I casi

Insegnare programmazione nelle scuole primarie: Uk ed Estonia

I Paesi pionieri di una nuova tendenza. Anche nel nostro Paese ci sono esperienze didattiche interessanti rivolte ai bambini delle elementari. Si tratta però in gran parte dei casi di iniziative personali, frutto della testardaggine di qualche docente controcorrente. Mentre manca ancora un approccio sistematico e strutturato

Pubblicato il 22 Apr 2014

Federico Guerrini

giornalista

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In Estonia lo si fa già da un paio d’anni: ai bambini delle elementari vengono insegnati i rudimenti della programmazione per computer; l’apprendimento continua poi via via lungo tutto il percorso scolastico, con un grado di difficoltà via via crescente. Nel Regno Unito, un’iniziativa simile partirà da settembre: i piccoli alunni cominceranno a scrivere codice dall’età di cinque anni e non smetteranno finché non ne avranno sedici. “Il mondo cambia rapidamente – spiega ad Agenda Digitale Alfonso Molina, professore di strategie delle tecnologie all’Università di Edimburgo e direttore scientifico della fondazione italiana Mondo digitale – servono nuove skill, soluzioni innovative per affrontare la crisi. In Uk lo hanno capito, e hanno lanciato questa iniziativa anche per far fronte al deficit di competenze tecniche: ci sono abilità oggi necessarie, che però la scuola non insegna. A livello nazionale, in Gran Bretagna mancano almeno 100.000 persone capaci di programmare”.

E in Italia? Nel Bel Paese, l’atteggiamento sull’argomento pare alquanto differente: non molto tempo fa l’ex ministro dell’Istruzione Carrozza si era detta contraria all’introduzione, nelle scuole primarie, di un’ora dedicata specificamente all’insegnamento della programmazione. Educazione digitale sia, aveva detto in sintesi Carrozza, purché però trattata in maniera trasversale. “La tecnologia digitale è un mezzo – rimarcava l’ex titolare del dicastero – e tutte le materie devono avvalersene, come fu per il libro stampato dell’Ottocento”. Trasversale o meno, e al di là del parere, leggitimo e rispettabile, del ministro, la questione è anche se le scuole italiane sarebbero davvero pronte, o meno a un cambiamento del genere. Ovvero, se esistono ad oggi le condizioni, non solo sul piano normativo, ma anche su quello, molto più terra-terra della realtà quotidiana degli istituti scolastici, per insegnare a impartire comandi al computer in maniera non soltanto e non principalmente nozionistica.

“Fin dagli anni ’70 e ’80 – racconta il semiologo e consulente didattico Giorgio Jannis – l’insegnamento dell’informatica nelle scuole ha sempre avuto una funzione di alfabetizzazione informatica, semplice uso dello strumento, come far funzionare il Pc, anche con la grande rivoluzione degli anni 2000, l’impostazione è rimasta la stessa. Oggi si dovrebbe uscire da una visione strumentale del computer e parlare piuttosto di competenze digitali. La situazione d’aula andrebbe ripensata, ma questo vorrebbe dire scardinare pratiche decennali”. “In molte scuole – dice Jannis – ci sono almeno uno o due insegnanti che si danno da fare e che pur di introdurre qualche novità sono disposte pure a litigare col dirigente scolastico, ma si tratta appunto di iniziative personali”.

Non mancano dunque esperienze concrete di insegnamento ai bambini, ma si tratta di casi isolati. Negli anni scorsi, per esempio, l’Istituto Comprensivo “A. Fogazzaro” di Baveno, sul Lago Maggiore, ha aderito al progetto europeo Comenius intitolato “Networking Minds” indirizzato agli alunni delle scuole primarie e materne e avente come argomento l’uso delle nuove tecnologie informatiche e comunicative nella scuola moderna. A Pescara, nelle scuole del Terzo Circolo didattico, fin dal 2003, la maestra Anna F. Leopardi ha proposto per anni dei progetti che hanno lo scopo di avvicinare gli alunni al mondo Linux.

Forse anche per colmare questa lacuna, negli ultimi anni sono nate parecchie iniziative di associazioni private che propongono corsi per bambini e insegnanti. Come Coderdojo, un formato internazionale di apprendimento “esportato” anche in Italia, in varie città (fra le più attive ci sono Bologna e Firenze). O come Codemotion Kids, uno “spin-off” di un progetto più generale dedicato all’avvicinamento alla scrittura di codice, per persone di ogni età.

Altre associazioni, come A-bit-C, o la stessa Fondazione Mondo Digitale inseriscono l’avvicinamento alla programmazione all’interno di iniziative più ampie che prevedono anche “merende robotiche” e “palestre dell’innovazione“. “Cerchiamo di insegnare varie cose, in primis l’approccio al problem solving e al lavoro di squadra – spiega Molina – per i bambini non è necessario iniziare subito con la scrittura del codice, anche perché sono troppo piccoli; si parte da programmi con interfaccia grafica a icona che servono a prendere confidenza con l’ambiente di lavoro e a capirne i principi di fondo”.

I software da utilizzare per avvicinare anche i più piccoli all’informatica, non mancano: dall’antesignano Logo, diffuso e utilizzato, anche in Italia, fin dagli anni ’80 del secolo scorso, al più recente “Scratch“, creato dal Mit di Boston, a MindStorms della Lego. Senza menzionare tutto il mondo legato alle distribuzioni Linux pensate a scopo didattico, la più celebre delle quali è forse Edubuntu. Non mancherebbero nemmeno i soldi, nemmeno in Italia. “I fondi necessari – dice Jannis – potrebbero essere reperiti tramite i programmi di aggiornamento per insegnanti, o progetti di Scuola 2.0”. Quello che manca, è piuttosto un cambiamento culturale, un compromesso necessario e ormai non più posticipabile, fra fan sfegatati del digitale a tutti i costi e detrattori a priori, legati a un approccio iper umanistico e rigidamente strutturato dell’istruzione sempre più difficile da sostenere in un mondo elastico e in forte mutamento.

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