L’accostamento tra patrimonio culturale e innovazione digitale, intesa come realizzazione e utilizzo di nuove tecnologie, negli ultimi anni ha tenuto banco nel dibattito pubblico del settore culturale ed è stato considerato spesso e bene come fattore centrale dei processi di innovazione.
Ma, se la chiusura di musei e teatri causata dalla pandemia ha sicuramente posto il tema dell’urgenza della digitalizzazione, sta allo stesso tempo rischiando di accelerare una proliferazione di soluzioni che, seppure tecnologicamente valide, perdono di vista peculiarità e funzioni del settore che non sono trascurabili.
Come cambia la cultura col digitale: i tre fattori che fanno la differenza
L’assenza di una strategia di sistema
È questo il contesto in cui si colloca il recente report dell’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali della School of Management del Politecnico di Milano che evidenzia tra l’altro un rallentamento nella corsa al digitale delle istituzioni culturali nel nostro Paese all’indomani dell’emergenza pandemica.
Nell’osservazione del fenomeno, dunque, è bene porsi una domanda: esiste nei nostri musei e teatri una strategia digitale integrata sostenibile, capace cioè di generare impatti durevoli? Ebbene, difficilmente si analizza il fenomeno in maniera olistica prevalendo spesso un approccio che privilegia la lettura dei dati segmentata (i siti web, gli allestimenti multimediali, le tecnologie immersive, le app, eccetera).
L’assenza di una strategia di sistema determina l’incapacità delle tecnologie di incidere realmente nella vita dei musei, sia con riferimento alla relazione di questi con i visitatori e le comunità, sia nei processi gestionali e organizzativi interni agli stessi. Sarebbe quindi davvero importante nell’indagare il rapporto tra patrimonio e digitale, non fermarsi ad esempio a censire il numero dei siti web online o le funzionalità delle app, quanto piuttosto provare a restituire dati su filiere attivate, competenze formate e impegnate, effetti generati sulle comunità e i territori.
Il caso CoopCulture
CoopCulture – come testimonia l’attenzione alla rendicontazione degli impatti nelle diverse dimensioni della sostenibilità, affrontata annualmente nel Rapporto di sostenibilità – ha affrontato la sfida dell’innovazione a partire da un re-design dei propri processi e competenze anche tenendo conto del nuovo ruolo della cultura verso le comunità e i territori, che la vede collante sociale, moltiplicatore di relazioni e consapevolezza.
Prima ancora che alle singole tecnologie la nostra attenzione si è rivolta alle persone per incrementare la partecipazione e l’interazione, la crescita culturale delle comunità e lo sviluppo del potenziale trasformativo della cultura. Da una parte la persona al centro, con l’approccio tipicamente umanistico del settore in cui operiamo, dall’altra il digitale con la capacità di creare nuove relazioni, potenziare fini, moltiplicare catene del valore nei territori, creare sinergie collaborative. Dal momento che per noi l’innovazione non è soltanto tecnologia, bensì un cambiamento di modello, un altro modo per realizzarla è quello di instaurare strette collaborazioni con il mondo della ricerca perché crediamo che si debba collaborare tra più soggetti diversi per realizzare innovazione, anche tecnologica e attivare una economia circolare della conoscenza.
Come creare consapevolezza nel visitatore
Un esempio concreto, basato proprio sull’idea che le tecnologie siano al servizio delle persone (i visitatori) e dei territori (comunità e attori territoriali), è il nostro ecosistema digitale integrato, multifunzionale e multi-device, che permette di creare consapevolezza nel visitatore seguendolo lungo l’intero ciclo di esperienza – prima, durante e dopo la visita – grazie alla disponibilità di funzioni legate all’informazione web, alla personalizzazione e prenotazione di itinerari tramite mappe e marketplace, alla disponibilità di strumenti digitali per esperienze di visita immersive tramite app basate sulla mixed reality, alla cura post visita tramite social; al contempo, dal lato dell’offerta, la stessa infrastruttura consente una co-progettazione bottom up e collaborativa tra gli operatori pubblici e privati di un territorio di percorsi integrati per una valorizzazione diffusa del patrimonio culturale e una crescita comune, grazie anche ad un cruscotto osservatorio unitario di tutti i dati relativi ai flussi e ai comportamenti dei visitatori che consente il miglioramento continuo dell’offerta ed il governo della stessa.
Definiamo la nostra piattaforma all in one perché è l’opposto di quella frammentazione di strumenti e sistemi che oggi non consente una strategia digitale integrata, legata al patrimonio culturale che significa anche interoperabilità e sostenibilità.
Moltiplicare e rafforzare relazioni tra luoghi e visitatori
Così la tecnologia moltiplica e rafforza relazioni tra luoghi e visitatori in termini di partecipazione e inclusione (anche quando i luoghi sono chiusi come nel caso di L.I.V.E. Culture, live interactive virtual experience), tra diversi settori come cultura, turismo, natura e agricoltura in termini di sinergie intersettoriali e tra mondo della conoscenza e della ricerca e comunità in termini di capacitazione allorché ad esempio la ricostruzione tramite realtà virtuale di uno spazio o di una piazza dell’antichità riesce a trasferire anni di ricerca ad un qualsiasi fruitore superando anche i gap di interpretazione e lettura che questi può avere, anzi suscitando emozione e trasformando la visita in un arricchimento oltre che della conoscenza anche del critical thinking. La realtà virtuale assume così anche il ruolo di mediatore tra il mondo scientifico e il grande pubblico.
Patrimonio culturale tecnologia, le parole chiave del cambiamento
Wisdom, consapevolezza e responsabilità, accessibilità cognitiva, facilità di fruizione, formazione, facilità di gestione, sostenibilità economica, collaborazione con i centri di ricerca e con la pubblica amministrazione, sono queste le parole chiave dell’approccio e dell’azione di CoopCulture nel campo del digitale.
Per essere realmente sostenibile in termini sociali ed economici, l’innovazione tecnologica non può ridursi ad una mera “novità” suggestiva o accattivante ma deve attivare o preservare altri processi.
Rispetto ai visitatori, se non sempre e non in tutte le situazioni è possibile realizzare un prodotto digitale che non sia fine a sé stesso, quando è in gioco il patrimonio culturale la tecnologia non può avere soltanto un approccio ludico o spettacolare, ma deve essere in grado di attivare gli aspetti cognitivi nel rispetto di una delle funzioni del patrimonio stesso che è fattore identitario, elemento di welfare, strumento di coesione.
Con riferimento alle istituzioni culturali, sono due i fattori determinanti spesso vengono sottovaluti nel settore, la gestione e manutenzione dello strumento e la sostenibilità economica. Una tecnologia è sostenibile se facilita e abilita i processi per gli operatori e alimenta le relazioni per una crescita sostenibile.
Conclusioni
In conclusione, una via europea umanistica al digitale farà perno sulla formazione di nuove competenze, non solo di innovazione tecnologica ma anche di innovazione sociale, in tutte le sue declinazioni scolastica, universitaria, permanente e professionale, e di una visione di sostenibilità e partenariato allargato che la accompagni. Da un lato quindi il rapporto tra le imprese culturali con le università e i centri di ricerca, per alimentare una crescita costante di competenze, ma anche dall’altro la costruzione di una rete di attori in un territorio o in una filiera, pubblici e privati, che garantiscono, ciascuno per il proprio ruolo, cura, partecipazione e gestione sostenibile delle tecnologie abilitanti.