza nera”, mentre erano consentite frasi come “supremazia bianca” e “sostegno dell’eccellenza bianca”.
Dell’episodio TikTok si è scusato e ha modificato un filtro contro l’incitamento all’odio per gestire correttamente questi contenuti e adeguarli al contesto sociale. Ma di casi come questi ce ne sono tantissimi.
Ecco perché gli Influencer e i creativi trascorrono molto tempo, intere giornate, a capire come funzionano gli algoritmi di ogni social che intendono usare e a modificare il messaggio, il contenuto, in funzione della piattaforma di destinazione.
È evidente che la capacità nascosta ma esistente di moderare i contenuti pubblicati in una piattaforma social ha un impatto economico e sociale enorme, a cominciare dai ricavi degli Influencer stessi che sono tutti legati a ciò che la piattaforma concede o meno senza alcuna possibilità di discutere e negoziare con loro.
Quindi si vedono influencer spostare il loro interesse da un tema all’altro, da una piattaforma all’altra ma anche sponsor alla ricerca dell’influencer che sulla specifica piattaforma ha compreso l’algoritmo in uso per poter pubblicare i propri contenuti senza censura. E da qui l’enorme lavoro degli influencer e dei creativi per sfidare continuamente gli algoritmi.
La ricerca: così i creatori adattano i loro contenuti all’algoritmo
Di questo ci dà conferma una ricerca della Cornell University a cura di Brooke Erin Duffry e dello studente Colten Meisner, i quali hanno intervistato decine di creativi di TikTok per arrivare alla conclusione che alcuni creatori adattano il loro intero approccio alla produzione e alla promozione di contenuti in risposta ai pregiudizi algoritmici e di moderazione che incontrano.
Infatti, Duffy dice esplicitamente: “avevamo la sensazione che le esperienze dei creatori fossero modellate dalla loro comprensione dell’algoritmo, ma dopo aver fatto le interviste, abbiamo davvero iniziato a vedere quanto sia profondo questo impatto nella loro vita quotidiana e nel loro lavoro… la quantità di tempo, energia e attenzione che dedicano all’apprendimento di questi algoritmi, investendo in essi. Hanno questo tipo di consapevolezza critica che questi algoritmi sono considerati irregolari. Nonostante ciò, stanno ancora investendo tutta questa energia nella speranza di capirli.”
Le basi “sbilenche” della influencer economy
Questa ricerca evidenzia come l’economia degli Influencer e dei creativi che vale diverse centinaia di milioni di euro all’anno, se non qualche miliardo di euro all’anno a livello mondiale, sia basata su basi veramente sbilenche, poco trasparenti e poco solide in assoluto. Il rischio per chi lavora nel settore di trovarsi senza reddito o con reddito ridotto è elevato, il rischio di perdere i follower rapidamente è altrettanto elevato, il rischio per gli sponsor invece è moderato se non inesistente.
Questo il motivo per cui Influencer e creativi cercano anche un dialogo con il loro pubblico per mantenere alto l’interesse su un certo tema ed evitare la censura degli algoritmi, ma anche per dare feedback al proprio pubblico su come modificherebbe il messaggio per seguire l’evoluzione delle piattaforme.
Influencer e creativi si organizzano sempre più in gruppi di discussione e si coordinano, non ancora a livello di una organizzazione di lavoratori, ma facendo sentire il loro peso complessivo alle piattaforme social per sfidare i sistemi di potere dall’alto verso il basso.
Un esempio è la coalizione per evitare le censure “ombra”, così potenti quanto inevitabili, ovvero quelle censure nascoste dietro il giudizio di un contenuto che può essere più che lecito per essere pubblicato sulla piattaforma ma semplicemente “pessimo” da fare vedere. Oltre alla rigidità digitale di un algoritmo c’è anche l’immancabile giudizio soggettivo di che può decidere il futuro del tuo portafoglio. Poiché non c’è modo di dimostrare effettivamente che un Influencer su queste piattaforme sia stato o meno vietato dall’ombra, ciò alimenta molte speculazioni. Ma si sa, che esista o meno, vale la pena prendere sul serio il fatto che le persone si comportino come se fossero punite con limiti alla loro visibilità.
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Conclusioni
Il paradosso di tutto questo è che ancora una volta le piattaforme social possono decidere a chi far usare, o meglio monetizzare, i proprio dati ed è per questo che fanno la corsa a raccogliere sempre più dati dei propri utenti. Questo perché i dati raccolti oggi possono essere oggetto di analisi per i contenuti che qualcuno crea domani, ma anche oggetto di scambio indiretto tra gli sponsor la piattaforma stessa. Le piattaforme decidono quindi anche, e soprattutto, quale sponsor accettare (anche se attraverso un Influencer) e quale set di dati, ergo di pubblico, mettere a disposizione degli sponsor.
Chi influenza gli influencer? Vantaggi e fatiche di una vita intesa come performance
È un settore che ha trovato una sua autoregolamentazione interna a ogni piattaforma, equilibrio dettato più dalle regole al contorno di privacy, ricavi, opportunità geografica, etica della comunicazione e integrità, ma senza una regola propria di settore. È un settore dove chi fa monetizzare a tutti (sponsor e piattaforma in primis) i dati raccolti, ovvero i creativi e gli influencer, non ha nessuna voce in capitolo ma deve solo ballare con le regole imposte dalle piattaforme.
È un’area di forte interesse economico e sociale che andrebbe sicuramente meglio regolamentata.