Facebook sa di essere tossico, per la società e soprattutto i più deboli, ma fa finta di non sapere. Non cambia pelle, ignora le evidenze interne, per mantenere intatto nella sostanza – con piccoli aggiustamenti poco efficaci – il suo straordinario modello di business.
Emerge questo dato dalle inchieste Facebook Files che il Wall Street Journal (Wsj) sta conducendo su Facebook. E in particolare colpiscono i documenti interni all’azienda, finora rimasti segreti, che accusano il social media di Menlo Park di essere sempre stato a conoscenza dei danni per le teenager legati all’uso di Instagram. La piattaforma in cui il 40% degli utenti ha al massimo 22 anni e i teenager che si connettono al social network sono 22 milioni e trascorrono il 50% del tempo in più su Instagram rispetto a Facebook.
Instagram tossico per molte teenager
Dall’inchiesta risulta che, contrariamente a quanto dichiarato lo scorso marzo dal co-fondatore Mark Zuckerberg in un’audizione al Congresso, da anni Facebook è consapevole delle conseguenze dannose di Instagram su gran parte dei suoi milioni di utenti teenager, e in particolare sulle adolescenti.
Finora la società ha ridimensionato in pubblico i rischi per la salute mentale provocati dalla piattaforma di foto e video condivisione, ma, da almeno tre anni, sta conducendo uno studio approfondito sull’impatto di Instagram sui suoi giovani utenti. In audizione al Congresso, Zuckerberg si è limitato ad esaltare i benefici dell’app, mentre il capo di Instagram, Adam Mosseri, a maggio ha parlato di effetti dannosi solo per una percentuale “abbastanza piccola” di giovani. L’opposto di quanto emerge dall’inchiesta.
I punti salienti sui rischi legati a Instagram
Dai documenti interni, di cui il Wsj è venuto in possesso, comprese diapositive e “un approfondimento sulla salute mentale delle teenager”, il giornale statunitense ha tratto un’inchiesta da cui risulta che Facebook sa che Instagram provoca “problemi connessi al proprio aspetto fisico in una adolescente su tre”.
“Il trentadue per cento delle ragazze adolescenti ha detto che quando si sentivano male per il loro corpo, Instagram le faceva sentire peggio”, hanno detto i ricercatori in una presentazione di diapositive del marzo 2020 pubblicata sulla bacheca interna di Facebook, rivista dal Wall Street Journal. “I confronti su Instagram possono cambiare il modo in cui le giovani donne vedono e descrivono se stesse”.
Dallo studio interno del social media di Menlo Park emerge una reazione, definita dai ricercatori “spontanea e costante tra tutti i gruppi”: “le teenager puntano il dito contro Instagram per l’aumento del livello di ansia e depressione”. Facebook ha riscontrato che tra le ragazze adolescenti che hanno riportato di aver coltivato pensieri suicidi, il 6% delle teenager statunitensi e il 13% delle britanniche ritengono che sia stato Instagram a favorirne la comparsa.
Il Wall Street Journal, dopo aver visionato questi documenti, inchioda Facebook alle sue responsabilità: solo Instagram si concentra molto sul corpo e sullo stile di vita, esaltando la presunta “perfezione” di modelli inarrivabili e il “lifestyle da sogno” degli influencer, dunque è il social network che porta alle estreme conseguenze “i confronti sociali”, a differenza di TikTok e Snapchat che permettono di giocare con filtri ludici e giocosi. Quei “social comparison” in cui gli utenti acquisiscono (o perdono) autostima in relazione alla attrattività dell’aspetto fisico, al benessere economico e al successo nel continuo confronto con gli altri.
La risposta di Facebook
Facebook, che lavora a un progetto di un’app per bambini minori di 13 anni, ha risposto alle accuse mosse dall’inchiesta del Wall Street Journal con un post su Instagram, in cui afferma che la notizia “si focalizza su una piccola parte dei risultati e getta una luce negativa su quelle conclusioni”. Facebook sostiene comunque l’importanza della ricerca perché “dimostra il nostro impegno per la comprensione di problemi complessi e difficili in cui i giovani possono imbattersi”.
Ma, nonostante i focus group, i sondaggi online e gli studi condotti fra il 2019 e il 2020, Facebook ha indagato sulle problematiche, senza far nulla per cambiare, a parte togliere per alcuni mesi il conteggio pubblico dei Like e poco altro. Ha bisogno di mantenere intatto il modello di engagement così proficuo, nonostante i danni.
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I danni del nuovo algoritmo Facebook
Alla stessa maniera – secondo un’altra inchiesta del WSJ – Facebook ha tenuto in piedi il nuovo algoritmo anche se le evidenze interne gli attribuivano un forte ruolo nel diffondere disinformazione e odio.
Il nuovo algoritmo privilegia i post di amici e parenti e penalizza quelli di giornalisti e aziende. Facebook voleva così le persone a interagire di più con gli amici e la famiglia e a passare meno tempo a consumare passivamente contenuti prodotti professionalmente, il che secondo alcune ricerche era dannoso per la loro salute mentale.
All’interno della società, però, i dipendenti hanno avvertito che il cambiamento stava avendo l’effetto opposto.
I ricercatori della società hanno scoperto che gli editori e i partiti politici stavano riorientando i loro post verso l’indignazione e il sensazionalismo. Quella tattica produceva alti livelli di commenti e reazioni che si traducevano in successo su Facebook.
“Il nostro approccio ha avuto effetti collaterali malsani su fette importanti di contenuti pubblici, come la politica e le notizie”, ha scritto un team di scienziati di dati, segnalando le lamentele del signor Peretti, in un memo rivisto dal Journal. “Questa è una responsabilità crescente”, ha scritto uno di loro in un memo successivo. Hanno concluso che la pesante ponderazione del nuovo algoritmo di materiale reshared nel suo News Feed ha reso le voci arrabbiate più forti.
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L’aspetto sociologico dell’inchiesta
Instagram è sulla graticola proprio a causa del “forte impatto che la piattaforma conferisce a foto, video (nei post o IgTv) e Reel”, come ci spiega il sociologo Giovanni Boccia Artieri che mette in risalto “la percezione sociale del corpo sui social network”.
Ma il professore ordinario di Sociologia dei new media all’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo vede anche emergere l’evoluzione del ruolo sociale degli influencer, mentre aumenta, in modo corrispondente, il grado di responsabilità sociale che essi assumono e interpretano, una nuova narrativa sulla dimensione dell’impatto, in cui emergono dati e opinioni di content creator, influencer (i micro e i mesi con le loro audience più motivate) e blogger che si attribuiscono maggiore responsabilità sociale e mettono sempre più l’accento sulla consapevolezza del proprio ruolo sociale nel veicolare messaggi (contro i disturbi alimentari o sulle imperfezioni fisiche; ricordiamo le foto struccate “senza filtri” o con i brufoli in primo piano, smitizzano la “perfezione patinata e apparente” o confronti impari con stili di vita inarrivabili che potrebbero indurre inadeguatezza negli altri eccetera).
Lo scenario è quello della “generalizzata sensibilità verso temi sociali che gli influencer mostrano di percepire e che sono capaci di restituire conferendogli una forma e un linguaggio pubblico che le audience connesse possono abbracciare e condividere, farlo proprio e rigiocare in ambito identitario all’interno delle proprie reti”.
“Le piattaforme non hanno un ruolo editoriale, ma sono il luogo degli user generated content (Ugc), dove proliferano forme partecipative dal basso, logiche grassroot, pratiche produser che modificano anche le regole di mercato nonché gli ambiti dell’informazione e dell’intrattenimento, così come della creatività e del sapere” ci ricorda Giovanni Boccia Artieri.
Questo diffuso sentire comune e la maggiore sensibilità producono maggiore consapevolezza (sui temi del corpo, la body positivity, del femminile, dei diritti eccetera) e creano tendenze social che gli influencer – le persone più visibili e condivise – intercettano e rilanciano con messaggi di responsabilità sociali. Quindi, su Instagram possono emergere problematiche, ma poi, dal basso, vediamo anche il lavoro di uno storytelling più sensibile in grado di correggere o controbilanciare le tendenze più dannose (narcisismo, inadeguatezza, problemi alimentari, confronto sociale eccetera).
I rischi legati agli aspetti psicologici
Abbiamo contattato anche Fausto Petrini, psicologo clinico e di comunità, collaboratore del Servizio USL Salute Mentale Infanzia e Adolescenza di Arezzo e di altre organizzazioni sul territorio fiorentino, per indagare il tema dei rischi legati ad Instagram per i teenager. “Il tema dell’utilizzo dei social e della loro influenza sulla psicopatologia degli adolescenti più fragili attraversa ormai quotidianamente l’attività clinica degli psicologi”. In particolare, possono essere messe in luce “tre dimensioni diagnostiche sensibili per questo tema: la dimensione personologica del narcisismo, la
sintomatologia depressiva e quella legata all’ansia”, prosegue Fausto Petrini. “La dimensione narcisistica, parlando di Instagram, riguarda il tentativo di avere un controllo completo dell’immagine che gli altri hanno di noi, ciò in funzione di una ricerca di autostima talvolta eccessivamente dipendente dall’esterno: nei soggetti adolescenti con tratti della personalità narcisisti un uso eccessivo del social network amplifica e stressa questa dinamica del controllo” rischiando di aggravare situazioni già di per sé a rischio.
Ma non va sottovalutato neanche il legame con i sintomi depressivi, i quali possono avere origine dal “confronto, spesso perdente, tra la realtà ed il mondo irreale delle immagini patinate e sottoposte ai filtri, all’ostentazione di felicità e successo che gli infuencer tendono a voler trasmettere”. Il rischio per un adolescente è quindi quello di “interiorizzare una condizione d’inferiorità”, andando ad erodere l’autostima in una fase delicata di formazione del sé. Infine, il Fausto Petrini individua un terzo profilo di rischio: “non va sottovalutato infine il carico di ansia patologica che spesso può insorgere in relazione a queste piattaforme: gestire una discrepanza tra l’immagine reale e quella apparente di sé può creare una situazione sempre più difficile da gestire, con un carico emotivo e cognitivo non indifferente. In questo profilo ansiogeno “la frattura che si genera ricorda, pur non volendo accostare impropriamente le due condizioni, quella tipica di chi è soggetto a dipendenze: anche in questo caso la difficoltà di far convivere un’immagine di facciata con una vita parallela “segreta” (per le dipendenze) comporta un’aggravante per la stabilità emotiva della persona”.
Fausto Pretini, tuttavia, non intende affatto demonizzare i social media e considera i social, Instagram compreso, anche importanti “strumenti nel processo di costruzione di una ‘narrazione di sé’. I social media possono quindi essere anche strumenti preziosi nel processo di crescita, nello sviluppo di creatività e metodi di comunicazione alternativi”. Per questo motivo offre un utile suggerimento: per imparare a gestire i social “sarebbe importante imparare ad ascoltarsi’ portare l’attenzione sulle emozioni che ciascun contenuto suscita dentro di noi, eliminando i contatti che suscitano automaticamente senso di inadeguatezza”. In alcuni casi, non necessariamente patologici, l’aiuto del professionista può poi essere utile per analizzare ed elaborare in modo positivo i vissuti di confronto sociale”.
Conclusioni
Anche Instagram può quindi diventare una sorta di ‘palestra’ per il nostro quotidiano allenamento all’ascolto di sé. Insomma, bisogna conoscere per deliberare, e i social media possono perfino diventare nostri preziosi alleati nello sviluppo armonico della personalità degli adolescenti. Un consiglio ai genitori: non lasciamo i figli troppo soli davanti ai display lasciamo sempre il dialogo aperto proprio sulle tematiche più difficili e complesse. I social media sono qui per restare, dobbiamo solo imparare ad usarli meglio e senza stress.