la riflessione

Morcellini: “Informazione locale, per ricostruire la cittadinanza nell’era digitale”

Una riflessione sul ruolo e sul funzionamento dell’informazione e dei media locali. Intesi come strumento di coesione sociale e possibile antidoto all’antipolitica e all’anarchia informativa e comunicativa. Il tutto si esplica il potere di accelerazione delle reti digitali

Pubblicato il 29 Apr 2019

Mario Morcellini

Professore ordinario emerito in Sociologia della Comunicazione e dei Media digitali alla Sapienza Università di Roma

informazione locale

Le comunità locali, in contrapposizione ai non luoghi della socialità digitale, rappresentano un baluardo di “resistenza” in cui continuano ancora a persistere forme di comunicazione in equilibrio tra vecchio e nuovo: l’informazione locale, intesa come un preliminare di coesione, un prolungamento della vita non ancora accecata dalla globalizzazione.

Spunti di riflessione sulla valenza e sul ruolo dell’informazione e dei media locali anche sulla base dei dati di una ricerca Nielsen per Citynews[1].

Il potere di accelerazione delle reti digitali

Se le società e le tecnologie dominanti cambiano vorticosamente, come succede al tempo della rivoluzione permanente della comunicazione, gli uomini rischiano di subire le tossine del cambiamento.

Un uguale ragionamento va fatto per i punti di riferimento valoriali, che rappresentano il cuore della cultura di un popolo. Anche essi, per definizione, sono stressati e a volte apparentemente rottamati dalle cornici dell’immaginario troppo spesso impregnato della pubblicità del nuovo, nell’illusione che narrare i cambiamenti sia sufficiente ad addomesticarli, quasi fossero a portata di mano. Ecco dunque le ragioni in forza di cui i moderni hanno più che mai bisogno di una piattaforma stabile che li protegga dalla dimensione compulsiva con cui il cambiamento si manifesta nella comunicazione e nella vita. Questo è il brusco scenario che si presenta ad un osservatore disincantato della nostra condizione umana e sociale.

Nella lunga storia della modernità, la comunicazione si è sempre attribuita il compito di accompagnare gli uomini non nel mondo nuovo ma verso di esso, offrendosi quasi come una spaziatura e una tregua mentale tra l’adozione di idee nuove e comportamenti conseguenti e il tempo di elaborazione/ “digestione” del licenziamento della tradizione.

Un processo di questo genere era tollerabile per le cornici psicologiche e spirituali, quando il mutamento era lento e definibile con il bel termine di metamorfosi, indicando con esso un percorso graduale di sostituzione di valori e parole chiave sospesi a metà tra vecchio e nuovo mondo. Rischia di non valere più nulla quando il gradualismo dei cambiamenti lascia il posto, soprattutto per le generazioni nuove, a una vera e propria sostituzione delle visioni del mondo e delle cosmologie comunicative conseguenti.

Anche se in una parte della società italiana può apparire che la sostituzione non sia completamente avvenuta, e che sopravviva un pendolarismo di visioni tra valori tradizionali e spinte innovative, il principio di precauzione suggerisce di considerare l’ipotesi che, per i “nuovi venuti”, il centro dell’attenzione sia tutto formattato sul nuovo e sulla sua sovrastruttura servente: la cultura digitale. Se quest’ultima ipotesi è almeno speculativamente convincente, molti giovani e giovani adulti del nostro tempo si sono spostati ben oltre le mitiche “Colonne d’Ercole”, nelle terre incognite del nuovo.

Siamo di fronte ad un contesto irto di criticità che rischia di non apparire agli studiosi nei suoi termini più crudi; essi infatti sono naturalmente predisposti all’adozione intellettuale di idee nuove. Per la parte più avanzata della società, per le élite e le generazioni intellettualizzate il cambiamento si presenta infatti con il sorriso della compatibilità e della predisposizione favorevole, ma è altamente probabile che ampi settori della società (quelli che di norma le élite non vedono perché non li frequentano) subiscono un tagliando di accelerazione e di stress, con l’effetto di ridurre il benessere procurato dal cambiamento trasformandolo in malessere e dis-agio.

In queste condizioni, serve una diversa capacità di rimediazione degli intellettuali, ma è indispensabile ancor più indagare la postura e il nuovo ruolo della comunicazione, implicando con ciò una riflessione avanzata sul potere di accelerazione delle reti digitali.

Esse certamente si manifestano come sfida positiva e cognitiva per i giovani, ma rischiano di lasciare indietro rilevanti masse di uomini sempre più sospinti verso la retroguardia della società (le periferie di cui parla spesso Papa Francesco).

Qui occorre anche demistificare le pretese del concetto stesso di digital divide: maschera a fatica la sua natura di ideologia nascosta nell’euforia del nuovo, capace di stigmatizzare quanti sono ai margini della forza diffusiva delle tecnologie. Occorre dire che è aperto un conflitto tra la vecchia società della partecipazione e la postura estremista delle tecnologie digitali. Quest’ultima presenta come la lingua dei soggetti più forti, quasi assurgendo a Nuovo Verbo egemone e dunque impaziente verso chi rimane sullo sfondo.

Capire il cambiamento ripartendo dai territori

“Un paese ci vuole,  non fosse che per il gusto di andarsene via.

Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei  resta ad aspettarti”

Cesare Pavese, La luna e i falò, 1950

È a questo punto che si impone la riflessione sulla sorte delle comunità locali anche come forma di umanizzazione e di graduazione delle resistenze alla globalizzazione degli immaginari, senza assumere la forma di una generica protesta puramente reazionaria contro ogni novità e cambiamento. E l’ambito locale è quello in cui è più facile scorgere le forme di ambientazione graduale e persistenza delle forme di comunicazione in equilibrio tra vecchio e nuovo, che già di per sé si configurano come una diversa risposta alla grande bouffe della globalizzazione, facendo emergere quanto si rischia di perdere nel passaggio dal locale al globale.

È in questo scenario che può diventare una vertenza culturale rilevante l’analisi del funzionamento dell’informazione e dei media locali intesi come dispositivo di socializzazione graduale all’ultramodernità, garantendo una funzione di piattaforma mobile di interazione tra le spinte degli immaginari comunicativi banalmente internazionalizzati e le risorse dei territori con il ricco portato delle loro biodiversità. Anche dal punto di vista della prossimità ai cittadini, la rete digitale non si è manifestata come un medium equivalente all’informazione locale, senza mai dimenticare che questi processi sono sempre accompagnati da un preciso caveat: anche prima di internet non c’era l’età dell’oro della comunicazione dell’anima dei luoghi (Hillman). È istruttivo richiamare in proposito che, nelle terre desolate dell’America della frontiera, la prima realtà che i cittadini costruivano nel momento stesso in cui davano un nome alle future città era il giornale, prima ancora della chiesa, o più rigorosamente delle chiese legate alle tante confessioni.

È evidente dunque che alimentare una trama di informazione a livello locale è un preliminare di coesione. Unisce gli uomini in una comunità e li promuove a cittadini, esaltando quella doppia funzione di cui oggi c’è più bisogno che mai: quella di risorsa anticrisi e conciliazione tra identità e differenze di provenienza.

L’informazione locale assume un carattere peculiare quando essa realizza in pieno il suo funzionamento: è un prolungamento della vita non ancora accecata dalla globalizzazione, consolida un villaggio che non si accontenta più di essere locale. Si scorge così la sua dinamica di tipo antropologico: consentire rapporti fiduciari fondati sulla scoperta dell’altro, lasciando intravvedere la sua capacità di dar risposta a bisogni umani radicali ispirati alla prossimità. A veder bene, si tratta di un fenomeno che è analogico alla formazione dei movimenti collettivi e dell’associazionismo culturale e/o solidale, in cui avviene un riconoscimento dei bisogni umani radicali che possono anche preludere ad un’idea di solidarietà e fratellanza. A confronto, la vicinanza costruita e propagandata dalla rete assomiglia piuttosto alla distanza e non accorcia la propaganda della sfiducia.

Informazione locale, “superlativo assoluto” della prossimità

Relativamente alla centralità dell’informazione locale secondo gli ultimi esiti dell’analisi statistica e “all’informazione policentrica di prossimità” come “superlativo assoluto” nella grammatica contemporanea dei processi comunicativi, si allude alla ricerca del ‘vicinissimo’, del ‘più vicino’, del ‘prossimo’, appunto, come nuovo paradigma della spazialità, della socialità e della comunicazione. Interessante anche il versante qualitativo dell’analisi, particolarmente utile per spiegare i motivi per cui si manifesta una preferenza per l’informazione locale, rispetto a quella nazionale/globale. La ricerca Nielsen per Citynews offre a questo riguardo rilievi interessanti e complementari rispetto all’Indagine Conoscitiva Agcom che non ha esplorato ancora l’online come fonte informativa per il ‘locale’ (se non ‘dentro’ il dato misto delle ‘fonti di informazione’ locali e globali). I dati della ricerca Nielsen sono interessanti perché focalizzano il ‘qualitativo’ accanto al ‘quantitativo’ e consentono una profilazione dell’utente di informazione locale, anche in base al luogo di residenza. Il fatto che ci sia una declinazione della ricerca anche orientata all’advertising può essere utile e non deviante o distorsivo, perché consente di instaurare un efficace parallelismo sulla base del minimo comune denominatore rappresentato dal concetto di “filiera corta”. Così come il consumatore ritiene più affidabile il chilometro zero, anche l’utente di informazioni considera il ‘vicinissimo alla fonte’, il ‘prossimo’, il ‘locale’ come più degno di ‘purezza semantica’ e dunque di credibilità.

Interessante notare che la fetta maggiore dei lettori desideri il locale e il nazionale/globale insieme, ma ancora più interessanti sono i dati scorporati e disaggregati che evidenziano come esista uno zoccolo duro sia di lettori esclusivi di notizie nazionali, sia di fruitori esclusivi di informazione locale. Le motivazioni di chi ‘preferisce’ l’informazione locale sono forti e significative e confermano più datati ma convergenti rilievi Censis («Comunicazione e media» – 48° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2014 ), di estremo interesse, proprio alla luce della più recente conferma statistica Nielsen.

La conclusione dell’analisi sembra orientarsi verso il profilo di un ‘fruitore razionale’ e non ‘emotivo’ di news, che cerca la verità e non i suoi prodotti derivati, né tanto meno i suoi ‘crediti deteriorati’, sa ragionare perfettamente sui criteri filologici della veridicità, qualità e attendibilità dell’informazione ‘a filiera corta’, desidera dare il suo contributo alla co-costruzione del senso e dei significati, tanto più perché pertengono al suo luogo di vita e alla sua identità. Sostanzialmente, dunque, la tenuta dell’informazione locale o ‘iperlocale’ sembra rappresentare una sorta di presidio e di ancoraggio ad un paradigma di ‘spazialità classica’, che non intende consegnarsi disarmata alle forme reticolari della nuova ‘spazialità trans-scalare dei flussi’, ma vuole invece ribadire il senso profondo dei luoghi e delle ‘strutture territoriali’.

Informazione locale vs anarchia informativa

In questo contesto, dunque, occorre notare che l’informazione locale può contribuire anche ad accorciare le distanze fra politica e società civile, senza arrendersi del tutto alla disintermediazione e all’anarchia informativa e comunicativa. Si può addirittura immaginare che per ricostruire una politica credibile nei territori occorra prendere atto che i mondi vitali visti da vicino sono meno stranianti rispetto ai messaggi nazionali omnibus, che anche per la loro cattiva traduzione nella comunicazione politica, televisiva e digitale, spingono verso l’antipolitica uccidendo così qualunque speranza di cambiamento affidata alla politica.

“La comunità locale è, in definitiva, l’unico spazio di ‘retroguardia’ e di resistenza all’ultramodernità, che assicuri la sopravvivenza di una comunicazione dotata di senso e di vita. La comunità è la ‘periferia’ del cambiamento, ma è proprio da questo apparente ‘svantaggio posizionale’ che deriva la sua candidatura a divenire la ‘ridotta’ e la fortezza contemporanea dell’umanesimo.

La comunità è il luogo della realtà e della solidità ‘analogica’ della vita vera, che si contrappone alla liquidità e alla volatilità digitale della surmodernità (M. Augé), allo spaesamento dei ‘non-luoghi’ e alla deterritorializzazione delle esperienze e delle esistenze. La comunità è l’unico possibile spazio di protezione e di tutela dell’anima dei luoghi e dell’anima dell’uomo, nonché della loro possibile sintesi nella preservazione delle identità” (F. Sbrana)

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  1. Il Gruppo Editoriale Citynews ha commissionato nel 2017 a Nielsen una ricerca volta ad approfondire la propria conoscenza dei lettori di news italiani, nello specifico i lettori di news online. L’interesse principale che ha mosso la ricerca era capire come gli italiani si distinguono nel loro approccio alla lettura di news locali vs. nazionali e se tra le variabili di differenziazione ci sia il luogo di residenza”. 

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