Intelligenza Artificiale e lavoro: viene in mente la celebre affermazione di Galilei, “Eppur si muove”, nel leggere la recente testimonianza resa davanti al Congresso USA da Erik Brynjolfsson (2019a), uno dei più autorevoli economisti a livello internazionale.
Brynjolfsson ha iniziato con affermazioni molto precise sui grandi successi e sui limiti di fondo dell’IA. A partire dalla sua analisi, ci chiederemo quali sono i fattori che orientano la dinamica tecnologica, se è necessario modificarla e come, quali sono le conseguenze sociali dell’utilizzo di IA nel lavoro, come sono distribuiti i benefici dell’automazione.
È chiaro che si tratta di quesiti di grande portata ed è molto importante che siano emersi esplicitamente. Nei paragrafi che seguono qualche riflessione, senza la pretesa di essere esaustivi.
Intelligenza artificiale, è davvero la fine del lavoro? La sfida è sul filo delle competenze
IA e lavoro: dalle aspettative alla realtà
L’analisi di Brynjolfsson et al. (2019b) e i report elaborati dall’HCAI – Human-Centered Artificial Intelligence della Stanford University (Cfr Shoham et al. 2018, 2019,2020, 2021) hanno messo in luce le grandi performance dell’IA nel riconoscimento delle immagini e delle voci, nel Natural Language Processing, nella traduzione automatica, nei sistemi di “suggerimenti” a potenziali acquirenti di beni.
Non deve quindi sorprendere l’enorme crescita del valore degli investimenti in tecnologie dell’informazione, come emerge da un campione di imprese analizzate da Brynjolfsson et al. (2019a), pari al 40% del valore degli investimenti reali (impianti, attrezzature, stabilimenti).
La diffusione e la pervasività dell’IA (soprattutto nel sottoinsieme machine learning) ha peraltro indotto mutamenti nella composizione e nella qualità sia delle attività lavorative che delle competenze impiegate, com’è avvenuto in seguito al sorprendente lancio di Google Tensorflow, pacchetto open source per reti neurali, impiegato soprattutto per Deep Learning (Rock, 2021).
L’accelerazione nella potenza computazionale disponibile e la creazione di sistemi di information processing sempre più efficaci nel mostrare capacità umane hanno spinto ricercatori e società di consulenza a teorizzare l’avvento del Cognitive Computing, specialmente dopo l’impresa di Watson[1].
L’espressione Cognitive Computing è stata poi impiegata per descrivere lo sviluppo di modalità percettive e la combinazione di “emotion and reasoning” anche nell’associare differenti dispositivi computazionali, eventualmente in “new human-centered computing with cognitive intelligence on cloud” (Chen et al., 2018: 19774).
Fig. 1
Fonte: Chen et al. (2018), Fig. 1
La realtà dell’IA è però molto lontana dalle aspettative e le speranze degli specialisti. Se nel 2016 Om Malik ha avuto buon gioco a ironizzare sul New Yorker sulla confusione tra pubblicità e speranze (“The Hype -and Hope- of Artificial Intelligence, August, 26), cinque anni dopo la distanza tra intelligenza delle macchine e intelligenza umana rimane e resterà ancora per decenni (Brynjolfsson, 2019a). Nonostante l’IA mostri capacità indubbiamente superiori a quelle umane in molti campi pratici, siamo sempre di fronte a domini ristretti di conoscenza.
I sistemi artificiali, inoltre, possono essere facilmente ingannati nell’interpretazione di situazioni confuse e circostanze inattese, mentre in simili contesti i processi inferenziali umani interpretano in modo corretto e con esattezza (Jayadev, 2022).
Aggiungiamo poi che siamo ben lontani dal disporre di sistemi artificiali in grado di effettuare generalizzazioni, formulare ipotesi creative (processi abduttivi), elaborare modelli analogici e causali considerando fattori ignoti e solo ipotizzati (magari contro-intuitivi)[2].
IA e lavoro: l’automazione frutto della trappola di Turing
Esiste un problema di fondo, messo in evidenza da Brynjolfsson (2022): l’IA è stata finora sviluppata per emulare l’intelligenza umana (Human Like Artificial Intelligence, HLAI, l’acronimo da lui impiegato), sulla base del famoso Test di Turing[3].
Un’assunzione implicita del Test di Turing è la possibilità che processi computazionali siano equivalenti in qualche modo a processi inferenziali umani [4], o comunque tali da poter essere considerati alla stessa stregua di un essere pensante (“Can machines think?” è l’interrogativo che torna più volte nel suo scritto del 1950).
Brynjolfsson (2022) mette in evidenza come lo sviluppo della HLAI ha costantemente perseguito l’obiettivo di creare modelli capaci di simulare l’intelligenza umana, rimanendo prigioniera –per così dire- del trend che sta portando gli Usa[5] in quella che lui definisce “trappola di Turing” (Turing trap).
L‘idea della trappola deriva dal fatto che l’intento di costruire macchine capaci di superare il test ha portato ad una serie di circuiti che si autorinforzano, per cui dispositivi in grado di eseguire attività umane, addirittura molto meglio degli stessi umani, hanno generato spinte sempre più forti verso la sostituzione di questi ultimi. L’aumento di produttività del lavoro ha rafforzato ulteriormente la traiettoria.
Di qui la tendenza, esclusiva finora, verso l’automazione del lavoro umano anziché verso il suo potenziamento (“automation rather than augmentation of human labor”).
Questa dinamica ha da un lato prodotto certamente effetti molto positivi: aumento della produttività del lavoro, crescita dei redditi e degli standard di vita. Dall’altro, però, ha generato conseguenze di segno opposto, se la “torta” generata è distribuita in modo fortemente asimmetrico, creando disparità economico-sociali e di potere.
Nella testimonianza davanti al Congresso sono descritti fenomeni eclatanti. Dal 1776, anno della dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti, la maggior parte degli americani ha visto costantemente aumentare il proprio reddito e benessere, ma dal 1990 in poi il reddito mediano è cresciuto molto poco e sono peggiorati indicatori sociali: suicidi per disperazione, aumento vertiginoso della tossico-dipendenza e dei suicidi ad essa collegati, soprattutto di persone con titolo di studio di scuola superiore e livelli informativi inferiori.
Per la prima volta nella storia l’aspettativa di vita è diminuita per gli Americani con livelli formativi medio-bassi. Si tratta evidentemente per lo più di fasce di popolazione sulle quali l’automazione ha inciso in modo sistematico.
È pertanto condivisibile l’affermazione di Brynjolfsson che la HLAI ha consentito di conoscere meglio e in modo più approfondito noi stessi e il funzionamento di un organo fondamentale come il cervello ma, oltre a numerosi altri aspetti favorevoli, essa sta causando la progressiva emarginazione di interi strati sociali, con una concentrazione di potere e di ricchezza al vertice e l’esclusione di milioni di persone dalla possibilità di modificare la propria situazione, appunto ciò che egli chiama “Trappola di Turing”.
IA e lavoro: il paradosso di Autor e l’aumento delle disuguaglianze
Non bisogna confondere l’associazione tra processi con dinamiche causali: ciò vale soprattutto per quanto accade in seguito agli sviluppi dell’IA.
Studi sugli Usa mostrano la paradossale diminuzione retributiva in termini reali, dal 1963 al 2017, dei lavoratori con più modesti livelli di formazione, nelle stesse decadi in cui si è avuta una significativa crescita dei livelli formativi della forza lavoro Usa e un aumento dei compensi di quest’ultima (Autor, 2019, Fig.1, p. 2).
Il paradosso sta nel fatto che i primi non sembrano aver beneficiato dell’aumento di produttività del lavoro e della maggiore offerta di beni con prezzi più bassi.
L’analisi di Autor indica che in realtà il paradosso è solo apparente, in quanto una serie di fattori hanno agito nel determinare il trend descritto: da un lato la polarizzazione del mercato del lavoro tra le fasce più alte e quelle più basse della forza-lavoro, dall’altro la differenziazione geografica, basata sulla presenza e sull’intensità di “forze di agglomerazione” quali la consistenza e la fluidità dei mercati del lavoro locali, l’esistenza di un ambiente favorevole agli scambi di idee, e così via. È infatti accaduto che nelle aree urbane i fattori agglomerativi siano stati più favorevoli, causando in tal modo profonde asimmetrie socioeconomiche, come argomentano molte analisi (ad es. Glaeser e Ressenger, 2010).
È inoltre ampiamente noto il dato, recentemente confermato, che gli Usa hanno uno dei livelli di diseguaglianza più alti tra i Paesi di più antica industrializzazione (Chancel, Piketty, Saez, Zucman, “World Inequality Report 2022, Fig. B4.1, p. 97).
Altri due elementi conoscitivi interessanti sono la diminuzione, nel trentennio successivo al 1975, delle quote di ricchezza nazionale finite al lavoro in quasi tutti i più sviluppati (Karabarbounis e Neirman, 2014, Fig. III, p. 73) e il declino dei prezzi dei beni di investimento a livello globale (ivi, Fig. VII, p. 78). Del secondo dato vedremo l’importanza tra poco.
Parallelamente ai fenomeni indicati, si è realizzata un’altra tendenza globale: l’aumento del numero dei miliardari, particolarmente accentuato negli USA, dove i calcoli del Credit Suisse (2021, Tab.1, p. 32) stimano che tale numero fosse nel 2020 pari a 21.951.000 (42% del totale di tutto il mondo), con una previsione di un incremento del 27,8% negli anni fino al 2025.
A fronte delle informazioni esposte finora, occorre tenere presente che non sempre l’automazione di prestazioni lavorative ha generato perdite occupazionali, in quanto proprio il processo di sostituzione ha indotto a scoprire e quindi valorizzare spazi per la creazione di nuovi lavori, come è accaduto nel caso delle ATM, le macchine per la distribuzione automatica di denaro.
La loro introduzione non ha prodotto un forte calo dei bancari, anzi il minore fabbisogno di personale per operazioni di cassa ha innescato la tendenza ad ampliare la gamma dei servizi offerti alla clientela e quindi a un aumento degli impiegati (Bessen, 2016).
Qualcosa di simile è accaduto, su scala molto più ampia, in seguito alle rivoluzioni industriali degli ultimi due secoli e a quelle avvenute in agricoltura, dove l’introduzione di nuove fonti di energia e l’automazione sono state seguite nell’immediato da perdite di occupazione e pesanti costi sociali, ma nel medio-lungo periodo sono state create nuove opportunità di crescita e possibilità di lavoro per soddisfare domanda di beni e servizi, che nemmeno un re degli antichi imperi poteva permettersi.
Sembra allora logico attendersi che qualcosa di analogo possa accadere oggi, alle prese con l’accelerazione innovativa dovuta alla pervasività dell’IA. È quindi doveroso porsi alcuni interrogativi: possiamo confidare sul perpetuarsi dei trend emersi nelle trasformazioni del passato? In che cosa è diversa la “rivoluzione” dell’IA rispetto a quelle degli ultimi secoli? Qual è la sua morfologia evolutiva? La traiettoria di sviluppo è deterministica? È possibile agire per influenzarne il corso?
Il punto più importante, emerso dagli spunti di riflessione esposti finora, è che le relazioni tra AI e lavoro-occupazione non sono lineari, bensì complesse e dipendono da un numero elevato di variabili socio-economiche e tecnico-scientifiche. Occorre dunque effettuare un lavoro preliminare di enucleazione dei meccanismi propulsori, per poi rispondere ai vari interrogativi, naturalmente senza alcuna pretesa di essere esaustivi.
IA e lavoro: la quarta discontinuità tra uomo e natura
Per descrivere le tecnologie precedenti alla rivoluzione computazionale, cioè all’invenzione e la pervasività di dispositivi che elaborano informazione, impieghiamo la distinzione introdotta da Mokyr (2005: 4-5) tra “propositional knowledge”, intesa come conoscenza relativa a fenomeni e regolarità, o leggi, naturali[6], e “instructional or prescriptive knowledge”, il know-how su come realizzare qualcosa, in altri termini la tecnica.
Sulla distinzione tra conoscenza e tecnica si sono basate le grandi trasformazioni tecnico-produttive nella storia dell’umanità, che hanno dato origine a quella che Mazlish (1967, 1994) chiama “quarta discontinuità” nell’evoluzione del rapporto tra uomo e natura, ovvero la discontinuità-dicotomia tra uomo e macchina, cioè il gap tra il primo e la sua stessa creazione.
Con la rivoluzione computazionale si verifica un salto qualitativo fondamentale: la conoscenza umana trasformata in sistemi di regole conoscitive (algoritmi) è incorporata nelle macchine e interagisce continuamente con flussi informativi e comportamenti umani[7].
I feedback cumulativi tra conoscenza “oggettivata” nei dispositivi e quella generata senza sosta in un mondo iperconnesso fanno sì che “computers, communication systems, and genetic decoding and programming are all amplifiers and extensions of the human mind” (Castells, 2010: 31), generando così una stretta interdipendenza o tendenziale integrazione tra menti umane e macchine, nella direzione di un superamento della “quarta discontinuità” teorizzata da Mazlish.
In questa prospettiva, l’accelerazione della dinamica dell’IA e la creazione di sistemi artificiali sempre più potenti a disposizione di un ristretto numero di Techno-Giants, i giganti tecnologici che perseguono precisi e complessi modelli di business, ho portato alla “Trappola di Turing” descritta da Brynjolfsson, ovvero alla concentrazione di potere e ricchezza.
IA e lavoro: le caratteristiche dello sviluppo tecnologico
Veniamo così al secondo interrogativo: quali sono le peculiarità della morfologia evolutiva dell’IA?
I trend evolutivi delle precedenti trasformazioni tecnico-produttive non possono catturare appieno la traiettoria odierna (Frank et al., 2019; Brynjolfsson et al., 2018), dal momento che gli sviluppi dell’IA presentano queste caratteristiche:
1) la natura e struttura delle prestazioni lavorative cambiano profondamente, in quanto i processi cognitivi umani sono direttamente interconnessi con dispositivi meramente computazionali;
2) Il machine learning (d’ora in poi ML) può essere impiegato nella maggior parte delle occupazioni e non in tutte, anche se in differenti gradi di intensità ed estensione;
3) Pochi lavori sono integralmente eseguibili da agenti artificiali;
4) L’applicazione dei nuovi sistemi di software investe molte dimensioni e aspetti dei cicli economico-produttivi, che si intrecciano con aspetti sociali ed economici di ampiezza non determinabile a priori, con il risultato di dover fronteggiare livelli di complessità più elevati di quelli incontrati dalle imprese e dalle società durante le precedenti fasi di automazione;
5) La valorizzazione del potenziale innovativo richiede consistenti attività di riprogettazione e reingegnerizzazione dei processi lavorativi, in quanto occorre combinare prestazioni suscettibili di automazione con quelle non automatizzabili[8];
6) Sono necessari lunghi processi di adattamento individuali e collettivi, che è probabile siano per porzioni consistenti della popolazione non meno dolorosi di quelli delle rivoluzioni industriali, se si pensa alla numerosità dei fattori in gioco (culturali, sociali, territoriali, politico-sociali) e alla profondità dei cambiamenti, i cui effetti possono essere estremamente differenziati.
Proprio la necessità di attuare processi di reingegnerizzazione più complessi è ritenuto uno dei fattori esplicativi del paradosso odierno: impiego di dispositivi computazionali sempre più potenti non genera un incremento della produttività, che è anzi diminuita in confronto a quanto è accaduto nei decenni fino agli anni ’70.
Alla luce di tutto questo è logico che, se l’introduzione di nuove tecnologie ha in passato richiesto periodi non brevi di “aggiustamento” strutturale e socioeconomico, l’era attuale richiederà un’estensione temporale molto più marcata per ottenere i necessari e complessi adattamenti.
Gli elementi addotti finora costituiscono una base conoscitiva più che sufficiente per legittimare la tesi che “a shift is needed in the debate about the effects of AI on work: away from the common focus on full automation of many jobs and pervasive occupational replacement toward the redesign of jobs and reengineering of business processes” (Brynjolfsson et al., 2018). Ciò acquista particolare valore se ai pensa che modelli di ML possono aprire spazi di progettazione e operatività tutti da scoprire.
IA e lavoro: perché l’automazione sta vincendo sul potenziamento
Come argomentano Brynjolfsson e Mitchell (2017) e Brynjolfsson et al. (2019: 3) il ML può essere impiegato, oltre che per sostituire lavoro, in cinque differenti modi:
1) funzione complementare al lavoro stesso;
2) incremento della domanda in conseguenza della diminuzione dei costi di beni e servizi;
3) mutamenti nella composizione della domanda in seguito all’aumento del reddito;
4) cambiamenti dei flussi informativi e delle asimmetrie informative;
5) riorganizzazione del lavoro.
L’enfasi e la scelta esclusiva della sostituzione trascura però il ventaglio di possibilità tra i due estremi dell’’automazione e del potenziamento del lavoro (automation vs augmentation). Il fatto su cui si possono nutrire pochi dubbi è che finora hanno agito differenti forze con disuguale intensità (Acemoglu e Restrepo, 2018).
L’automazione ha infatti causato un potente effetto di spiazzamento sul lavoro, mentre sono state più deboli le forze che avrebbero potuto bilanciare gli effetti negativi, ovvero:
1) l’effetto produttività, che si ha quando diminuiscono i costi dei lavori automatizzati, l’economia si espande e si accresce la domanda dei lavori non automatizzati, sia nelle attività più interessate dagli avanzamenti tecnologici, che negli altri meno coinvolti.
2) L’accumulazione di capitale, ovvero la dinamica che si autorinforza di incremento dell’innovazione, quindi di aumento della domanda dei beni-capitali e del lavoro per produrlo. 3) Il fenomeno del deepening automation, inteso come incremento della produttività delle funzioni automatizzate, il che non provoca spiazzamento.
Acemoglu e Restrepo aggiungono in realtà altri due fattori in grado di attenuare l’intensità delle forze compensatrici.
Da un lato il mismatch tra tecnologia and skill¸ che può richiedere, specie nel caso dell’IA e della robotica, lunghi e costosi processi di reingegnerizzazione dei processi, unitamente a non semplici attività di cambiamento diffuso delle competenze.
Dall’altro la possibilità di un’automazione eccessiva, determinata, nel caso degli Usa, da una tassazione favorevole al capitale, mentre il cuneo fiscale sul lavoro rende quest’ultimo più costoso.
Tutto ciò spiegherebbe come mai il ricorso entusiastico a IA e robotica non abbia generato gli sperati incrementi di produttività e non si siano quindi creati posti di lavoro sufficienti per compensare quelli sostituiti.
Conclusioni
Siamo così arrivati a un punto cruciale: la dinamica tecnico-produttiva non avviene secondo leggi naturali e non è deterministica, anche se evidentemente non prescinde dalle leggi della fisica e della chimica, che sono campi di conoscenza sui quali oggi possiamo agire in modo impensabile fino a pochi anni or sono, ad esempio nella computazione quantistica e nella scienza dei nuovi materiali.
“Il futuro non è preordinato” (Brynjolfsson, 2022) e il progresso tecnologico è “guidato dalle decisioni umane in merito a cosa, dove e come innovare” (Korinek e Stiglitz, 2021).
Fino ad oggi vi è stata una generale convergenza tra la visione dei policymaker e quella delle imprese nel senso di sostenere al massimo la traiettoria incentrata sulla sostituzione, ma la complessità dei fattori in gioco e le loro interazioni a scala globale imporrebbero una svolta verso il potenziamento del lavoro, altrimenti prevarranno spinte socio-economiche disgregatrici dei sistemi sociali, perché il lavoro è importante per l’identità personale, l’equilibrio psichico individuale e collettivo, il non essere emarginati.
Data l’ampia gamma di relazioni possibili tra IA e lavoro, tutte trascurate, è evidente che occorrono azioni strategiche per invertire la traiettoria univoca intrapresa.
Gli elementi evidenziati nelle pagine precedenti inducono a sostenere che sia fondamentale misurarsi con la complessità dei temi e il loro carattere sistemico, per cui sono a nostro avviso da considerare riduttivi e parzialmente efficaci i rimedi singoli quali il solo cambio della tassazione. È cruciale, invece, adottare una visione olistica, che si traduca in interventi multidimensionali, sulla base del coinvolgimento consapevole di un insieme ben definito di soggetti pubblici e privati.
Per andare verso l’augmentation, quindi, bisogna progettare una human-centered AI, considerando l’umanità una componente essenziale e ad oggi anche relativamente dannosa per il sistema-Terra[9]. Al fine di perseguire il superamento della traiettoria di ricerca univoca, è necessario che le imprese ridefiniscano competenze e strategie, in modo da non privilegiare nelle loro scelte la sostituzione del lavoro, la quale già oggi comporta conseguenze dannose e dirompenti.
È altresì chiaro che un ruolo importante spetta alle organizzazioni sindacali, dal momento che la reingegnerizzazione dei processi richiede collaborazione strategica tra diverse entità decisionali, soprattutto in relazione al fatto che le dinamiche di adattamento collettivo sul piano delle competenze sono lunghe e dense di incognite.
Una funzione decisiva, infine, deve essere svolta dalle istituzioni e dai centri di ricerca pubblici, che in gran parte finanziano programmi di ricerca in IA.
Ancora una volta emerge l’esigenza di un approccio strategico e sistemico, che individui nuove priorità, quali il potenziamento del lavoro, che non è avulso dalla questione più generale della transizione energetica e ambientale, ma anzi di essa dovrebbe essere un perno essenziale.
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Bibliografia
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Note
- Il 26 febbraio 2011 il supercomputer della IBM Watson ha battuto esseri umani al gioco Jeopardy, basato su risposte a domande poste in linguaggio naturale e sull’interpretazione di espressioni verbali, che richiedono associazioni concettuali, da alcuni considerate simili al senso comune. ↑
- Senza considerare il lungo e faticoso processo di addestramento delle reti neurali, oltre che la potenza computazionale necessaria per ottenere risultati alla portata di un bambino (Markoff, 2012). ↑
- In uno scritto del 1950, Turing descrive il cosiddetto “imitation game”, che consiste nel valutare l’intelligenza dei digital computer attraverso la loro capacità di rispondere a domande, poste da un interrogante in un’altra stanza, fino al punto da indurre quest’ultimo a ritenere di essere di fronte ad un essere umano. ↑
- “Nevertheless, I believe that at the end of the century the use of words and general educated opinion will have altered so much that one will be able to speak of machines thinking without expecting to be contradicted.” (Turing, 1950: 442) ↑
- E ovviamente in varia misura tutto il mondo. ↑
- La “conoscenza astratta e generale” nel saggio di Arora e Gambardella, 1994 ↑
- “What characterizes the current technological revolution is not the centrality of knowledge and information, but the application of such knowledge and information to knowledge generation and information processing/communication devices, in a cumulative feedback loop between innovation and the uses of innovation”, (Castells, 2010: 31-32). ↑
- I punti sono enucleati dalla lettura dai seguenti saggi, che esaminano un’ampia letteratura: Brynjolfsson e Mitchell, 2017; Brnjolfsson et al., 2018; Frank et al., 2019. ↑
- Sulla necessità di “fermare la corsa agli armamenti” nell’Intelligenza Artificiale si veda https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/intelligenza-naturale-vs-artificiale-fermiamo-la-corsa-agli-armamenti-ecco-cosa-rischiamo/ ↑