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Intelligenza artificiale, la grande speranza di sbloccare l’innovazione mondiale

A fronte di quella che da molti viene considerata una vera e propria stagnazione nella nostra capacità di generare nuove idee, l’intelligenza artificiale ci offre la promessa di un processo notevolmente accelerato. Ma quali sono le reali prospettive? Un estratto del libro di Martin Ford, Il dominio dei Robot (Il Saggiatore)

Pubblicato il 14 Lug 2022

Martin Ford

imprenditore della Silicon Valley e autore di best seller

deep fake_ intelligenza artificiale

Tra coloro che si potrebbero descrivere come «tecnottimisti» molti danno per scontato che viviamo in un’era caratterizzata da una sorprendente accelerazione tecnologica. L’innovazione, ci viene detto, è senza precedenti e segue una traiettoria esponenziale. Gli «accelerazionisti» più entusiasti – spesso accoliti di Ray Kurzweil, che ha codificato il concetto nella sua «legge dei ritorni acceleranti» – confidano che nel prossimo secolo assisteremo, secondo gli standard storici, all’equivalente di «circa 20.000 anni di progresso umano».[1]

L’intelligenza artificiale sarà indipendente dall’uomo: quali sfide normative

C’è vera innovazione al di fuori dell’ICT?

Un esame più attento, tuttavia, rivela che se da un lato l’accelerazione è stata reale, questo straordinario progresso è stato quasi del tutto confinato all’arena della tecnologia dell’informazione e della comunicazione. La narrazione della traiettoria esponenziale si applica alla storia della legge di Moore e del software sempre più capace che essa rende possibile. Al di fuori di questo settore, nel mondo composto da atomi piuttosto che bit, la storia dell’ultimo mezzo secolo o giù di lì è stata nettamente diversa. In settori come i trasporti, l’energia, l’edilizia, le infrastrutture pubbliche fisiche e l’agricoltura, il ritmo dell’innovazione non solo si colloca molto al di sotto di un livello esponenziale, ma potrebbe essere meglio definito come «stagnante».

Se volete immaginare una vita segnata da un’innovazione incessante, pensate a qualcuno nato alla fine del xix secolo e che abbia vissuto gli anni Cinquanta o Sessanta. Questo individuo avrebbe assistito a trasformazioni sistemiche della società su scala quasi inimmaginabile: le infrastrutture per fornire acqua pulita e gestire le acque di scarico nelle città; l’automobile, l’aereo, la propulsione a reazione e di conseguenza l’avvento dell’era spaziale; l’elettrificazione e quindi l’illuminazione, la radio, i televisori e gli elettrodomestici che questa ha reso possibile; la produzione in serie di antibiotici e vaccini; un aumento dell’aspettativa di vita negli Stati Uniti da meno di cinquant’anni a quasi settanta.

Chi è nato negli anni Sessanta, al contrario, avrà assistito all’ascesa del personal computer e poi di internet, ma quasi tutte le altre innovazioni che avevano trasformato in maniera così radicale i decenni precedenti avrebbero visto nella migliore delle ipotesi solo progressi incrementali. La differenza tra l’automobile che guidate oggi e l’automobile disponibile nel 1950 non è semplicemente paragonabile alla differenza tra quell’automobile del 1950 e i mezzi di trasporto nel 1890. E lo stesso vale per una miriade di altre tecnologie distribuite praticamente in ogni aspetto della vita moderna.

Il fatto che tutti i notevoli progressi nell’ambito dell’informatica e di internet non siano, di per sé, all’altezza dell’aspettativa che il tipo di progresso su vasta scala visto nei decenni precedenti continuasse senza sosta viene sintetizzato da Peter Thiel in una famosa battuta: «ci avevano promesso macchine volanti e invece abbiamo ottenuto 140 caratteri».

Innovazione tecnologica vs stagnazione

La tesi secondo cui, a dispetto dell’accelerazione continua della tecnologia dell’informazione, abbiamo vissuto un’età di relativa stagnazione, è stata discussa approfonditamente dagli economisti Tyler Cowen, che ha pubblicato il suo libro The Great Stagnation nel 2011,[2] e Robert Gordon, che delinea un futuro molto pessimista per gli Stati Uniti nel suo testo del 2016 The Rise and Fall of American Growth.[3] Un argomento chiave in entrambi i libri è che i frutti sui rami più bassi dell’albero dell’innovazione tecnologica siano stati in gran parte raccolti intorno agli anni settanta. Il risultato è che ora ci troviamo in una bonaccia tecnologica caratterizzata da una lotta per raggiungere i rami più alti. Cowen è ottimista sul fatto che alla fine ci staccheremo dal nostro plateau tecnologico. Gordon, invece, lo è molto meno, suggerendo che anche i rami superiori dell’albero possano essere stati spogliati e che le nostre più grandi invenzioni siano ormai alle nostre spalle.

Nonostante io ritenga Gordon troppo pessimista, ci sono prove in abbondanza a indicare che un’ampia stagnazione nella generazione di nuove idee sia un dato di fatto. Un documento accademico pubblicato nell’aprile 2020 da un team di economisti di Stanford e del mit ha scoperto che in svariati settori la produttività della ricerca è nettamente diminuita. La loro analisi ha rilevato che l’efficienza con cui i ricercatori americani generano innovazioni «si dimezza ogni 13 anni», o in altre parole «solo per mantenere costante la crescita del pil pro capite, gli Stati Uniti devono raddoppiare la quantità di sforzi di ricerca ogni 13 anni per compensare l’aumento della difficoltà a trovare nuove idee».[4] «Ovunque guardiamo» scrivono gli economisti, «constatiamo che le idee, e la crescita esponenziale che queste implicano, stanno diventando sempre più difficili da trovare».[5] Ed è da notare che ciò si applica persino all’unica area che ha continuato a generare un coerente progresso esponenziale. I ricercatori hanno scoperto che «il numero di ricercatori necessari oggi per raggiungere il celebre raddoppio della densità dei chip» comportato dalla legge di Moore «è più di 18 volte superiore al numero richiesto all’inizio degli anni settanta».[6] Per comprendere il motivo di questa situazione occorre ricordare che prima di oltrepassare la frontiera della ricerca è necessario capire il livello cui è giunta la tecnica. Praticamente in ogni campo scientifico, ciò comporta l’assimilazione di una conoscenza molto più ampia che in passato. Ne consegue che l’innovazione ora richiede squadre sempre più numerose composte da ricercatori altamente specializzati, e coordinare i loro sforzi è intrinsecamente più complicato di quanto sarebbe in caso di un gruppo più piccolo.

[…]

Il ruolo dell’intelligenza artificiale

L’intelligenza artificiale potrebbe rivelarsi il più potente strumento a nostra disposizione per sfuggire al plateau tecnologico. Questa, credo, è l’opportunità più importante per l’ia nel corso della sua trasformazione in risorsa onnipresente. Sulla lunga distanza, per quanto riguarda i livelli di benessere su cui ci siamo attestati e la nostra capacità di affrontare le sfide che ci attendono, conosciute o inaspettate che siano, niente è essenziale quanto l’ampliamento della nostra capacità collettiva di innovare e concepire nuove idee.

La più promettente applicazione a breve termine dell’intelligenza artificiale, e soprattutto del deep learning, nella ricerca scientifica potrebbe consistere nella scoperta di nuovi composti chimici. […]

Le batterie agli ioni di litio oggi indispensabili per dispositivi mobili e automobili elettriche, per esempio, sono il frutto di una ricerca avviata negli anni Settanta, ma che solo negli anni Novanta ha prodotto una tecnologia che ha potuto iniziare a essere commercializzata. L’intelligenza artificiale ci offre la promessa di un processo notevolmente accelerato. Sotto molti versi la ricerca di nuove molecole si presta in maniera ideale al deep learning; si possono preparare gli algoritmi in base alle caratteristiche delle molecole note per essere utili o, in alcuni casi, in base alle regole che governano la configurazione e l’interazione molecolari.[7]

[…]. Accelerare questo processo lascia sperare che si arrivi a ottenere materiali innovativi ad alta resistenza da utilizzare per macchine e infrastrutture, sostanze reattive da impiegare per batterie e fotocellule più avanzate, filtri o materiali assorbenti in grado di ridurre l’inquinamento e una gamma di nuovi farmaci con il potenziale per rivoluzionare la medicina.

Tanto i laboratori di ricerca universitari quanto un numero crescente di startup si sono rivolti con entusiasmo alla tecnologia di machine learning e già ricorrono a potenti approcci basati sull’ia per conseguire importanti scoperte.

[…]-

L’intersezione tra chimica e intelligenza artificiale: lo sviluppo di nuovi farmaci

Un approccio ancora più ambizioso prevede l’integrazione di software basato sull’ia e orientato alla scoperta di sostanze chimiche con robot in grado di eseguire esperimenti fisici in laboratorio.

Molte delle più entusiasmanti e ampiamente finanziate opportunità all’intersezione tra chimica e intelligenza artificiale vertono sulla scoperta e lo sviluppo di nuovi farmaci. Si stima che ad aprile 2020 ci fossero almeno 230 startup concentrate sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale finalizzata alla ricerca di nuovi prodotti farmaceutici. Daphne Koller, docente a Stanford e cofondatrice della società di formazione online Coursera, è una dei massimi esperti al mondo nell’applicazione del machine learning alla biologia e alla biochimica. Koller è anche fondatrice e amministratrice delegata di Insitro, una startup della Silicon Valley fondata nel 2018, che ha raccolto oltre 100 milioni di dollari per realizzare nuovi farmaci utilizzando il machine learning.[8] Il rallentamento dell’innovazione tecnologica che affligge l’economia americana nel suo complesso è particolarmente evidente nell’industria farmaceutica. Ecco ciò che ha dichiarato Koller in un’intervista:

Il problema è che sta diventando sempre più difficile sviluppare nuovi farmaci: i tassi di successo della sperimentazione clinica si collocano tra il 4 e il 6%, mentre il costo di ricerca e sviluppo per lo sviluppo di un nuovo farmaco (al lordo delle imposte e tenuto conto dei fallimenti) si stima superiore ai due miliardi e mezzo di dollari. Il tasso di rendimento degli investimenti per lo sviluppo di farmaci decresce in modo lineare di anno in anno, e secondo alcune stime raggiungerà lo zero prima del 2020. Una spiegazione potrebbe consistere nelle maggiori difficoltà intrinseche attualmente incontrate dallo sviluppo di farmaci: molti (forse la maggior parte) dei «frutti sui rami più bassi» – in altre parole, i farmaci che hanno un effetto significativo su una vasta parte della popolazione – sono già stati scoperti. Se è così, la prossima fase di sviluppo dovrà concentrarsi su farmaci più mirati, i cui effetti possono variare a seconda del contesto e che si applicano solo a un sottoinsieme di pazienti.[9]

[…]

I frutti dell’uso del machine learning alla ricerca farmaceutica

Approcci come questo stanno già dando i loro frutti. Nel febbraio 2020, i ricercatori del mit hanno annunciato di avere scoperto un nuovo potente antibiotico utilizzando il deep learning. Il sistema di intelligenza artificiale costruito dai ricercatori è riuscito a vagliare più di cento milioni di potenziali composti chimici nell’arco di alcuni giorni. […]

Un altro importante traguardo, annunciato anch’esso agli inizi del 2020, proveniva dalla startup britannica Exscientia, che ha utilizzato il machine learning per scoprire un nuovo farmaco per il trattamento del disturbo ossessivo-compulsivo. L’azienda sostiene che lo sviluppo iniziale del progetto ha richiesto solo un anno – circa il 20% del tempo tipico delle tecniche tradizionali – e afferma che si tratta del primo farmaco scoperto dall’intelligenza artificiale a entrare negli studi clinici.[10]

[…]

L’IA per orientarsi nel mare magnum delle pubblicazioni di ricerca

Oltre a utilizzare il machine learning per scoprire nuovi farmaci e altri composti chimici, la più promettente applicazione generale dell’intelligenza artificiale alla ricerca scientifica si può individuare nell’assimilazione e nella comprensione del sempre crescente numero di pubblicazioni di ricerca. Solo nel 2018, più di tre milioni di articoli scientifici sono apparsi in oltre 40.000 diverse riviste.[11] Orientarsi su una scala così ampia di informazioni supera a tal punto la capacità di qualunque essere umano che l’intelligenza artificiale è probabilmente l’unico strumento a nostra disposizione capace di condurre a una sorta di comprensione olistica.

[…]

Iniziative come queste hanno un enorme potenziale per imporsi come strumenti decisivi nell’accelerare la generazione di nuove idee. La tecnologia, tuttavia, rimane agli albori e il vero progresso richiederà probabilmente il superamento di almeno alcuni degli ostacoli verso un’intelligenza artificiale più generale. È facile immaginare che un sistema davvero potente possa assumere il ruolo di un assistente di ricerca intelligente per gli scienziati, offrendo la possibilità di impegnarsi in una vera conversazione, di interagire con le idee e suggerire in maniera attiva nuove strade per l’esplorazione.

Un approccio misurato e realistico

Ciò nonostante, penso sia importante mantenere un approccio misurato e realistico a ciò che potrebbe rivelarsi possibile. Niente di quanto detto implica che l’intelligenza artificiale si dimostri una panacea per un’innovazione sfrenata o che dovremmo aspettarci di raggiungere risultati coerenti in un lasso di tempo accelerato. La scienza, dopotutto, si basa fondamentalmente sulla sperimentazione, e condurre esperimenti e valutarne i risultati richiede tempo. In alcuni casi il metodo scientifico può davvero essere accelerato, forse attraverso l’utilizzo di robot da laboratorio o anche eseguendo alcuni esperimenti ad alta velocità in ambienti simulati.

In campi come la medicina e la biologia, tuttavia, gli esperimenti vengono condotti di frequente all’interno di organismi viventi, e qui il potenziale per accelerare in maniera drastica il processo è piuttosto limitato. Il successo della ricerca di vaccini contro il Covid-19 mette nitidamente a fuoco questa realtà. Gli scienziati sono stati in grado di individuare probabili vaccini già poche settimane dopo avere ricavato il codice genetico del virus. La lunga attesa per ottenere vaccini utili è stata dovuta quasi interamente alla necessità di test approfonditi sia sugli animali sia sull’uomo, insieme a quella di aumentare la capacità produttiva per produrre i miliardi di dosi necessarie. La verità è che, anche se avessimo avuto accesso a un’intelligenza artificiale davvero avanzata, di livello fantascientifico, non è affatto certo che la tecnologia ci avrebbe consentito di produrre un vaccino in un lasso di tempo notevolmente più breve. Questo è uno dei motivi per cui accolgo con scetticismo le dichiarazioni di Raymond Kurzweil, convinto che l’intelligenza artificiale porterà presto a un prodigioso allungamento della durata della vita umana. Anche se l’intelligenza artificiale aiuta a generare nuovi potenti idee in questo campo, come potremo testare la sicurezza e l’efficacia dei nuovi trattamenti senza dovere aspettare molti anni, o addirittura decenni, per avere risultati definitivi? Certo, ci si può aspettare molto da una riforma normativa in grado di semplificare l’approvazione di nuovi farmaci e cure, ma a conti fatti, persino gli scienziati più intelligenti e creativi devono aspettare di vedere le proprie idee comprovate da risultati sperimentali.

Note

  1. Ray Kurzweil, «The Law of Accelerating Returns», blog Kurzweil Library, March 7, 2001, www.kurzweilai.net/the-law-of-accelerating-returns.
  2. Tyler Cowen, The Great Stagnation: How America Ate All the Low-Hanging Fruit of Modern History, Got Sick, and Will (Eventually) Feel, Better, Dutton, 2011.
  3. Robert J. Gordon, The Rise and Fall of American Growth: The U.S. Standard of Living Since the Civil War, Princeton University Press, 2016.
  4. Nicholas Bloom, Charles I. Jones, John Van Reenen e Michael Webb, «Are ideas getting harder to find?», in American Economic Review, 110, 4, pp. 1104-1144 (aprile 2020), www.aeaweb.org/articles?id=10.1257/aer.20180338, p. 1138.
  5. Ibid., p. 1104.
  6. Ibid., p. 1104.
  7. Ibid.
  8. Simon Smith, «230 startups using artificial intelligence in drug discovery», blog BenchSci, aggiornato l’8 aprile 2020, blog.benchsci.com/startups-using-artificial-intelligence-in-drug-discovery.
  9. Dall’intervista dell’autore a Daphne Koller in Martin Ford, Architects of Intelligence, cit., p. 388.
  10. Richard Staines, «Exscientia claims world first as ai-created drug enters clinic», in Pharmaphorum, 30 gennaio 2020, pharmaphorum.com/news/exscientia-claims-world-first-as-ai-created-drug-enters-clinic.
  11. Sito web di Semantic Scholar, pagina consultata il 25 maggio 2020, pages.semanticscholar.org/about-us.

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