Numeri che si accavallano, voci che si sovrappongono. Il Covid-19 sovverte il sistema di informazione e di comunicazione. L’agorà mediatica pullula di anomalie ed errori, ma la Behavioral Economics accorre in nostro aiuto facendo luce sui principali bias cognitivi ed euristiche coinvolti nella comunicazione di crisi. Per ridare così la parola alla scienza.
Euristiche e bias: cosa sono?
Razionalità, questa sconosciuta. Gli individui deviano sistematicamente dallo standard della scelta razionale su cui si fonda la teoria economica di matrice neoclassica. Ce lo dimostra la Behavioral Economics, la branca dell’economia che integra i risultati della ricerca psicologica nello studio delle decisioni economiche.
Prendiamo decisioni in modo automatico, facendo ricorso a talune scorciatoie mentali – le cosiddette euristiche – che, pur riducendo i tempi e i costi dell’elaborazione di informazioni, possono indurci a compiere degli errori sistematici, i cosiddetti bias[1].
«Umano, troppo umano», forse, ma è cosi che opera il nostro cervello. E «non possiamo prescindere dal capire come funziona, se vogliamo individuare messaggi corretti e utili per la collettività»[2].
A seguire, una rassegna dei principali meccanismi cognitivi che hanno caratterizzato la comunicazione dell’emergenza nelle ultime settimane.
Overcoverage informativa
Ce lo dicono gli esperti, «l’emergenza è stata sovraccaricata con una comunicazione eccessiva, ripetitiva e con toni preoccupanti»[3]. Si tratta, infatti, della prima emergenza sanitaria esplosa in un contesto di piena infodemia[4].
Prendere una decisione è un processo cognitivo complesso (Ariely & Zakay, 2001)[5] che si configura come un processo di elaborazione delle informazioni. Quel che l’economia comportamentale pone in rilievo è la presenza di alcuni limiti che ostacolano l’esercizio di una razionalità di tipo ideale: non solo quelli relativi ai “costi” della raccolta delle informazioni, ma anche i limiti alle capacità degli individui di acquisire, memorizzare ed elaborare tutte le informazioni. Di qui, il concetto di “bounded rationality”, ovvero di razionalità limitata (Simon, 1982).
Occhio agli eccessi, dunque, perché, come scrive il premio Nobel Herbert Simon, «la ricchezza di informazioni genera una povertà di attenzione».
La pressione temporale
Non dimentichiamo, poi, che l’intensa – e inevitabile – pressione temporale, tipica di una situazione di emergenza, può spingere gli individui verso decisioni intuitive piuttosto che analitiche. Il che comporta, da un lato, una riduzione della ricerca e dell’elaborazione delle informazioni; dall’altro, un restringimento del ventaglio di alternative prese in considerazione durante il processo decisionale (Ariely & Zakay, 2001) [6].
Effetto ancoraggio
La prima informazione fa la differenza. È l’effetto ancoraggio, teorizzato da Kahneman e Tversky, che si verifica quando le persone «dovendo assegnare un valore a una quantità ignota, partono da un determinato valore disponibile. Le stime si mantengono vicine al numero da cui i soggetti erano partiti» (Kahneman, 2011)[7]. Il che spiega il richiamo evocativo all’immagine dell’ancora.
Ecco perché c’è stato chi, sin dall’inizio, ha interpretato la situazione con grande preoccupazione, cedendo agli allarmismi e ai complottismi in prima pagina; e chi, invece, ha minimizzato la portata del virus, ancorandosi alle notizie che lo descrivevano come “poco più di una normale influenza”.
Se pensiamo, poi, alle dichiarazioni del Premier che, di volta in volta, proroga il lockdown, ben comprendiamo quanto una tale scelta comunicativa possa rivelarsi deleteria dal momento che gli individui si ancorano alle prime informazioni che ricevono, affrontando poi con maggiore – inevitabile – fatica la “novità” del prolungato isolamento.
Effetto framing
Un altro pregiudizio cognitivo che influenza la nostra percezione è l’effetto framing o effetto incorniciamento, in base al quale il modo in cui le informazioni vengono “incorniciate” influenza le decisioni individuali.
Sul sito del Ministero della Salute, ad esempio, si legge che «circa 1 su 5 persone con Covid-19 si ammala gravemente e presenta difficoltà respiratorie». Si potrebbe comunicare la stessa informazione inserendola in una cornice narrativa diversa, ad esempio «4 su 5 persone colpite dal Covid-19 non si ammalano gravemente».
Quale dei due frame sia preferibile dipende dalla reazione individuale che si desidera attivare. Se si mira ad accrescere la sensibilità individuale al problema, è opportuno utilizzare un framing negativo. Di contro, la cornice positiva potrebbe diminuire la percezione della gravità dell’emergenza e indurre all’assunzione di comportamenti rischiosi, dannosi per i singoli e per la collettività[8].
È interessante notare come, nelle prime settimane, la scelta mediatica sia stata quella di utilizzare un framing negativo, incentrato sull’evoluzione del contagio (utilizzando, cioè il numero dei contagi e dei decessi come “cornice”). Poi, c’è stata una curiosa inversione di rotta verso l’utilizzo di un framing positivo, basato sull’andamento dei tassi di guarigione.
Il frame linguistico
À la guerre comme à la guerre. Nelle ultime settimane abbiamo assistito a una vera e propria corsa – lessicale – agli armamenti. La metafora bellica permea la comunicazione di istituzioni e stampa sull’emergenza: si parla di “trincea negli ospedali” in cui medici e infermieri, nelle vesti di “eroi” in mascherina, combattono contro il “nemico invisibile”.
Ragionare sui meccanismi linguistici che caratterizzano la comunicazione dell’emergenza è fondamentale, poiché anche le parole producono un frame, ossia un inquadramento mentale, e possono condizionare la nostra visione del mondo[9].
Bias del senno di poi
Col senno di poi, è probabile che la situazione diventi più chiara. Merito dell’hindsight bias, l’errore del giudizio retrospettivo. Quante volte crediamo – erroneamente, si badi bene – di aver saputo prevedere un evento – che, in realtà, era impossibile prevedere al momento in cui avveniva – una volta che questo sia, ormai, noto. L’esito ci appare scontato, ma solo osservandolo a posteriori.
Il che può indurci a pensare che le autorità avrebbero potuto prevedere l’esito degli eventi. Pertanto, per tutelare la credibilità di queste ultime, è molto importante essere chiari sulle incertezze che accompagnano la delicata fase attuale.
Bias di conferma
A ciò si aggiunge la nostra innata tendenza alla conferma, che ci porta a prediligere le informazioni che confermano le nostre convinzioni preesistenti, ignorando il resto.
Lo abbiamo visto nella fase iniziale dell’emergenza, quando c’era chi invitava ad aprire tutto e chi organizzava aperitivi contro la paura, lanciando campagne social come “Milano non si ferma”. Reazioni simili anche all’estero quando, almeno nella fase iniziale, si sottostimava il rischio dell’epidemia.
L’epilogo è noto a tutti e per riassumerlo basta l’hashtag #iorestoacasa.
Bias dell’ottimismo
Quante volte ci crediamo immuni da rischi. ‘Non può succedere a me’, ci ripetiamo convinti.
È stato dimostrato, infatti, che gli individui tendono ad essere irrealisticamente ottimisti nel valutare la probabilità di eventi futuri; in particolare, credono di avere minori probabilità di sperimentare eventi negativi e maggiori probabilità di sperimentare eventi positivi rispetto ad altri individui[10].
Questo fenomeno, noto come bias dell’ottimismo o “ottimismo irrealistico”, può comportare un’errata percezione di sicurezza e, di conseguenza, la mancata assunzione delle precauzioni necessarie. Bisogna fare attenzione, però, perché non percepire il rischio non significa non essere a rischio[11].
Narrazione “antivirale” dell’emergenza
«C’era una volta la verità. – Scrive Andrea Fontana – La verità dei fatti, la verità dei fini, la verità oggettiva che si poteva dimostrare, accertare, comprovare» [12].
Ma nell’attuale epoca della ‘post-verità’ (Keyes, 2004)[13] abbiamo assistito al proliferare di «regimi di verità», «ad una sorta di anarchia narrativa»[14].
Del resto, ci stiamo misurando con alcune manifestazioni evidenti di quella che è nata come comunicazione dell’emergenza ma che rischia, se non ben gestita, di diventare un’emergenza comunicativa. Ragion per cui, in parallelo agli straordinari sforzi medici, è necessario affrontare il problema anche sul piano della comunicazione.
In primis «è necessario un profondo ripensamento delle modalità con cui comunicare i dati e fornire informazioni corrette sulla pandemia che tanto preoccupa», come afferma Francesco Giorgino.[15]
In che modo? Distinguendo innanzitutto comunicazione politica da comunicazione istituzionale; offrendo altresì una comunicazione centralizzata, trasparente, chiara e scevra da sensazionalismi.
Una «narrazione collettiva», come afferma Fontana, «per creare una verità univoca», la cui eco risuoni nell’enorme chiasso mediatico delle ultime settimane.
E non solo. Bisogna fare tesoro dei contributi della ricerca scientifica, non solo dal punto di vista clinico ma anche delle scienze comportamentali.
«Conosci te stesso», esortava Socrate nel IV secolo a.C. Ad oggi potremmo provocatoriamente aggiungere «conosci i tuoi bias».
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- Tversky A., Kahneman D., (1974). Judgement under Uncertainty: heuristics and Biases, Science, New Series, Vol. 185, No. 4157, 1124-1131. ↑
- Lo Conte M., Coronavirus, le restrizioni e il fattore tempo nella coda dell’occhio, Il Sole 24 Ore, https://www.ilsole24ore.com/art/coronavirus-restrizioni-e-fattore-tempo-coda-dell-occhio-ADPsedG↑
- Gianluca Comin, nell’articolo di Barbàra U., Gli errori nella comunicazione della crisi coronavirus che hanno causato ansia e panico, AGI, https://www.agi.it/cronaca/news/2020-02-27/coronavirus-errori-comunicazione-7243760/ ↑
- Rapporto OMS, 2 febbraio 2020, «L’epidemia del 2019-nCoV è stata accompagnata da una massiccia infodemia, una sovrabbondanza di informazioni — alcune accurate e altre no — che rendono difficile per le persone trovare fonti affidabili quando ne hanno bisogno». Available at https://www.who.int/docs/default-source/coronaviruse/situation-reports/20200202-sitrep-13-ncov-v3.pdf ↑
- Ariely, D., & Zakay, D. (2001). A timely account of the role of duration in decision making. Acta Psychologica, 108(2), 187–207. ↑
- Ariely, D., & Zakay, D. (2001). A timely account of the role of duration in decision making. Acta Psychologica, 108(2), 187–207. ↑
- Kahneman D., (2012). Thinking, Fast and Slow. London. ↑
- Busacca B., Le buone prassi di comunicazione in tempo di crisi, SDA Bocconi Insight, https://www.sdabocconi.it/it/sda-bocconi-insight/gestire-la-comunicazione-in-tempo-di-crisi ↑
- Faloppa F., Sul «nemico invisibile» e altre metafore di guerra. La cura delle parole, Treccani, http://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/articoli/parole/cura_parole_2.html↑
- Weinstein N.D. (1980). Unrealistic Optimism About Future Life Events, in Journal of Personality and Social Psychology, 39 (5). ↑
- Gullino S., “Coronavirus? Non può succedere a me!: non percepire il rischio non significa essere al sicuro”, http://www.targatocn.it/2020/03/30/leggi-notizia/argomenti/attualita/articolo/coronavirus-non-puo-succedere-a-me-non-percepire-il-rischio-non-significa-essere-al-sicuro.html ↑
- Fontana A. 2019. Regimi di verità. Convivere con leggende e fatti alternativi. Torino. ↑
- Keyes, R. (2004). The post-truth era: Dishonesty and deception in contemporary life. New York: St. Martin’s. ↑
- Cauti A., Una campagna di comunicazione unitaria per l’emergenza coronavirus, AGI, https://www.agi.it/cultura/news/2020-03-01/post-verit-informazione-regimi-comunicazione-coronavirus-7272019/ ↑
- Giorgino F., Ecco come comunicare (meglio) il coronavirus, Il Sole 24 Ore video, https://stream24.ilsole24ore.com/video/italia/giorgino-luiss-ecco-come-comunicare-meglio-coronavirus/ADax9DG ↑