Qualche settimana fa è uscito per la Guerini e Associati un testo firmato da Lelio Alfonso e Gianluca Comin dal titolo “#zonarossa. Il Covid-19 tra infodemia e comunicazione[5]”, che mi sento di consigliare per approfondire il modo in cui l’infodemia – ossia l’ondata di disinformazione sul coronavirus – si è generata in Italia.
#Zonarossa
Gli autori passano in rassegna la comunicazione dei fatti legati all’epidemia, avvenuti durante tutta la cosiddetta fase 1, dalla prima settimana di marzo al 4 maggio 2020. La comunicazione viene esaminata nelle sue diverse manifestazioni: si parla della comunicazione politica e istituzionale, ma anche di quella scientifica ed aziendale, passando per la comunicazione ecclesiastica. Un quadro piuttosto approfondito degli eventi che, sebbene i molti salti temporali adottati per il racconto non aiutino sempre a mettere in fila, non di meno si rivela una documentazione preziosa per riuscire a dare un nome ad una serie di malcontenti odierni.
L’ottica con cui vengono passati in rassegna gli avvenimenti è di tipo costruttivo e mira ad offrire una chiave di lettura per un futuro a infodemia sempre più limitata. In questo senso, una parte interessante è riservata anche alla comunicazione delle epidemie del passato, come la ‘spagnola’, ad esempio, con cui spesso, ancora in questi giorni, sentiamo paragonare la pandemia che stiamo vivendo. Questo perché si possa imparare dagli errori del presente ma anche del passato, per un futuro più trasparente.
Cosa è l’infodemia e l’origine del termine
L’11 maggio 2003, David J. Rothkopf firma per il Washington Post un articolo dal titolo: “When the Buzz Bites Back”. Il mondo è in piena emergenza SARS, epidemia che comincia a diffondersi alla fine del 2002 a partire dalla Cina, e il giornalista pone l’attenzione sul vortice di ambigue e false informazioni che circolano in merito. Notizie che, sommate all’ansia e alla paura causate dallo stato di emergenza, rischiano di compromettere seriamente i comportamenti collettivi favorendo la diffusione stessa del virus.
Il termine, recepito subito dopo come neologismo assumendo una portata universale, concretamente indica la “circolazione di una quantità eccessiva di informazioni, talvolta non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi su un determinato argomento per la difficoltà di individuare fonti affidabili”[3]. La circolazione di queste notizie ambigue, o false e tendenziose, è indubbiamente favorita dalla velocità di condivisione tipica delle nuove tecnologie, ma deriva da un fenomeno più complesso tanto che viaggia contemporaneamente su diversi mezzi: media main stream, media specialistici, siti internet, social network, passaparola, chat di gruppo, ecc.
Ad alimentare il volume delle notizie contribuiscono da un lato la paura generata da un evento nuovo e dalle implicazioni pericolose e sconosciute, dall’altro il desiderio di manipolazione del sentiment collettivo da parte di gruppi di potere di diverso tipo, che approfittano di fragilità temporanee o di ignoranza sul tema.
Cause e conseguenze dell’infodemia
si genera infodemia quasi sempre in corrispondenza di epidemie sanitarie, ma anche di fenomeni come il terrorismo e l’immigrazione. In ognuno di questi casi, la minaccia avvertita nei confronti della propria sicurezza favorisce l’aumento di domanda di informazione in merito. Questo accresce inevitabilmente anche l’offerta, che però non sempre viene fornita rispettando l’etica della comunicazione e dell’informazione.
Le conseguenze sono necessariamente dannose. Da una informazione marcia, non può che generarsi un marcio comportamento, che si basa su presupposti molto lontani dalla realtà, ma che la realtà la riscrivono a modo loro. Inutile dire che questo sia dovuto ad un insieme di interessi mirati alla ricostruzione di un immaginario collettivo ben definito, ma sebbene queste conseguenze siano da esorcizzare in qualsiasi momento, un’attenzione speciale va dedicata a momenti come quello che stiamo vivendo dall’inizio del 2020: il diffondersi di una pandemia. Un momento, cioè, in cui, oltre alla propria sicurezza individuale è in ballo la sicurezza collettiva.
Nel caso dell’epidemia da Covid-19, che l’11 marzo 2020 viene definita come la prima pandemia al mondo generata da un coronavirus dal direttore dell’OMS Tedros Adhanom Ghebreyesus[4], si comincia a parlare di infodemia molto presto e ovunque. È lo stesso direttore dell’OMS a metterci in guardia.
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Come affrontare l’infodemia
A dimostrazione del suo carattere propositivo, il libro #zonarossa è diviso in tre parti: Diagnosi, Prognosi, Terapia. Essendo l’infodemia una epidemia a sua volta, l’idea è quella di proporre una serie di accorgimenti per evitarla. Per dirne solo alcuni, gli autori propongono la necessità di maggiori in vestimenti per la formazione di risk manager, e la realizzazione di una riforma complessiva del modello di comunicazione integrata “che parta dallo sviluppo di una visione olistica e definisca nuove regole e principi generali a cui ispirarsi nella governance di tale disciplina”. Tutte cose che, da persona che si è sempre occupata di comunicazione, non posso che condividere. Non avere un protocollo e delle line guida comuni che potessero seguire tutti i media coinvolti nella diffusione delle notizie, è stato uno dei volani principali dell’infodemia nel nostro Paese. Complice una considerazione sempre troppo bassa nei confronti di coloro che fanno della comunicazione il loro mestiere (la considerazione riservata agli studenti di Scienze della Comunicazione meriterebbe, in questo senso, un approfondimento a parte).
La prefazione di Walter Ricciardi (rappresentante dell’Italia nel consiglio d’amministrazione dell’OMS e consigliere del ministro della Salute Roberto Speranza per l’emergenza Covid 19, ndr) è, inoltre, molto preziosa, dal momento che aiuta il lettore ad orientarsi sulla portata stessa della pandemia, sulla quale ogni giorno siamo invitati ad avere, ancora oggi, una opinione diversa. La cornice di un uomo di scienza sottolinea un’altra delle linee portanti del libro, che prevede un sempre maggior coinvolgimento degli scienziati nella gestione della vita quotidiana in futuro. Esperti che hanno in serbo da mesi quei contenuti che stanno condividendo oggi pubblicamente, ma che fino ad oggi in pochi avevano voluto ascoltare.
Per concludere. Il nostro presidente del Consiglio Giuseppe Conte, in un momento di grande pathos, durante i primi giorni della fase 1, cita “L’ora più buia” di W.Churchill per legittimare i propri provvedimenti. Come gli autori del testo, anche noi ci auguriamo che il nostro presidente abbia presente che lo stesso Churchill, con la stessa forza, affermava che “i cittadini vanno guidati e non fuorviati.
Perché tutto ciò che è successo e sta succedendo ci sia di monito, e generi riforme costruttive. Anche in comunicazione.
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- Fonte: Washington Post on line ↑
- Fonte: Washington Post on line ↑
- Fonte: Dizionario Treccani ↑
- Fonte: World Health Organization. Per consultare il discorso integraletenuto dal direttore in conferenza stampa ↑
- L.Alfonsi, G.Comin “#zonarossa. Il Covid-19 tra infodemia e comunicazione”, Guerini e Associati, giugno 2020 ↑