educazione giuridica

Intelligenza artificiale: la giustizia chiede aiuto alle università e detta le regole del gioco

Il ministero della Giustizia, chiede alle facoltà giuridiche di aprire all’Intelligenza artificiale e di assumere un atteggiamento interdisciplinare Niente male come programma di “riforma universitaria”. Ma a che punto è il dibattito, circa gli studi giuridici nel nostro paese e il loro rapporto con i cambiamenti sociali?

Pubblicato il 18 Ott 2021

Giulia Pinotti

Assegnista di Ricerca e PhD in Diritto amministrativo e Droit Comparé

Amedeo Santosuosso

IUSS Pavia e Dipartimento giurisprudenza UNIPV

realtà aumentata

“Una ridefinizione dei piani di studio degli Atenei al fine di consentire una maggior integrazione tra il sistema giudiziario e il mercato del lavoro. Non solo delle tradizionali facoltà umanistiche, ma anche di quelle tradizionalmente estranee al contesto della giurisdizione che oggi, invero, si candidano a diventare il punto di riferimento di un integrato sistema moderno di gestione degli affari (ad esempio, Economia, Statistica, Informatica, Matematica, Ingegneria, Scienza dell’organizzazione, ecc.); […]l’utilizzo dei nuovi strumenti messi a disposizione ad esempio dalle tecnologie dell’AI […]; la ridefinizione, da parte del sistema universitario, dell’offerta post lauream e dei rapporti di collaborazione con il tessuto produttivo istituzionale[…]”.

Questo passo non è tratto da un progetto di riforma universitaria, come a prima vista si potrebbe pensare, ma è uno degli obiettivi di un bando del Ministero della giustizia rivolto alle università pubbliche italiane perché diano il loro contributo di creatività e competenza nello sforzo per la riduzione dei tempi dei processi e per lo smaltimento degli arretrati. Il ministero dice di voler operare per “il ripensamento complessivo della governance di un sistema complesso come quello giurisdizionale, che vede come sostanziali coprotagonisti il mondo accademico e il Ministero della Giustizia” [1].

In breve, alle facoltà giuridiche viene chiesto di modificare i piani di studio, di aprire all’Intelligenza artificiale e di assumere un atteggiamento interdisciplinare. Niente male come programma di “riforma universitaria” che, in un colpo solo, mette in soffitta il divario tra law in action e law on the books.

Ma a che punto è il dibattito, circa gli studi giuridici nel nostro paese e il loro rapporto con i cambiamenti sociali?

Lo studio del diritto: cambia o non cambia?

Sul fatto che lo studio del diritto nelle università debba cambiare, se vuole essere al passo con l’evoluzione sociale e tecnologica, vi è una consapevolezza crescente nei paesi occidentali, di cui vi è traccia in varie pubblicazioni.

Per esempio, Cathy N. Davidson dedica il suo volume a un rinnovamento non più rinviabile che metta gli studenti in grado di affrontare, una volta laureati, un mondo in rapido cambiamento. È ormai quasi storico il volume di Carel Stolker, che nel 2014 dava un quadro globale delle facoltà di giurisprudenza e della necessità di innovare l’insegnamento, così come la ricerca e i risultati perseguiti. Più di recente Alberto Alemanno e Lamin Khadar hanno posto in luce la necessità di superare un insegnamento del diritto che, specie in Europa, è, a loro avviso, storicamente formalistico, dottrinario, gerarchico e passivo per gli studenti. Altre pubblicazioni, come quella di Adam Chilton e altri[2], si concentrano sulla qualità e sulle caratteristiche richieste al corpo docente. Altri autori puntano la loro attenzione sul coltivare una mentalità di crescita, perché un’educazione giuridica più moderna avrebbe bisogno di una maggiore enfasi su etica, tecnologia e arti, come mezzo per stimolare l’immaginazione e incoraggiare atti di co-creazione[3]. Anche in Francia e in Germania sono stati pubblicati alcuni studi su come insegnare il diritto oggi.

In Italia, a oggi, le riflessioni di questo genere non sono frequenti o si riferiscono solo ad alcuni particolari settori del diritto[4], anche se nei dipartimenti di giurisprudenza qualcosa ha cominciato a muoversi, con l’inserimento di alcuni nuovi corsi e di nuove metodologie, dalle simulazioni di processi (moot court) a seminari sul coding a «cliniche giuridiche», oltre alla creazione di nuovi corsi di master e centri di ricerca.

Vi è da chiedersi: quali sono i bisogni di formazione dei futuri giuristi oggi? Qual è il punto di vista dei diretti interessati (cioè i giovani giuristi)? Il tipo formazione che gli studi di giurisprudenza offrono sono adeguate ai tempi? Questo dibattito riguarda se e quali nuove discipline siano da inserire o si tratta di un problema più ampio e profondo?

La capacità di lavorare in team interdisciplinare vale più di mere nozioni

L’interdisciplinarietà è un punto condiviso da molti. Daniel Katz, autore di importanti contributi in materia di legal prediction, invita a prepararsi per uno sviluppo vigoroso, pena la sopravvivenza, nell’era dell’IA applicata al diritto. A suo avviso è necessaria una grande transizione nell’educazione giuridica, visto che le law school statunitensi stanno laureando il doppio di giovani rispetto alle opportunità di lavoro che si aprono. La formazione dovrebbe essere più adeguata alle realtà economiche del nuovo mercato del lavoro legale, che sono guidate direttamente o indirettamente dalla tecnologia. La sua proposta è che siano abbattute alcune barriere disciplinari:

“La Law School deve passare dalla sua predisposizione verso le arti liberali a un’operazione politecnica di ricerca e insegnamento. Dal punto di vista sia delle borse di studio sia della formazione, è il momento di prendere sul serio scienza, computazione, analisi dei dati e tecnologia. [Esiste] un’opportunità di scambio vantaggioso nel mercato dell’istruzione legale […] per un’istituzione che vada verso una Law School del MIT”[5].

Margaret Hagan, la studiosa di Stanford che suggerisce agli avvocati di «imparare a lavorare in gruppi di esperti interdisciplinari», sostiene che le scuole di diritto dovrebbero promuovere una formazione interdisciplinare e insegnare come essere buoni membri di un team. Si dovrebbe andare oltre l’imparare a scrivere, ragionare e ricercare come un avvocato, perché gli avvocati devono integrare i loro approcci per risolvere i problemi con gli altri professionisti, in modo che possano collaborare con essi[6].

Richard Susskind, è risaputo, insiste sulla sfida di costruire un legal hybrid (legale ibrido), a patto che sia chiaro che bisogna essere formidably schooled in quelle discipline, senza illudersi di acquistare con poca spesa nuove capacità disciplinari. Non si nasconde, poi, alcune difficoltà:

“In molte facoltà di giurisprudenza, il diritto è insegnato come negli anni Settanta del secolo scorso, da professori che hanno poche idee o interesse nel cambiamento del mercato legale. Troppo spesso poca attenzione è prestata a fenomeni come la globalizzazione, commoditization, tecnologia, gestione d’impresa, valutazione del rischio […] C’è posto per il futuro nell’affollato curriculum di giurisprudenza?”[7]

È per alcuni una questione di mindset (abito mentale), visto che l’educazione giuridica è oggi basata sul rafforzamento di una mentalità statica.

Cecilia Magnusson Sjöberg va un po’ più in profondità nell’analisi dei diversi bisogni. In risposta alla diffusione dei computer a partire dagli anni Sessanta, le facoltà di diritto di tutto il mondo hanno riconosciuto l’informatica giuridica come una nuova disciplina legale emergente. Alcune università hanno negli anni cominciato a studiare la trasformazione di aspetti di diritto sostanziale tradizionale nel nuovo ambiente digitale. Altre istituzioni si sono concentrate su aspetti metodologici associati alla progettazione, sviluppo, implementazione e gestione dei sistemi legali. Per esempio, la creazione di un sito web ‘legalmente sicuro’ per i consumatori potrebbe richiedere non solo di comprendere fino a che punto vi sia un’esigenza formale di una firma che abbia valore di conclusione di un accordo, ma anche sapere se una firma elettronica, secondo il livello di sicurezza esistente, soddisfi i requisiti giuridici per un valido contratto.

Va notato che non solo gli studenti di giurisprudenza, ma anche quelli di tecnologia potrebbero beneficiare della consapevolezza giuridica di situazioni che si creano per effetto della digitalizzazione. Problemi analoghi si pongono per l’inquadramento giuridico dei cosiddetti smart contract o per il riconoscimento dei diritti di copyright per i software o per i contratti di cloud computing e altro ancora. Questo ha fatto sorgere la domanda se non sia il caso di creare una partizione disciplinare autonoma chiamata IT Law[8].

Che cosa pensano i diretti interessati: la Law School of the future

Che cosa pensano i diretti interessati, gli studenti e quelli che hanno da poco completato gli studi, dell’insegnamento ricevuto?

Non esistono, a oggi, vere e proprie indagini dedicate all’argomento. Un piccolo test, del tutto informale, è stato fatto con i partecipanti al corso intensivo Technological Innovation and Law (TIL 2019) svoltosi presso l’Università di Pavia a febbraio 2019[9].

A questo gruppo di ventisette giovani, provenienti da diverse istituzioni italiane ed europee, è stato assegnato il compito di indicare i motivi di insoddisfazione del modo in cui hanno ricevuto l’insegnamento del diritto e di tracciare le linee di quella che potesse essere la «Law School of the future»[10].

Essi costituivano un campione non in senso tecnico, ma comunque significativo per università di provenienza (le più prestigiose università di Milano – Statale, Cattolica e Bocconi –, oltre la scuola Sant’Anna di Pisa e altre, come Leiden University, Vrije Universiteit Brussels, Universidade Nova de Lisboa, Università di Torino, Università di Pavia, Università di Siena, Università Roma Tre, Università di di Trento, LUISS Guido Carli – Roma, Università di Palermo), per livello di preparazione (selezionati in relazione ai titoli accademici ottenuti, oltre che alla motivazione) e per capacità di seguire lezioni impartite in inglese da un corpo docente proveniente da Paesi europei e dagli USA, oltre che dall’Italia, e di dialogare con docenti e colleghi in inglese.

Quanto ai modi d’insegnamento, essi rilevano problemi di metodologia (molto tradizionale), in particolare nel modo di svolgimento delle lezioni e degli esami, come l’impossibilità di seguire le lezioni via remoto e la mancanza di specializzazione. E lamentano anche la scarsa internazionalizzazione, l’assenza di alcuni corsi ritenuti necessari, la scarsità di contatti con il mondo del lavoro e l’assenza di un servizio efficace di avvio alla carriera.

Ricca la gamma delle proposte:

  • Valorizzare attività come i processi simulati (moot court) e legal clinics e, in generale, adottare un approccio come quello usato nei Paesi di lingua inglese, dove gli studenti ricevono il materiale prima della lezione, in modo da poter poi concentrare il rapporto con il professore sugli aspetti più problematici e sulle criticità, in modo da agevolare l’interazione in classe, evitando gli aspetti negativi della tipica lezione frontale. Videoregistrare le lezioni e caricarle su piattaforme online.
  • Adottare un approccio maggiormente pratico, dando maggior peso alla casistica giudiziaria.
  • Rendere obbligatori i corsi d’informatica giuridica e di programmazione base e promuovere corsi di scrittura giuridica.
  • Aumentare il numero di esami scritti e, in quelli orali, favorire gli esami a ‘libro aperto’.
  • Sviluppare maggiore interdisciplinarietà (con seminari o convegni su temi dove concorrono discipline diverse) e avere un adeguato numero di crediti per insegnamenti mutuati da altri corsi di laurea (come per es. psicologia, economia ecc.)
  • Prevedere incentivi per accordi internazionali tra le università europee al fine di facilitare gli scambi e facilitare la partecipazione a eventi internazionali. Una maggiore offerta di corsi di lingue straniere, nella direzione dello ‘studente europeo’.
  • Promuovere un contatto reale con il mondo delle professioni forensi, con il coinvolgimento di professionisti nelle lezioni universitarie e con stage obbligatori presso studi legali e/o di consulenza.

Queste richieste sono espressione di bisogni che meritano un’attenzione adeguata e non certo di essere irrisi (come qualche vecchio professore può essere tentato di fare), visto che riguardano problemi di contenuti, metodo e interazione interdisciplinare, che si trovano in Susskind , Hagan e in altri autori.

Sono degni di nota, piuttosto, il respiro internazionale delle richieste (è una generazione che esprime una visione globale del diritto, anche quando parla di quello nazionale) e il modo maturo e consapevole di rapportarsi alle nuove tecnologie e all’intelligenza artificiale. In altre parole, questo gruppo di giovani giuristi non chiede qualcosa d’altro, rispetto a ciò che è stato loro insegnato, ma qualcosa di più e di diverso nel modo di studiare, nel quale sia il collegamento con esperienze di altri Paesi sia le tecnologie siano coessenziali.

Un’esperienza recente online

Nella seconda settimana di settembre del 2021 si è tenuto – a Pavia in connessione con varie parti nel mondo nel mondo – una nuova edizione di TIL dal titolo Human Brain-AI-Law.

Protagonista di questa edizione, come di tutto l’anno accademico 2020/2021 del resto, è stata la didattica online. Sebbene vi sia nell’aria l’esasperazione per le lunghe ore passate su Zoom, Teams e simili è innegabile che le lezioni da remoto si siano rivelate anche una grande opportunità: studenti e professori da tutto il mondo (Azerbajian, China, Canada, UK, India, Lithuania, Slowakia, Switzerland) hanno potuto partecipare al corso – organizzato in orario pomeridiano per venire incontro ai vari fusi orari – con una grande facilità e sviluppano una ricca interazione, senza gli innumerevoli spostamenti che sarebbero stati necessari, con un risparmio economico, di tempo e di inquinamento.

Dopo l’esperienza Covid-19, che è all’origine di tutto questo, bisogna interrogarsi su se, e in quale misura, sia utile conservare almeno una parte della formazione universitaria da remoto e quali siano i necessari investimenti da fare affinché essa si riveli efficace. Insegnare a distanza richiede tecniche diverse nei docenti. Nell’edizione 2019 di TIL (quando la pandemia era protagonista solo di film distopici) gli studenti, nel loro Dossier su The law School of the Future (vedi sopra) già parlavano di esami e lezioni da remoto; chiedevano di poter utilizzare app e siti come supporto per il materiale didattico e per la preparazione degli esami, e di poter riascoltare le lezioni.

Ovviamente si parla di supporto alla didattica (ben diversa dall’intera didattica da remoto!) e, poi, sono da considerare problemi di numero di studenti per aule virtuali nonché, essenziale, quali software si utilizzano e con quale interazione con l’insostituibile contatto diretto con professori e colleghi.

Il ruolo della tecnologia

Certo è che la forzata esperienza da remoto, fatta a causa della pandemia, può consentire di ripensare anche il modo di insegnare. Nuove modalità di insegnamento richiedono un solido e ben costruito supporto tecnologico. Questo richiede in primo luogo investimenti per ciò che riguarda l’acquisto degli strumenti necessari e la formazione del personale. La formazione del personale dovrebbe essere duplice: da una parte servono competenze tecniche quanto meno di base, ma queste non sono da sole sufficienti. Serve una formazione specifica sui metodi di didattica online, anche perché le lezioni frontali – già oggetto di molte critiche anche quando svolte in presenza – non guadagnano nulla se svolte da remoto. Del resto, come già detto prima, ciò che verrà conservato dell’esperienza dell’insegnamento da remoto dipenderà in larga misura dalla qualità e dai vantaggi che ne deriveranno per la comunità universitaria.

La tecnologia deve, però, diventare non solo strumento ma anche oggetto di studio da parte dei giuristi, come osservato in apertura. Non ovviamente con la pretesa di formare un programmatore-giurista o un data analyst-giurista: ciò che è essenziale è la creazione di un lessico condiviso, come ad esempio delle nozioni basilari di programmazione, che consentano ai giuristi di dialogare con informatici, ingegneri e analisti di dati e di comprendere problemi e prospettive. Ciò si rivelerà determinate negli anni a venire: per un avvocato chiamato a occuparsi di responsabilità per i veicoli a guida autonoma, per un giudice chiamato a pronunciarsi sulla legittimità di uno smart contract, per un funzionario pubblico che dovrà svolgere un’istruttoria con l’ausilio di strumenti informatici o per un consulente che dovrà redigere linee guida sullo smart working.

Un’idea del e per il diritto

Immaginare la formazione di giovani giuristi presuppone un’idea sufficientemente chiara di cosa sia il diritto in un certo momento storico e di quale profilo abbiano le professioni legali. Questo, pur vero in generale, assume oggi connotati particolari a causa dei forti, e a lungo sottovalutati, cambiamenti in ambito giuridico.

Colpisce, per esempio, la fissità delle partizioni disciplinari nell’accademia, che ha per decenni ignorato (e, quindi, non ha dato risposta a) quanto Philip Jessup descriveva già nel 1956 come transnational law, l’emergere di un coacervo di elementi giuridici che non trovavano coerente sistemazione in nessuna disciplina giuridica e che poi è diventato un concetto di uso corrente[11].

Tuttavia, oggi il cambiamento giuridico riguarda sia la dimensione transnazionale assunta dal diritto, sia l’uso sempre più esteso di strumenti informatici raffinati e di intelligenza artificiale in ambito giudiziario, nelle professioni legali e anche nella ricerca.

In conclusione, si può dire che la massa di cambiamenti abbia raggiunto un livello critico che non ammette più sviste e sottovalutazioni, e che ogni ritardo nel riesame delle nostre idee su cosa sia diritto oggi e su quali siano le modalità delle professioni legali incrementa il debito che pratici e accademici hanno in egual misura verso i giovani giuristi.

Bisognerebbe pensare che, quando si parla di digitalizzazione nella giustizia e si parla di processo digital by design, ci si riferisce a qualcosa che è antesignano di un diritto digital by design. In altri termini l’obiettivo di migliorare la performance (quantitativa e qualitativa) del sistema giudiziario italiano richiede il superamento dei modelli del passato. Una riflessione complessa e affascinante[12].

Come andrà?

Tornando alla chiamata (quasi un concorso di idee) che il Ministero della giustizia fa alle università italiane, e ai dipartimenti di giurisprudenza in particolare, vi è da sperare che questi colgano la sfida e ne traggano occasione di riflessione, ripensamento e cambiamento, valorizzando le iniziative innovative che pure, qua e là, vi sono e vi sono state.

Senza dimenticare che non tutto si risolve in un pas de deux ministero-accademia. È chiaro che il Ministero della giustizia, che pure controlla tutto il sistema digitale dal punto di vista delle reti, strumenti, connessioni e altro, non ha al suo interno le risorse culturali per un ridisegno della giustizia in Italia. E, verrebbe da dire, è bene che così sia, perché quando si parla non solo di sistemi tecnici ma di come cambia il diritto in sé, il modo in cui viene trasmesso alle nuove generazioni, il modo in cui viene esercitata la giurisdizione, è necessario che l’esecutivo (di esso è articolazione il ministero) eserciti una certa discrezione, quanto meno inserendo nel dialogo anche, per esempio, il Consiglio superiore della magistratura e l’avvocatura.

Note

  1. La denominazione completa è la seguente: “Decreto 5 agosto e rettifica del 9 agosto 2021 – Approvazione dell’Avviso e relativi Allegati, per il finanziamento degli interventi a regia in attuazione del Progetto complesso “Progetto unitario su diffusione dell’Ufficio del Processo e per l’implementazione di modelli operativi innovativi negli Uffici giudiziari per lo smaltimento dell’arretrato”, nell’ambito dell’Asse 1, Obiettivo Specifico 1.4, Azione 1.4.1 del PON Governance 2014-2020”.
  2. Cathy N. Davidson, The New Education: How to Revolutionize the University to Prepare Students for a World in Flux, Basic Books, New York, 2017; Carel Stolker, Rethinking the Law School: Education, Research, Outreach and Governance, Cambridge University Press, Cambridge, 2014; Alberto Alemanno – Lamin Khadar, Reinventing Legal Education: How Clinical Education Is Reforming the Teaching and Practice of Law in Europe, Cambridge University Press, Cambridge, 2018; Adam S. Chilton – Jonathan S. Masur – Kyle Rozema, Rethinking Law School Tenure Standards (September 17, 2019). University of Chicago Coase-Sandor Institute for Law & Economics Research Paper No. 887; Pierre Schlag, Spam Jurisprudence, Air Law, and the Rank Anxiety of Nothing Happening (A Report on the State of the Art), University of Colorado Law School, Legal Studies Research Paper Series, Working Paper Number 07-11, March 23, 2007. Si veda anche Christopher Gane – Robin Hui Huang, Legal Education in the Global Context. Opportunities and Challenges, Routledge, London, 2016.
  3. Mark Fenwick – Wulf Kaal – Erik P.M. Vermeulen, Legal education in a dig- ital age: why coding for lawyers matters, in Legal Tech, Smart Contracts and Blockchain (Perspectives in Law, Business and Innovation), Springer Singapore, 2018.
  4. Si vedano Giovanni Pascuzzi, Avvocati formano avvocati, Il Mulino, Bologna, 2015; Alessio Zaccaria, L’insegnamento del diritto: dall’Università alla professione di avvocato, in «Studium Iuris» 2013, pp. 1-4; Francesco Macario, L’evoluzione del «genere istituzionale» nella manualistica per l’insegnamento del diritto privato. Giurisprudenza e autorità indipendenti nell’epoca del diritto liquido, in Studi in onore di Roberto Pardolesi, a cura di F. Di Ciommo e O. Troiano, Il Foro italiano-La Tribuna, Roma- Piacenza, 2018, 1113; Nicolò Lipari, Sull’insegnamento del diritto civile, in «Rivista di diritto civile», 2002, pp. 333-345.
  5. Daniel Martin Katz, Quantitative Legal Prediction Or How I Learned To Stop Worrying And Start Preparing For The Data-Driven Future Of The Legal Services Industry, in «Emory Law Journal», Vol. 62: 909, 2013, pp. 909-966 (in particolare pp. 965-966).
  6. Margaret Hagan, Law by Design, disponibile all’indirizzo: http://www.lawbydesign.co/en/ch-6-future-agenda; Michela Massimi, Wilkins-Bernal-Medawar Lecture: Why philosophy of science matters to science, disponibile online all’indirizzo: https://royalso- cietypublishing.org/doi/full/10.1098/rsnr.2018.0054#d3e411.
  7. Richard Susskind, Tomorrow’s Lawyers. An Introduction to Your Future, Oxford University Press, 2nd ed. 2017p. 163 e p. 138 per il legal hybrid.
  8. Cecilia Magnusson Sjöberg, Legal Automation: AI and Law Revisited, in Marcelo Corrales – Mark Fenwick – Helena Haapio (eds.), Legal Tech, Smart Con- tracts and Blockchain, Perspectives in Law, Business and Innovation, Springer, Singapore 2019, https://doi.org/10.1007/978-981-13-6086-2_7.
  9. Il corso si è svolto su iniziativa del Centro di ricerca interdipartimentale ECLT, in collaborazione con ELSA, il Dipartimento di Giurisprudenza e altre istituzioni accademiche pavesi, e grazie a un contributo economico di Banca del Monte di Pavia. Programma e corpo docente del corso intensivo TIL 2019 sono accessibili presso https://www.unipv-lawtech.eu/files/Schedule-TIL-2019- 3-febbraio.pdf e presso https://www.unipv-lawtech.eu/files/Schedule-TIL-2019-3-febbraio.pdf
  10. Il dossier contenente gli elaborati, la lista dei partecipanti e le istituzioni di provenienza è disponibile presso https://www.unipv-lawtech.eu/law-schoolof- the-future.html Per un commento di stampa si veda https://www.altalex.com/documents/news/2019/04/01/la-law-school-di-domani.
  11. Philip C Jessup, Transnational Law, Yale University Press, New Haven, 1956, p. 2
  12. Magistrali sono le pp. 195-207 di Irti 2016, dove l’autore pone come centrale, per la costruzione di una teoria generale del diritto, la questione dell’idea che si ha del diritto e dello «sguardo giuridificante». Si veda anche A. Santosuosso, Intelligenza artificiale e diritto, Mondadori Università, 2020, in generale e in particolare il cap. 8.

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