L'ANALISI

Informazione di qualità contro le fake news: ecco la svolta che ci serve

Ci si informa sempre più sulle piattaforme social o i motori di ricerca; i contenuti di disinformazione aumentano e i cittadini hanno difficoltà a distinguere notizie vere e false. E l’informazione di qualità è sempre meno sostenibile. Le strategie di governi, editori e operatori stanno cambiando per affrontare il problema

Pubblicato il 06 Lug 2020

Nello Iacono

Coordinatore di Repubblica Digitale

Alessandro Longo

Direttore agendadigitale.eu

Female human head shape with social media icons design EPS10 fil

Sta venendo al pettine il nodo di come tutelare una corretta informazione, condivisa tra i cittadini, come pilastro della nostra democrazia. Le fake news sul coronavirus, avendo in molti casi ricadute dirette sulla salute pubblica, hanno costretto anche i più resistenti – vedi big tech- ad aumentare il proprio impegno in materia.

Diventano sempre più centrali due tasselli che si incastrano alla perfezione: il problema della disinformazione online e il tema di come rendere sostenibile e diffusa l’informazione di qualità.

L’accelerazione del fenomeno coinvolge ora direttamente anche le scelte strategiche degli editori e degli operatori di piattaforme di social media, oltre che dei governi.

La disinformazione online si consolida

Per cominciare, importante base di analisi sull’andamento dell’informazione e della disinformazione online nel periodo di emergenza sanitaria è data dal recente terzo numero dell’Osservatorio Disinformazione online di Agcom.

In particolare, dal rapporto si riscontrano alcuni fenomeni:

  • mentre nel periodo iniziale di emergenza sanitaria lo spazio dedicato dalle fonti di informazione al coronavirus era chiaramente predominante, dalla fine di aprile si è rilevata una continua diminuzione sulle loro pagine social e account, mentre per le fonti social di disinformazione, almeno nelle ultime 3 settimane di maggio, l’attenzione per l’argomento si è mantenuto su valori pressoché costanti. “Di conseguenza, a partire dalla fine di aprile, la percentuale dei post/tweet riguardanti il coronavirus sul totale è maggiore per le fonti di disinformazione rispetto a quelle di informazione”, afferma il rapporto AgCom. Nelle ultime settimane il peso della disinformazione sul totale delle notizie inerenti al coronavirus circolate online è tornato a crescere, fino al 6% alla fine di maggio. Inoltre, “l’incidenza della disinformazione sul totale delle notizie relative all’epidemia è ancora maggiore se si focalizza l’analisi sui soli contenuti social prodotti. Infatti, considerando tutti i post e tweet sul coronavirus pubblicati dalle fonti esaminate, quelli di disinformazione rappresentano il 13% nell’ultima settimana di maggio”;
  • nei mesi dell’emergenza si è rilevata una notevole crescita di visite ai social network e ai siti/app di instant messaging, che si sono mantenute molto elevate fino alla fine di aprile, con un aumento del consumo dei social media che in Italia è quasi raddoppiato (+86%) tra la prima settimana di marzo e l’ultima di aprile, per poi ridursi, ma comunque testimonianza di un periodo di grande esposizione informativa/disinformativa sui social da parte di una popolazione che, secondo la rilevazione Istat sul 2019, per il 58% non possiede competenze digitali almeno di base;
  • alla crescita dei contenuti di disinformazione si è associato l’aumento di attacchi informatici anche ai singoli utenti. L’Italia è il primo Paese in Europa e il secondo al mondo (dopo gli USA) per numero di domini malevoli registrati a tema Covid-19.

La crescita, e per qualche aspetto anche il consolidamento, della disinformazione online avviene in un contesto come quello disegnato dall’ultima rilevazione Istat sulla partecipazione politica  , da cui emerge come Internet e i social media stiano diventando sempre più importanti nell’informazione per i cittadini.

L’informazione e la rete: rapporto Istat

Infatti, nonostante la TV rimanga il canale prevalente di informazione (stabile negli ultimi 5 anni intorno al 90%), Internet e in particolare social network acquistano particolare rilevanza per l’informazione soprattutto nella fascia giovanile. Tra i giovani di 14-34 anni, il 24,9% si informa soltanto tramite i social network, il 21,2% fa ricorso esclusivo a giornali, news e riviste on line e il 17,8% utilizza entrambi i canali di informazione. Nelle età successive queste quote cambiano con un aumento di chi si informa soltanto tramite giornali, news e riviste on line e scende quella di chi fa ricorso esclusivo ai social network.

Il fenomeno da considerare con attenzione è che però tra chi si informa di politica tramite Internet, è cresciuto il ricorso esclusivo ai social network (dal 9,5% al 19,8%) ed è sceso quello delle notizie online (dal 41,1% al 33,1% nel 2019) nel periodo 2014-2019. L’utilizzo esclusivo dei social network come canale di informazione politica ha superato in termini percentuali quello della stampa on line tra i giovani fino a 34 anni, è raddoppiato tra i 35-54enni (dall’8,9% al 18,9%) e quasi triplicato tra gli over 54 (da 5,6% a 15,1%).

Come sottolinea il rapporto Istat, questo fenomeno sembra pervasivo rispetto alle diverse fasce di età e livelli di istruzione: “La diffusione dei social network come unico canale di informazione ha interessato le persone di 14 anni e più, indipendentemente dai livelli di istruzione, anche se il ricorso esclusivo a questo tipo di canale è più diffuso tra coloro che hanno titoli di studio medio-bassi”.

Rapporto Digital News Reuters 2020

L’ultimo Digital News Report di Reuters, di giugno conferma la continua crescita dei social e il digitale in genere come fonte di informazione. In Italia i canali online (social inclusi, ma anche i giornali) nel 2019 sono arrivati a superare (di poco) la tv. Reuters aggiunge però che ancora non si è trovata la quadra per rendere sostenibile l’informazione di qualità e la crisi pubblicitaria associata al covid-19 la rende ancora più complicata.

Se la pubblicità va male, si salvano sono i grandi marchi che riescono a fare abbonare tante persone online (alcuni dei quali vengono anche ancora molti giornali di carta, vedi New York Times). Si prepara uno scenario in cui i grandi giornali prenderanno tutta la torta; a danno del pluralismo delle fonti informative professionali.

Come salvare l’informazione: serve un nuovo patto digitale

Editori e operatori, il ruolo di Google, Facebook, Apple

Come se ne esce? Certo è che se non governato, questo trend sembra disegnare un orizzonte preoccupante, nelle sue interazioni: le persone si informano sempre più sulle piattaforme social o attraverso i motori di ricerca e non sulle fonti dirette di informazione qualificata, i contenuti di disinformazione aumentano e si consolidano e sempre meno i cittadini sono in grado di distinguere notizie vere da false, anche diventando spesso vittima di malware (la metà della popolazione in 3 casi su 10 non distingue una notizia vera da una falsa) .

In questo quadro, che necessita di interventi di sistema e condivisi a livello internazionale, come sembra essere anche negli obiettivi delle politiche digitali europee, rileviamo una dinamica coerente. Da una parte molte testate giornalistiche come il New York Times, che affermano la necessità di preservare l’informazione di qualità attraverso anche la possibilità per il lettore di poter approfondire le informazioni all’interno dello stesso ambiente e per questo scelgono di uscire da Apple News, nei giorni scorsi; dall’altra parte l’approccio di operatori come Google  e Facebook, già coinvolti dall’iniziativa della Commissione Europea contro la disinformazione online  che si avviano a intraprendere un percorso di attenzione verso gli editori per favorire la condivisione di “notizie di qualità”.

Il riconoscimento di Google della necessità di retribuire gli editori per condividere “notizie di qualità”, e il lancio di Facebook News, che ospiterà notizie nazionali e locali, report originali di “oltre 200 editori su temi generali e di attualità, con migliaia di editori locali” vanno nel senso di una presa d’atto del cambiamento di approccio necessario. I big tech, che hanno assorbito la stragrande maggioranza della pubblicità online togliendo così la terra sotto i piedi dei giornali, ora riconoscono di più la propria responsabilità per la nascita di un’ecosistema dell’informazione sano, verificato, sostenibile.

Ma siamo ancora all’inizio; è ancora troppo poco. Il ruolo dei Governi e delle istituzioni (comunitarie in primis) si dovrà sentire con maggiore forza.

L’importanza delle competenze (digitali)

La salvaguardia della rete come strumento di miglioramento sociale e quindi il contrasto alla disinformazione online si legano essenzialmente a due assi di intervento:

  • lo sviluppo delle competenze digitali della popolazione (e in particolare su quelle informative, seguendo il framework europeo DigComp), per perseguire quella consapevolezza digitale che sempre più è condizione per la cittadinanza consapevole;
  • la diffusione e il sostegno alla costruzione, come suggerito da AgCom, di “punti focali credibili, attendibili, verificabili rispetto ai dati di fatto e alle notizie fattuali sulle quali il cittadino ha diritto di essere informato al fine di costruire una propria autonoma visione”. E quindi in primo luogo favorendo le condizioni per la prevalenza delle notizie di qualità, in termini di diffusione di informazioni corrette, ma anche di esposizione di dati.

L’auspicio è che le politiche nazionali ed europee sul digitale, che avranno tanto impulso dal Piano NextGenerationEU, scelgano con chiarezza e in modo organico questa direzione, dal punto di vista economico, sociale, normativo.

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